Perché Pecorella infanga don Peppe Diana?

di Roberto Saviano

MI è capitato nella vita di fare pochissimi giuramenti a me stesso. Uno di questi, che non riuscirei a tradire se non vergognandomi profondamente, è difendere la memoria di chi nella mia terra è morto per combattere i clan. Ho giurato a me stesso sulla tomba di Don Peppe Diana il giorno in cui alcuni cronisti locali, alcuni politici e diversa parte di quella che qualcuno chiama opinione pubblica iniziarono un lento e subdolo tentativo di delegittimarlo.

Il venticello classico di certe parti d’Italia che calunnia ogni cosa che la smaschera; il tentativo di salvare se stessi dalla scottante domanda “perché io non ho mai detto o fatto niente?”. Ho letto in questi giorni sulla rivista Antimafia Duemila che due ragazzi, Dario Parazzoli e Alessandro Didoni, hanno chiesto durante una trasmissione Tv a Gaetano Pecorella come mai, quando era presidente della commissione giustizia, difendeva al contempo il boss casalese egemone in Spagna Nunzio De Falco, poi condannato come mandante dell’omicidio di Don Peppe Diana.

Mi ha colpito e ferito sentire alcune dichiarazioni dell’Onorevole Pecorella in merito all’assassinio di Don Peppe Diana. In una intervista al giornalista Nello Trocchia per il sito Articolo 21, Pecorella dichiara: “Io dico che tra i moventi indicati, agli atti del processo, ce ne sono tra i più diversi. Nel processo qualcuno ha parlato di una vendetta per gelosia, altri hanno riferito che sarebbe stato ucciso perché si volevano deviare le indagini che erano in corso su un altro gruppo criminale. E altri hanno riferito anche il fatto che conservasse le armi del clan. Nessuno ha mai detto perché è avvenuto questo omicidio, visto che non c’erano precedenti per ricostruire i fatti. Se uno conosce le carte del processo, conosce che ci sono indicate da diverse fonti, diversi moventi”.

Proprio leggendo le carte si evince chiaramente che non è così, Onorevole Pecorella. Perché dice questo? È vero esattamente il contrario. Dalle carte del processo emerge invece che è tutto chiaro. E pure la sentenza della Corte di Cassazione del 4 marzo 2004 conferma che Don Peppe è stato ucciso per il suo impegno antimafia e per nessun’altra ragione. Che De Falco (di cui lei, Onorevole, ha assunto la difesa) ha ordinato l’uccisione di Don Peppe per dimostrare, uccidendo un nemico in tonaca, un nemico senza armi, che il suo gruppo era più forte e coraggioso di quello di Sandokan. E anche per deviare la pressione dello Stato proprio sul clan Schiavone. Quelli che lei definisce più volte “moventi indicati” furono, come dimostrano le sentenze, delle calunnie che alcuni camorristi portarono per lungo tempo in sede processuale per discolparsi. Calunnie nate dal fatto che persino loro cercavano di lavarsi le mani, in buona o cattiva fede, del sangue innocente che avevano versato. Ne avevano vergogna. Questo è quel che dicono gli iter conclusi della giustizia italiana. Ed è per questo che la risposta che l’Onorevole Pecorella ha dato appena qualche giorno fa alla domanda se Don Diana, a suo avviso, non fosse stato ucciso per il suo impegno contro i clan lascia basiti.

L’onorevole dice: “Io non ho avvisi. Io riporto quello che è emerso nel processo e nulla più. Ci sono diversi moventi, c’è anche quello, che all’inizio non era emerso, che faceva attività anticamorra. Per la verità nel processo non è venuto fuori molto chiaro neanche questo come movente. È inutile che costruiamo delle fantasie sulle ipotesi. Quella dell’impegno anticamorra è tra le ipotesi. Ma nel processo non è emerso in modo clamoroso, non è mai venuta fuori un’attività di trascinamento, di gente in piazza. Non è che c’erano state manifestazioni pubbliche, documenti. Qualcuno ha detto anche questa ragione. Come vede ci sono tanti moventi. Certamente è stato ucciso dalla camorra. Chi viene ucciso dalla camorra è una vittima della camorra. Ora se è un martire bisogna capirlo dal movente che non è stato chiarito”.

È stato chiarito. Lo Stato Italiano considera Don Peppe un martire della battaglia antimafia, migliaia di persone hanno sfilato in sua difesa. E i documenti che non ci sarebbero, ci sono eccome. Hanno non solo un nome, ma anche un titolo: “Per amore del mio popolo non tacerò”. È il documento stilato da Don Peppe insieme ad altri preti della forania di Casal di Principe in cui viene annunciata una battaglia pacifica, ma priva di compromessi alle logiche dei clan, al loro predominio, alla loro mentalità, alla loro cultura, alla loro falsa aderenza alla fede cristiana. Persino Papa Giovanni Paolo II, dopo la morte di Don Peppino Diana, pronunciò nell’Angelus: “Voglia il signore far sì che il sacrificio di questo suo ministro […] produca frutti [..]di solidarietà e di pace”. Per Giovanni Paolo non ci furono dubbi, fu un martire. Per Lei, Onorevole Pecorella, invece ce ne sono. Perché, mi chiedo?

Le chiedo inoltre se considera legittimo rivestire il ruolo di Presidente della Commissione Giustizia del Parlamento Italiano e portare avanti la difesa del boss Nunzio De Falco? Lei immagino mi risponderà di sì, che anche il peggiore dei presunti criminali, ne ha il diritto. Ma questo principio di garanzia vale soltanto fino al verdetto finale. Tale verdetto di colpevolezza del suo mandante è stato emesso e confermato. Quindi la prego di non diffondere falsi dubbi sulla condanna a morte di Don Diana. Chi ha ucciso Don Peppe Diana è uno dei clan più potenti e feroci d’Italia che ha ancora due latitanti, Iovine e Zagaria, liberi di investire, costruire, e portare avanti i loro affari.

