I poeti appartati: Tommaso Foscarin

Due poesie
di
Tommaso Foscarin
Il Bottegaio
Li salutava mio padre,
con occhi fissi e denti stretti.
Ma, con sorrisi quieti e voci di miele,
mi sfioravan i ricci con dita di seta.
Ospiti di casa, parenti in divisa.
Ma nello sguardo cortese,
traspariva un inverno sottile.
S’insinuavano quelle serpi gentili,
oltre l’uscio non chiesto.
Frugavano i miri nidi di cuscini,
spalancavan cassetti.
E a mio padre stringevano i polsi,
tra spire di gelido acciaio.
Così rimase nuda la casa.
Tempio dissacrato,
bottega senz’artigiano.
Ed io, non scolaro né apprendista,
ma schiavo d’una scuola senza perdono.
Allora mutaron i loro visi.
Si disfecero le maschere,
sotto lingue come fruste,
occhi che scortavan ogni passo.
E tornò il gelo di quelle spire,
su quella carne mia già corrosa.
La bottega di nuovo vuota.
Ma oltre il sole lacerato dalle grate,
mio padre.
Canuto e stanco,
custode del mio stesso silenzio.
*
L’uomo che inseguiva la luce
Cresciuto tra mille fratelli,
venditori di sogni,
spacciatori di morte.
Le guardie scelsero me,
rendendomi cieco
alla vista del sole.
E dietro le sbarre
sognavano i miei occhi innocenti.
Ricordavano corse,
immaginavano cieli,
solo libertà dovuta.
Quando si aprì la porta
i fratelli gioirono,
gli amici m’accolsero.
Ed ecco la luce
che mi esplodeva in mano,
si faceva respiro,
illuminando notti
non più oscure.
Felice mostravo i denti
a chi con me scambiava parole
senz’esser capito.
Partivo spensierato per mete ignote,
viaggiando su improbabili arcobaleni,
a lungo sognati, mai posseduti.
Ma quelle notti da re
si sbriciolarono in fretta,
come scritte sulla sabbia
spazzate dall’onda del giorno.
E ancora inseguo quella luce,
d’una felicità sempre più breve,
sempre più fragile,
sempre più spenta.
Ora sul qui marciapiede
elemosino una luce.
Luce che non illumina,
luce che sfama e disseta.
Ora qui sul marciapiede,
rincorro arcobaleni.