Oggi, Onorevole Pecorella, lei è presidente della commissione d’inchiesta sui rifiuti, e i Casalesi, come saprà, sono i maggiori affaristi nel traffico di rifiuti tossici e legali. Loro quindi dovrebbero essere i suoi maggiori nemici anche se in passato ha difeso in sedi processuali i loro capi. La prego di avere rispetto per Don Peppe e non dare nuovamente credito a calunnie che negli anni passati killer e mandanti hanno cercato di riversare su una loro vittima innocente. Questa mia domanda non è questione di destra o di sinistra. La legalità è la premessa del dibattito politico, o almeno dovrebbe esserlo. La premessa e non il risultato. Quando iniziai a trascrivere delle parole che Don Peppe aveva detto nel Casertano ho ricevuto lettere commosse da molti lettori conservatori, da cattolici di Comunione e Liberazione sino ai ragazzi della Comunità di Sant’Egidio, dalla comunità ebraica romana e da tante altre.

La battaglia alle organizzazioni criminali, l’ho vista fare da persone di ogni estrazione politica e sociale. Ho visto, quando ero bambino, manifestazioni nei paesi assediati dalla camorra in cui sfilavano insieme militanti missini, democristiani, comunisti e repubblicani. L’onestà non ha colore, spesso così come non ne ha l’illegalità. Per questo, il mio non è un appello che possa essere ascritto a una parte politica. Non permetterò mai a nessuno, e come dicevo me lo sono giurato, che la memoria di Don Peppe sia oltraggiata da accuse false, demolite dai Tribunali, che ebbero il solo scopo di screditare le sue parole, emettendo nel silenzio il ronzio malefico “quello che dice non è vero”. Questo non lo permetterò. Lei mi dirà che questa mia è una battaglia troppo personale. Io le ribadirei che, sì, lo è, è vero. Tutto ciò che riguarda la mia terra, ormai riguarda la mia vita stessa e quindi non può che essere personale. Difendere la memoria di Don Peppe Diana è una questione personale anche per un’altra ragione: è una questione di onore. Onore è una parola che spesso hanno abusivamente monopolizzato le cosche facendola diventare sinonimo del loro codice mafioso. Ma è il tempo di sottrarla alle loro grammatiche. Onore è il sentire violata la propria dignità umana dinanzi a un’ingiustizia grave, è il seguire dei comportamenti indipendentemente dai vantaggi e dagli svantaggi, è agire per difendere ciò che merita di essere difeso. E io l’onore, l’ho imparato qui a Sud. Per meglio spiegarmi, mi sovvengono le parole di Faulkner: “Tu non puoi capirlo dovresti esserci nato. In realtà essere del Sud è una cosa complessa. Comporta un’eredità di grandezza e di miseria, di conflitti interiori e di fatalità, è un privilegio e una maledizione. Vi è il senso aristocratico dell’onore e dell’orgoglio”. Mi piacerebbe poter mettere una parola definitiva su questo. Su quanto accaduto a don Peppe. Permettere di farlo riposare in pace. Riposare in pace significa non chiamarlo in causa laddove non può difendersi. A volte, come accade a molti miei compaesani per cui conserva il suo valore, mi viene di rivolgermi a lui. Don Peppe se è vero che tu hai visto la fine della guerra, perché, come dice Platone, solo i morti hanno visto la fine della guerra, sta a noi vivi il compito di continuare a combatterla. E non ci daremo pace.
(Published by arrangement with Roberto Santachiara Literary Agency)

(Apparso su La Repubblica 1 agosto 2009)

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32 Commenti

  1. oggi, tramite un intervista su Repubblica, l’on Pecorella riesuma i professionisti dell’antimafia. Mi ero meravigliato che l’epiteto non fosse ancora risuonato.
    Don Peppino Diana l’ho visto a un convegno nella primavera del 92, a San Lorenzo a Napoli. Ne ebbe per tutti, politici e gerachie ecclesiastiche. A un certo punto slacciò il colletto, gettò all’aria le carte e abbandonò l’aula infuriato.
    Passò il tempo, scappai da Napoli. A Pasqua del 94 qualcuno mi telefonò in lacrime: “Te lo ricordi quel nostro amico prete? l’hanno ammazzato in sacrestia con due pallottole in fronte”.
    Ecco, dopo anni di dubbi, io sono felice di aver disertato (causa mancanza di lavoro, sia ben chiaro). Ma non per me o la mia pelle – di questo all’epoca non me ne importava, un incosciente? – ma per mia figlia. Però don Peppino non me lo sono mai levato dalla testa, ben prima di Gomorra.

  2. In un paese normale non ci sarebbero onorevoli avvocati che presiedono commissioni contro le ecomafie dopo aver difeso camorristi. In un paese normale forse si dovrebbe scegliere tra il ruolo di deputato eletto dal popolo e quello di avvocato, entrambi lautamente retribuiti, mentre un pensionato con la minima è perseguibile se si trova un lavoretto per arrotondare.
    In un paese normale l’opinione pubblica si indignerebbe e scenderebbe in piazza per manifestare contro l’inesorabile distruzione della democrazia che passa anche e soprattutto attraverso la delegittimazione di chi è stato ammazzato dalla criminalità, gettando ombre vergognose sulla sua memoria, e di chi cerca con ogni mezzo di combatterla quotidianamente.
    Non ho avuto il piacere di conoscere Don Peppino Diana personalmente, ma conosco tante persone come lui, sacerdoti e laici, gente che non ha paura di chiamare le cose con il loro nome e di denunciare i crimini, le prevaricazioni, i soprusi in una terra abbandonata al suo destino perchè a troppi fa comodo così. Non di un piano Marshall ha bisogno il Sud dell’Italia, come ho sentito dire in questi giorni da chi non conosce evidentemente le pieghe di una realtà complessa e terribile, frutto di pluriennali connivenze tra interessi di vario genere, principalmente illeciti. Il Sud, il nostro Sud ha bisogno di persone come Don Peppino Diana e di che, come lui, non ha paura delle parole, non ha paura della verità che è la sola arma per combattere la criminalità e le sue innumerevoli ramificazioni. Non abbassiamo la guardia, non dimentichiamo, non ci arrendiamo!

  3. La potenza di Saviano nel descrivere e combattere certe realtà sociali è assolutamente pari a quella di Don Peppe Diana nel biasimarle. La sua intraprendenza, il suo coraggio ed il suo orgoglio fanno di questo ragazzo italiano il latore assoluto della verità del Belpaese, come ha saputo ben fare Don Peppe quando ancora le sue parole e le sue lettere risuonavano nelle vaste campagne campane e nelle menti degli italiani. Annoverare nei propri taccuini che, nel luglio del 2009 ci sia ancora qualcuno che possa infangare la memoria e l’impegno di chi è morto proprio per questi ideali, lascia basito anche il più lontano e qualunquista essere umano. Constatare che ad affermare tali affermazioni sia stato un politico italiano, di quelli che avresti (forse) votato perchè “opposti” a Berlusconi, ti fa venire la pelle d’oca. Immagino (e non posso comprendere) la reazione emotiva di Saviano in tal merito. Questo articolo di Saviano, a mio avviso, non credo possa in qualche modo far capire quanto sia grave la situazione italiana. Ormai siamo spiacciati! Con le istituzioni ormai decadenti, e per istituzioni intendo la cultura e il sangue di un popolo, non abbiamo vie d’uscita. Grazie Roberto, perchè combatti anche per chi al momento non se la sente di farlo!

  4. L’articolo di Deaglio di una settimana fa, che riprende fatti altrettanto agghiaccianti, seppure legati a cosa nostra e alla politica, è passato del tutto sotto silenzio sulla stampa e anche – in fondo – qui sul blog
    (vedi: https://www.nazioneindiana.com/2009/07/24/le-millecinquecento-battute-di-enrico-deaglio/)
    Lui, come Saviano, in questo affilato articolo, non paiono pero’ rassegnarsi.

    Ma più in gnerale la tolleranza – quando non è palse connivenza – che il mondo politico e la rassegnazione che la cultura tutta ormai hanno nei confronti della criminalità organizzata, come inevitabile componente della nostra vita economica e sociale, non ha eguali se non in quelle democrazie recenti, traballanti, dubbie, uscite dall’ex mondo sovietico o prima addirittura dal Terzo Mondo.

    Ma ammetto una cosa. Nonostante gli sforzi di Saviano e di altri, la criminalità esiste per la maggior parte degli italiani solo quando ammazza e solo quando ammazza in luoghi ben circoscritti d’Italia. Quindi la criminalità esiste raramente, ad intermittenza, e lontana. Finché non ci spara addosso è un problema d’altri; ancor più se neppure spara, e semplicemente si permette di negoziare con il mondo politico.

  5. Ora che don Peppe Diana non c’è più è facile attaccarlo.
    Tanto i morti, che ci piaccia o no, non possono difendersi:
    Pecorella lo sa bene.
    Io non dimenticherò mai da che parte sto.
    Mai.
    Pecorella due riflessioni sincere dovrebbe farle. In qualità di essere umano.
    Se Pecorelle non si fa domande i casi sono due:
    O io sono un matto e vivo nel paese dei matti.
    O Pecorella ha capito qualcosa che il resto degli esseri umani ignorano.

  6. Lucio, il termine opposto non è appropriato. Hai assolutamente ragione! Non pensare che sia uno di qelli che vota B, come lo chiami tu. Purtroppo ci sono persone che pur di non votare B (anche se indirettamente lo votano lo steso) preferiscono votare chi gli sta accanto. Il mio opposto intendeva questo. Piccola defallance! Pardon.

  7. In Inghilterra, c’è chi si è dimesso e presto solo per delle “spese facili” ai danni dei cittadini. Qui si insinuano brutture su una persona deceduta, senza ritegno! E la libertà di stampa è pari a zero. Bravo Saviano,come sempre e grazie.

  8. è, che qui l’etica non esiste
    esiste saviano la memoria la piccola forza di chi come noi non rinuncia
    è solo un barlume d’accordo ma brilla
    c.

    e mancino nel Csm?

  9. Dopo la lettura di questo articolo è sempre più evidente il lucido impegno che questo governo e le cosche che rappresenta a danno dell’intera comunità nazionale, stanno subdolamente rivolgendo verso l’ottenimento di una scientifica delegittimazione delle isituzioni repubblicane, ma ancor di più risulta evidente l’interesse coltivato in relazione al sistematico tentativo, finora riuscito e mai messo in discussione, di costruzione di un’adeguata copertura del sistema di controllo paraistuzionale storicamente esercitato, a suon di miliardi, di lire un tempo, di Euro oggi (vedi i 4,3 di euro miliardi recentemente “pagati” alla Regione Siciliana) su una parte del paese, il Sud, a vantaggio di un’altra parte, il Nord, ampiamente rappresentata all’interno di quelle stesse istituzioni oggetto, oggi come non mai, di un radicale, silenzioso, strisciante ed inesosirabile processo di viscerale trasformazione, volto alla “furba” istituzionalizzazione della naturale vocazione al compromesso e al ricatto (dunque al metodo mafioso) che questo paese da sempre esprime, al posto di quella compiuta idea di sè, tramite cui ancora non riesce a darsi agli occhi di chi per pura convenieneza strategico-militare, pur continua a concederci un posto al tavolo dei “Grandi”.
    Di fronte a tutto questo non posso che essere profondamente indignato e sposando, per quel che vale, la causa di Roberto Saviano, sono decisamente preoccupato, in relazione a quanto sta accadendo in questo Stato repubblicano che ancora per poco potrà continuare a chiamarsi Italia.
    Tutto è strutturato, pensato e posto in essere allo scopo di conservare i grandi interessi strutturali di questo Paese. Giorgio Napolitano ha parlato di necessaria interdipendenza tra Nord e Sud, ma quello che mi chiedo è: Di quale tipo di interdipendenza stiamo parlando?
    Oggi l’Onorevole Pecorella, come emerge dallo stesso articolo di Saviano, in qualità di presidente della commissione d’inchiesta sui rifiuti, non può far finta di non sapere quali siano i veri interessi strutturali forti che muovono e che stanno trasformando l’Italia.
    A tal proposito, mi permetto di rivolgervi l’invito a leggere e a riflettere su quanto espresso da Eugenio Scalfari attraverso l’editoriale di oggi (02/08/2009) su Repubblica, allo scopo di prendre piena coscienza del fatto che anche noi non possiamo più far finta di non sapere e, nonostante non ci sia concesso “averne le prove”, di non considerare che:
    Salò sta tornando, con tutte le sue leggi edificate su capitali sporchi, marci (da oggi in fase di rientro grazie allo scudo fiscale fissato al 5%). Non facciamoci inculare una seconda volta e ricordiamoci ciò che disse Giuseppe Mazzini mentre si occupava della costruzione di una cosa bella e vera come l’Italia: “Se Italia sarà, questa sarà ciò che il Sud sarà”. Oggi il Sud deve rifare l’Italia, è chiamato a immaginare il suo contributo pulito e se non ce la farà, molto probabilmente, di Italia non si parlerà…più. Prima di un partito però, per altro corrotto, seppur per via istituzionale, ancor prima di costituirsi, ci vuole un popolo, animato da valori ed interessi comuni…da riscoprire, da rileggere, da “rivendicare”…rivedichiamoli…e difendiamoli!

    […] abbiam fatto l’Europa, facciamo anche l’Italia […] (tratto da: “Io non mi sento Italiano” di Giorgio Gaber)

  10. @ andrea inglese
    credo che in molti passiamo, leggiamo, apprezziamo e non troviamo motivo di commentare sempre. Se per dimostrare che son passata e ho apprezzato è necessario il commento, lo farò, ma ho il timore di intasare di superfluo

  11. Sono molto ferito. Dentro all’animo, per quanto affermato da Pecorella.
    Se proprio lui guida le indagini governative sui rifiuti significa che il governo Berlusconi è una chiara espressione delle istanze dei Casalesi (e Bocchino è la prova di quanto asserisco).

    Controllano direttamente le attività di gran parte d’Italia.
    Hanno di fatto conquistato il Paese.
    E gran parte del PD è riverente.

  12. Giusto arrabbiarsi, giusto ribadire la verità sulle vittime del Sistema, altrettanto giusto indignarsi per le affermazioni successive di Pecorella. Rimane la sensazione diffusa di ignavia, lo sguardo vago di chi non sa o non ricorda l’esistenza di chi è stato eliminato, un sottofondo di “perché fanno tanto casino?” – Risvegliare la coscienza civile di una nazione è già impresa titanica, dare questo genere di coscienza a una nazione che non la possiede potrebbe non essere possibile.

  13. In risposta ad Angelo Benuzzi:

    …ma allora cosa dobbiamo fare? Dobbiamo rassegnarci all’annientamento sistematico del principio di rappresentatività governativa, a vantaggio dell’esercizio di un comando esercitato su mandato popolare, per non dire plebiscitario, ottenuto tramite l’inganno mediatico/populista, che ha collocato al potere una classe politica Ur-facsista (per dirla on le parole di Umberto Eco)?
    Se dopo 150 anni, 60 dei quali repubblicani, non c’è una coscienza civile da risvegliare e non possiamo neanche darla perchè non siamo capaci o non ce la meritiamo, allora l’alternativa è fuggire.
    Ma siamo sicuri di poterci poi dignitosamente guardare allo specchio, di non vergognarci, di poter essere accolti senza sbeffeggiamenti da un eventuale altrove e in ultimo di poter essere veramente liberi di dire e di fare quello che più riteniamo giusto e legittimo, secondo una coscienza, la nostra, a quel punto già sporca di dimenticanza e codardia di stampo sabaudo?
    Si può anche fuggire, ma quello che mi chiedo è: Dove?

  14. Per Lino; io mi sto domandando se esista una coscienza civile nazionale. Nessun dubbio che il singolo possa averla o che gruppi di persone possano manifestarne una comune. Io personalmente non solo non mi rassegno ma credo nella possibilità di avere un futuro dignitoso in questo paese anche da quel punto di vista. La cronaca di questi anni post tangentopoli a mio parere dimostra come la costante manipolazione dei fatti e la pressione mediatica possono condizionare le opinioni e gli orientamenti politici. Questo non vuol dire che gli italiani non siano capaci di libero pensiero e/o di avere una coscienza civile. La storia della nostra repubblica è fatta di inganni, manipolazioni, corruttele e convivenze con il crimine organizzato, il che fornisce un terreno davvero ostile per far crescere qualcosa di buono. Allo stesso tempo vediamo sulla scena culturale e professionale personaggi in grado di manifestare con i fatti, ogni giorno, scelte e comportamenti di grande livello. In sintesi: si può fare ma è durissima.

  15. [da: Il tempo della Voce”, Longanesi & C. – Vallecchi, 1960]

    Bellaria, li 29 agosto 1911

    Caro signore,

    ieri è venuto da me il signor Serra, che non conoscevo. Abbiamo parlato di lei, o per dir meglio, il Serra ha detto di lei cose assai nobili.
    Ricevo oggi il n. ultimo dell’Illustrazione. Grazie. Ho piacere che quelle novelle non siano sepolte da un silenzio che offende, e lei non può credere quanta consolazione mi abbiano dato il suo scritto ed altri an­che troppo lusinghieri in altri giornali e da scrittori di molta autorità. Ma senza assumere atteggiamenti di modestia inutile, creda se le dico che della rino­manza letteraria non mi preoccupo, né ci ho fede. La mia vita, del resto, è tale che non saprei ricavarne alcun profitto. Quello che io vorrei sarebbe questo, che la nazione italiana non sentisse gli oltraggi come una specie di piacevole solletico: che questo popolo di tenori finisse di cantare dai palcoscenici, dal parla­mento, dai comizi per operare qualche cosa: sia pure il collettivismo. Ma più studio in minuto la storia del­l’Italia che fu, più perdo la fede.
    Io le stringo affettuosamente la mano, e quando avrò terminato certi lavori di testi scolastici, stia pur certo che manderò qualche cosa alla Voce. Ma non parli di compensi.

    Suo aff.mo
    Alfredo Panzini

    Il Destinatario della lettera è Giuseppe Prezzolini

    Il brano è tratto dalla Rivista letteraria Parliamone, diretta da Bartolomeo Di Monaco

  16. Le parole dell’evo attuale sono: corrompere, vendersi, abusare, mentire, soppraffare, predare, reprimere.
    Credo che si sia davanti ad un mutamento talmente radicale del senso dell’esistenza, che solo uno studio antropologico potrebbe ormai chiarire chi siamo e cosa è davvero l’Italia.
    Ci guardiamo allo specchio ma non riusciamo a vedere il nostro vero volto tanto è spesso il cerone ideologico che ci ricopre e ci camuffa da democratici e liberi, mentre tutti, ovunque, siamo invischiati in questa melassa anestetica che ci impedisce anche il più piccolo moto di ribellione.
    Nessun rigurgito, nessun sussulto, nulla.
    Cosa deve accadere?
    Che scorra il sangue, alto sangue, di chi ormai?
    Non è valso nemmeno quello che è già stato versato.
    Cosa deve accadere?
    Interpretatela non come una domanda retorica, ma come una vera e propria, circostanziata, richiesta di aiuto.

  17. Per Madeleine; per quanto sia assurdo, dobbiamo sperare nella crisi. Secondo gli studi più seri, tra il secondo semestre del 2009 e il primo del 2010 in Italia andranno persi almeno 800.000 posti di lavoro (stima considerata prudente). In pratica anche il fecondo nord-est rischia il crollo, con tutto quello che ne consegue. Se non basta neppure questo a svegliare i nostri connazionali…

  18. Davvero i movimenti di protesta nelle piazze possono essere ancora efficaci? La notizia del sangue di giovani inermi potrà davvero sovvertire qualcosa? O non saranno moti come sempre contenuti, e con sempre maggiore raffinatezza, convogliati in direzioni “utili”? Anche i movimenti nelle piazze degli anni ’70, in fondo lo erano, così come è stato per Genova..
    Quale possibilità avranno i singoli che nelle strade grideranno, se a veicolare le loro voci sarà soprattutto la televisione? Se dunque la loro non sarà più una voce di protesta ma qualcos’altro, quella melassa anestetica della quale parlavo, che sovrasta ogni gesto, anche quello più forte e disperato?
    Non so davvero se ci saranno mai più operai che faranno paura a qualcuno, e se anche fosse, non avranno modo di farsi sentire, se non tra uno spot e l’altro.
    MI manca l’aria.
    (Angelo:grazie per avermi ascoltata)

  19. affermazioni come queste hanno lo scopo di delegittimare davanti alla popolazione la lotta di quanti ancora si ostinano a combatterla. Il vero tentativo non è tanto quello di colpire la memoria di chi diventato martire è diventato segno di emancipazione e di ribellione, o di insinuare il dubbio sulla sua opera, ma quello ancora piu pericoloso, perchè efficace, di iniettare paura, spaventare, serrare i ranghi tra coloro che nei tentennamenti stavano quasi per passare dall altro lato della barricata… . Pecorella sa che può dire queste cose perchè può dirle solo adesso come chi sa di restare impunito . Cmq, l italia è un paese sempre più sporco, dal 1992 ad oggi ho visto l ennesimo genocidio di cui parlava Pasolini, ma ancora più mostruoso perchè ci hanno tolto ogni speranza. L italiano è stato ridotto a un alieno, non nutre sentimenti che di sottomissione . E tuttavia, la lotta continua…

  20. mi riferisco alle affermazioni fatte da Pecorella, ovviamente, senza equivocare con alcuno dei presenti.

  21. Sì Madeleine, hai ragione manca l’aria. L’anestesia mediatica è asfissiante, ma d’altro canto tutto questo è frutto di un progetto ben preciso portato avanti dall’attuale classe politica e dell’attuale presidente del consiglio il quale affermò, non ricordo esattamente quando, ma comunque all’inizio della sua discesa in campo, che bisognava darsi come obiettivo politico principale quello di insinuarsi nei gangli comunicativi, culturali, politici, economci ecc…della società, occuparli secondo la ricetta gramsciana e ribaltare il sistema a vantaggio della nuova classe chiamata a dirigere il paese. Un’operazione autenticamente sovversiva, rispetto ad un modello di controllo della società che, a dirla tutta, non condivido, indipendemente da chi lo propugni.
    Quello di cui vorrei parlare è molto più vicino invece al concetto camusiano di “rivolta”, secondo la via indicata da Sisifo, attraverso la sua indolente ribellione all’eterna condanna inflittagli dagli Dei e da lui trasformata in virtù, accettandola come unica condizione di vita da cui ripartire per vivere felice.
    Cosa intendo dire: Dobbiamo modificarci geneticamente e diventare degli esseri anaerobi, o quanto meno capaci di vivere senza quell’aria fritta che il sistema mediatico, controllato a dovere, mette a disposizione solo di chi vuol porre questioni concordi con la dottrina imposta dal regime di turno.
    Bisogna tornare a parlare direttamente alla gente fuori dalla televisione e dentro le piazze, i caffè, le piccole librerie, le biblioteche, le case, proponendo idee che passino attarverso l’arte, attraverso la parola scritta secondo la forma del romanzo o della poesia, attraverso la pittura, la scultura, insomma attraverso tutto ciò che possa essere in grado di accendere un dibattito, ponendosi però a diretto contatto con quel tessuto sociale che è necessario rigenerare, affinchè possa guarire dal tumore politico che lo sta affliggendo.
    Bisogna farsi cellule stminali embrionali di una nuova discussione che nasca nella società. Bisogna operare fuori dai grandi canali di comunicazione, di diffusione, di distribuzione. Bisogna fare come Sisifo, basarsi sulle proprie forze (eco-nomiche), per trasformare la condanna al silenzio, in voce silenziosa, anche perchè:

    Da tempo ormai i diversi Tg annunciano tagli al F.U.S., il governo italiano vuol provare a governare la libertà di tutti a vantaggio dell’unica libertà possibile, quella di chi governa, il cui strapotere economico succhia, cavalcando e se è il caso scavalcando le normali leggi di mercato, dignità dalle tasche di chi deve lavorare per comprare ogni sorta di bene e servizio, una volta garantito da una strana e ben congegnata entità istituzionale chiamata Stato Sociale, di cui oggi si celebra il tacito funerale. Allora la domanda è: “Che cos’è la ricchezza?”
    Dalla risposta a questa domanda potrebbe nascere forse un nuovo concetto di potere, un nuovo sentire comune intorno a cui costruire una Nuova idea di Ci(vil)ttà.

    Una poesia di Charles Bukowsky dal titolo A VOLTE C’E’ UN BUON MOTIVO PER SENTIRSI A TERRA recita:

    Ci vogliono soltanto 6 o 8 leader politici inetti
    o 8 o 10 scrittori, compositori e pittori pseudoartisti di merda per
    far tornare indietro il corso naturale del progresso
    dell’umanità
    di 50 anni
    o più.
    Magari a voi non sembrerà granchè
    ma è più della metà della vostra vita
    e per tutto quel tempo non avrete la possibilità di
    sentire, vedere, leggere o sentire quel
    dono necessario di arte straordinaria di cui
    altrimenti avreste potuto godere.
    Il che può non sembrarvi una tragedia
    ma a volte, forse, quando non vi sentite al
    massimo la
    sera o al mattino o a
    mezzogiorno,
    forse quello che sentite mancare è
    quello che dovrebbe essere lì per
    voi
    ma che non c’è.
    E non dico una bionda in
    collant velati,
    dico quello che vi rode le budella
    anche quando lei c’è.

    La Città Nuova rappresenta il tentativo di cercare proprio quella cosa che “…rode le budella anche quando lei c’è”. In questo senso è dunque anche una richiesta d’aiuto, poiché è uno strano bene quello di cui si va in cerca, il quale non solo non si può cercare in solitudine, ma è del tutto inutile farlo in quanto una volta trovato, ammesso che ci si riesca, se non viene condiviso con gli altri, perde inevitabilmente di significato, invertendo in tal modo persino il rapporto di dipendenza materiale che con quello stesso bene potrebbe andare ad instaurarsi, dal momento che ad un certo punto gli schiavi non sono più coloro che non lo posseggono, ma colui o colei che al contrario lo posseggono. Si tratta di un paradosso che fa riferimento ad un bene comune che non saprei definire qui ed ora, ma di cui sento il carnale bisogno:

    C’era una volta un uomo,
    che leggeva all’ombra di una albero con le natiche
    poggiate sul verde uniforme di un prato…artificiale,
    nel frattempo un arabo chiama a gran voce: Shan! Shan!
    Stava chiamando un ragazzo dell’Est.
    L’arabo, sarcastico, voleva sapere come mai i carabinieri
    non fermano un ucraìno, con la stessa veemenza utilizzata
    per fermare un tunisino.
    Shan risponde dicendo:
    “Io ho la pelle bianca, tu no!”
    A questo punto il lettore, scosso all’ombra della sua pace si alza a va via verso casa,
    realizzando in un momento che la sua pace fu scossa da chi invece non aveva casa,
    presso cui poter trovare un adeguato riparo…Quel tunisino, come tanti altri, non era e non è nient’altro che un filo d’erba un po’ più alto, anomalo…poiché ancora non gli era e non gli è stato concesso di essere un uomo…che legge…

    La Città Nuova dovrà essere quindi una ci(vil)ttà della lettura, poiché la prima vera forma di ricchezza è la libertà che risiede nel potersi pensare liberi, la seconda è invece direttamente collegata alla possibilità di agire liberamente, affinché la prima non finisca col configurarsi secondo la forma di una libertà giuridicamente ingannevole, dal momento che ogni dittatura è capace di garantire libertà di pensiero al popolo da cui ha “democraticamente” succhiato il consenso, a patto però che questa non si traduca in parola o, ancora peggio, in azione…appunto.

    La Città Nuova dovrà essere allora una ci(vil)ttà volta all’azione, in cui il pensiero da cui questa scaturisce e la cultura in cui lo stesso pensiero si traduce, non potranno più concedersi il lusso di essere innocue forme di libertà d’espressione, ma autentica espressione di libertà essi stessi.

    P.S.
    L’acqua cheta rompe i ponti…io, voglio crederci.

  22. Quello che mi tocca lo più è la nobiltà dell’articolo. C’è un sentimento di amicizia, di omaggio che supera la morte.
    Una testimonianza di cuore per un uomo coraggioso,
    una lingua d’amore verso una terra che soffre, respira a stento.

  23. Per Madeleine / Lino; francamente ho molti dubbi su una rifondazione concettuale del pensiero, per un movimento intellettuale che sappia sciogliere il giogo dei media. Temo invece sussulti violenti, moti di disperazione. Stanno togliendo il futuro a una generazione, si preparano a negarlo del tutto alla successiva. E’ il terreno ideale per fomentare uno scontro sociale, con tutto quello che ne consegue. A giustificare la reazione della popolazione non ci saranno ideologie ma l’ottocentesca necessità di riavere i propri diritti, di poter lavorare e sopravvivere in un terzo millennio che ricorda sempre di più la fase pre democratica. Forse sono io che sono troppo pessimista, può essere che io non abbia capito nulla di quello che ho attorno ma percepisco un livore diffuso, una spinta violenta e intollerante che dovrà sfogarsi da qualche parte.

  24. @Lino.
    Grazie per aver esplicitato soprattutto a me stessa pensieri e concetti che coltivavo confusamente, con un senso di frustrazione per l’incapacità di poterli definire organicamente a me stessa e quindi poterli proporre ad altri.
    Condivido gra parte del tuo intervento.
    Io purtroppo non ho alcuna capacità creativa, ho solo un crescente, insopportabile peso che mi assilla, con la stessa insistenza che può avere il pensiero di un debito da saldare o di un torto inflitto da riparare. Questo perso mi tiene spesso sveglia la notte.
    Vivo personalmente con una tensione interiore sempre crescente, che sta diventando uno spasimo, che è quel particolarissimo sentimento istintivo che in natura ha una madre che senta la propria prole minacciata da qualcosa di oscuro.
    E’ così che mi sento.
    NOn sono un’artista, non sono un’intellettuale: sono una donna di 45 anni, faccio un lavoro umile e logorante nel corpo e nell’animo, nel corso della mia vita ho attinto alla cultura come ad una bocchetta dell’ossigeno: nello studio, nella riflessione ho saputo trovare lo spunto, il principio per sopravvivere ogni giorno.
    Negli anni il livello dell’acqua è salito costantemente, ora sono in allarme, in tensione come chi è ad un secondo dall’iniziare a dibattersi senza controllo.
    Ho eliminato fisicamente la televisione.
    NOn possiedo più questo elettrodomestico.
    Non passa giorno che io non gioisca di questa scelta.
    Non passa giorno che io non colga qualcosa di positivo nella crescita e nello sviluppo dei miei figli, grazie alla sua assenza.
    Con sempre maggiore stupore mi accorgo dei silenzui imbarazzati quando comunico la mia scelta e spiego che ho scelto la libertà da questo giogo.
    NOn consento più a nessuno di entrare nella mia casa, nella testa dei miei figli.
    MI interrogo e mi chiedo se non sia trappo radicale, ma davvero, non riesco a trovare un buon motivo per possederla e tenerla accesa.
    Ma questo non mi basta, non mi appaga.
    Per questo vi ho detto che mi manca l’aria: mi terrorizza l’ottundimento che colgo intorno a me, parlo come madre, come donna-della-strada, ho paura di questo ottundimento che può fare dei miei figli dei diversi.
    Penso alla ribellione e mi consolo nel dirmi che ho realizzato l’unica che mi fosse concesso fare.

  25. Per Madeleine e chiunque altro voglia accoglierla, ecco la mia ribellione:

    Lino Manella

    14/08/2009, Lavello (PZ) – Basilicata

    Lettera aperta al Presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano

    Salve Presidente, mi chiamo Pasquale Manella, per tutti Lino. Le scrivo a nome di tutti coloro che avranno firmato questo appello all’indignazione civile. Sono un cittadino trentunenne del Sud di questo magnifico paese che, seppur ancora per poco, continua a volersi chiamare Italia. Sì, sono del Sud (Lavello – PZ – Basilicata), ma “ovviamente” vivo, come moltissimi altri, al Nord. Perchè? Lascio a Lei intendere quale possa essere, senza abbandonarsi a troppe dietrologie antisabaude, il motivo profondo della mia decisione di “emigrare” all’età di 19 anni verso gli Hiberna cisalpini. Se sono arrivato a scriverLe di persona ed in maniera così diretta è perchè la febbre di indignazione che da qualche tempo ormai mi “scalda il cuore”…e non solo, è arrivata a livelli di temperatura pari a quelli che si registrano sulla superficie della Luna quando viene baciata dal Sole.
    La febbre di cui parlo è una febbre profondamente antifascista. E’ contro un fascismo di colore verde che oggi vogliamo esprimerci e scagliarci, un fascismo di nuova concezione estetico-percettiva, ma di uguale forza emotiva e sgangheratezza intellettuale, che al colore verde ha rubato il significato popolare profondo che da sempre lo contraddistingue come il colore della speranza, a cui oggi possiamo sostituire, a giusta ragione e se non ci diamo una mossa, solo la disperazione di vedere l’Italia, la nostra Italia, quella che ci hanno insegnato a scuola, mortificata nella sua storia e sfaldata, smembrata, distrutta nelle sue istituzioni nobili e repubblicane, poichè i più grandi alleati di questo fascismo si chiamano Mafia, Camorra, P2. Lo diciamo, sperando di non eccedere in superbia, pur “non avendone le prove”.
    L’unica arma di cui per ora disponiamo è la libertà di pensiero, che ci auguriamo possa trasformarsi, anche attraverso questo canale privilegiato di comunicazione, in libertà di parola e se possibile d’azione, democraticamente significativa e pervasiva…radicalmente e staminalmente eversiva.
    Siamo il primo movimento eversivo che si mobilita non per la distruzione, ma per la ricostruzione di un Paese, in evidente fase di disgregazione economica, sociale e politica.
    A tal proposito qui di seguito troverà una filastrocca per bambini troppo cresciuti, ma non ancora sufficientemente maturi, rimasti fermi alla legge populista del taglione, furbi rètori d’assalto armati di televisione fino ai denti, abili costruttori e conservatori di interessi materiali e immateriali, storicamente postulati a svantaggio soprattutto di quella parte di paese da cui orgogliosamente e tragicamente provengo/proveniamo.
    Siamo governati da un puttaniere ur-fascista senza opposizione che attacca la libertà di informazione e avalla gabbie salariali, oltre che mentali, all’interno delle quali la perversione viene ancora confusa con l’omosessualità e la furbizia con l’intelligenza…non ce la facciamo più!
    La cultura non può e non deve più continuare a concedersi il lusso di rappresentarsi ed essere, in ogni sua declinazione, come un’innocua forma di libertà d’espressione, al contrario deve ricominciare ad essere autentica espressione di libertà essa stessa, poichè non è il popolo che deve essere delle libertà, ma la libertà del popolo. In questo senso anche la poesia dovrà tornare ad assumersi la responsabilità del suo compito etimologico, per far “Rinascere” questo paese dal basso, da sotto, da Sud ed è per questo che vogliamo tornare ad urlare dai “bassifondi” della civiltà:

    Viva l’Italia

    Rubo questo titolo a chi lo ha già cantato,
    perché sono molto preoccupato che non si sia
    ancora ben capito quanto
    sia importante essere non credente, ma pensante,
    anche nel credere che al di là del presente, dell’immanente,
    possa esistere una qualche confortevole forma di vita
    misteriosamente trascendente,
    affinché nessuno sia perdente,
    se non in un mondo che ti costringe,
    che finge,
    che ti munge,
    mettendoti di fronte al ricatto delle sfinge:
    “Chi è quell’essere che al mattino cammina su quattro zampe,
    al pomeriggio su due e alla sera su tre?”
    Senza sapere che in fin dei conti si sta sempre e
    comunque parlando di te, ma…
    ci siamo mai chiesti chi siamo,
    perché amiamo,
    o più semplicemente come ci chiamiamo,
    da dove veniamo, perché noi innanzitutto siamo…un plurale maiestatis,
    noi viviamo in mezzo al mare eppure ancora
    non abbiamo imparato a nuotare,
    insieme a chi ci viene ad implorare di poter mangiare,
    abbiamo una bandiera a tre colori,
    ma siamo sicuri che siano quelli migliori?
    A rappresentare i cuori degli spiriti nuovi?
    I nuovi schiavi del volere di alcuni veri clandestini della “civiltà”,
    auto-eletti populisti, razzisti
    neo-mafiosi, antimassoni eppur così stranamente pro-piduisti,
    integralisti, ur-fascisti:

    “Viva l’Italia!”

    Al bando i truffatori,
    i veri traditori,
    come ad esempio quelli che hanno nella testa sempre la solita,
    creativa, ributtante, opportunistica, lugubre nenia:
    “Padania”!

    Al bando i maiali immorali,
    senza ideali,
    che prima fanno “porcate” per poi mettere in scena la parte delle pie donne pentite,
    ma in realtà animate da istinti primordiali, o dicasi più semplicemente bestiali,
    che parlano di territori senza rendersi conto di costruire cimiteri,
    da recintare a custodia dei propri imperi,
    ma noi resteremo tutti interi,
    basta con le guerre tra poveri,
    che ci rendono miseri, per non dire miserabili, tragicamente ridicoli,
    impariamo ad esser sinceri, uomini veri, non duri,
    poiché non serve indossare giubbetti fosforescenti per apparire intelligenti,
    o tornare a parlare in dialetto per inseguire il già detto e fuggire il nuovo,
    il naturale divenire degli eventi che tocca tutti gli esseri viventi,
    non basta alzare le gambe come fanno i cani
    per preservare i propri confini,
    perché noi siamo italiani, non talebani e se non vi sta bene,
    non sono certo problemi nostri, ma vostri,
    cari feroci furbastri, nuovi mostri di efficienza,
    arroganza e facile auto-proclamazione del diritto all’autodeterminazione,
    come se già non esistesse una nazione da condividere, in cui poter vivere…anziché morire,
    io invece, che sono un libero cittadino di questo libero Stato, privo di ogni difesa da opporre alla sua libera Chiesa, io che sono indignato
    come lo era quel Peppino Impastato, di cui ognuno di noi si è maldestramente sbarazzato,
    io che sono italiano, come lo è ad esempio, se permettete, Roberto Saviano,
    avanzo solo una banale, già sentita e instancabile
    rivendicazione:

    “Viva l’Italia!”

    e la sua Costituzione…Repubblicana,
    non repubblichina,
    oh mia dolce, cara,
    bela Madunina!

    P.S.
    Salò sta tornando, con tutte le sue leggi edificate su capitali sporchi, marci (da oggi in fase di rientro grazie allo scudo fiscale fissato al 5%). Non facciamoci inculare una seconda volta e ricordiamoci ciò che disse Giuseppe Mazzini mentre si occupava della costruzione di una cosa bella e vera come l’Italia: “Se Italia sarà, questa sarà ciò che il Sud sarà”. Oggi il Sud deve rifare l’Italia, è chiamato a immaginare il suo contributo pulito e se non ce la farà, molto probabilmente, di Italia non si parlerà…più. Prima di un partito però, per altro corrotto ancor prima di costituirsi, ci vuole un popolo, animato da valori ed interessi comuni…da riscoprire, da rileggere, da “rivendicare”…riscopriamoli, rileggiamoli, rivedichiamoli…e difendiamoli!

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