La natura ama il vuoto

Sì dolce è ‘l tormento SV 332
[Philippe Jaroussky- Jordi Savall]
di Giuliano Tosi
Un lampo.
Il riflesso acuminato del sole.
I due emisferi di bronzo scintillano, rotondi e lucenti, nel pomeriggio primaverile. Sono uniti a comporre una sfera metallica di circa sessanta centimetri di diametro e si comprende al primo sguardo che sono stati costruiti per combaciare in modo perfetto.
Le fruste schioccano in continuazione nell’aria polverosa. I muscoli tesi nello spasimo, il reticolo delle vene in rilievo, i nervi sul punto di cedere, le due pariglie da otto cavalli tirano con tutte le loro forze i due emisferi di metallo in direzioni opposte, cercando di separarli. Le corde sono ormai tese al punto che hanno smesso perfino di vibrare, e ora ronzano, come uno sciame di api sfinite in cerca di un luogo in cui posarsi.
A pochi metri di distanza, sotto un albero, con un lungo cappello nero sulla testa, il regista di quello strano spettacolo: uno dei quattro borgomastri della città di Magdeburgo. Impolverato, con gli occhi arrossati dalla mancanza di sonno, guarda attento, con gli occhi a fessura e un lieve sorriso sulle labbra. Si sta godendo lo sforzo vano dei cavalli e l’incredulità degli uomini che ha assoldato per l’esperimento.
Quei contadini assistono stupefatti, le bocche e gli occhi spalancati, senza fiatare. Non comprendono davvero quel che accade sotto i loro occhi, ma sanno riconoscere un prodigio quando lo vedono. Se potessero conoscere il senso di quello spettacolo, forse, la loro meraviglia si muterebbe in terrore. Come può il vuoto che riempie, se così si può dire, quella sfera lucente e la tiene unita vincere la forza di sedici cavalli spinti allo spasimo? Come può il nulla essere più forte dell’essere?
D’improvviso il lungo cappello nero si muove. Si avvicina ai due emisferi scintillanti. Con un gesto teatrale ferma le fruste. Poi, usando ostentatamente solo due dita, svita la valvola che spunta da uno degli emisferi e questi, senza sforzo alcuno, si separano da soli e cadono a terra, lasciando liberi i cavalli. Questa volta gli spettatori non possono trattenere un mormorio di stupore, che l’uomo incassa compiaciuto.
Mentre quegli uomini giocavano con il vuoto in una radura della campagna nei pressi di Magdeburgo, a circa trecento chilometri di distanza, a Münster e a Osnabrück, tre diversi trattati di pace si rendevano necessari per mettere fine alla più devastante guerra dell’età moderna, che meno di vent’anni prima, nell’anno di grazia 1631, aveva saccheggiato e devastato anche la stessa Magdeburgo.
Al centro di quella radura, al centro di quell’uomo, il cuore batte forte.
Il petto si alza e si abbassa sotto l’azione di un respiro emozionato, le mani si muovono irrequiete senza sosta, le gambe si tendono nervose. Non si tratta, però, degli effetti della riuscita dell’esperimento.
L’uomo è destinato a diventare uno dei maggiori fisici della storia. Il suo nome è Otto von Guericke e con quell’esperimento sta per cancellare per sempre la millenaria convinzione aristotelica che la natura abbia orrore del vuoto e che perciò lo riempia costantemente. È riuscito a costruire una pompa da vuoto, e con questa presto stupirà l’Europa con i suoi esperimenti pubblici. In questo pomeriggio di primavera, davanti agli occhi di pochi contadini ignari della Storia, è riuscito per la prima volta a svuotare l’interno dei due emisferi e a dimostrare l’enorme pressione esercitata dall’aria dell’atmosfera.

In seguito, replicherà quell’esperimento prima a Ratisbona alla presenza del Reichstag e dell’imperatore Ferdinando III, impiegando in quell’occasione ben trenta cavalli, poi di nuovo a Magdeburgo, sua città natale, infine a Berlino, alla presenza di Federico Guglielmo I di Brandeburgo, con ventiquattro cavalli. Ogni volta l’esperimento sarà coronato da un clamoroso successo.
Oggi, però, la gioia di quest’uomo non è solo la gioia di uno scienziato a cui sia riuscito un esperimento importante. È una vittoria molto più essenziale, in cui ne va del senso della sua stessa vita.
Dorothea Lentke non era una donna di cui ci si potesse innamorare a prima vista. Non che non fosse bella: i riccioli neri erano morbidi, gli occhi profondi, le guance rosate, la bocca piccola e ben disegnata, il collo lungo e delicato, la figura esile ed elegante, e così via. Al primo sguardo, però, appariva una bellezza piuttosto ordinaria.
Otto von Guericke non era però un uomo che si fermasse al primo sguardo. Forse per deformazione professionale, osservava il mondo con meticolosa precisione. Ed era così che aveva scoperto su quel volto un breve mistero. Quando Dorothea Lentke sorrideva, i suoi occhi e la sua bocca si comportavano in due modi assai differenti e, in un certo modo, incompatibili. Gli occhi ti scrutavano dritti e implacabili, mentre la bocca si increspava ironica, disegnando un’imprevedibile e asimmetrica fossetta all’angolo sinistro delle labbra.
Per farla breve, il fisico, che era vedovo ormai da anni, se ne innamorò profondamente. Dorothea Lentke lo respinse con una fermezza gentile e per questo ancora più irremovibile, e per Otto von Guericke fu la catastrofe.
Quando la passione afferra un uomo di scienza, è assai difficile che riesca a proseguire nelle proprie ricerche. Essendo per natura esclusive, due passioni non possono convivere; l’unica disperata soluzione potrebbe essere farle coincidere. In una certa maniera, sottile e contorta, von Guericke c’era riuscito e, in quel pomeriggio primaverile, aveva ottenuto il risultato al quale aveva dedicato i suoi giorni e le sue notti per più di quattro anni.
Appena giunto a casa, si sedette alla scrivania e scrisse di getto la lettera d’amore che aveva composto nella sua mente lungo quelle innumerevoli notti insonni.
Cara Dorothea,
questo pomeriggio ho compiuto un esperimento che cambierà la storia della fisica. Ho dimostrato senza ombra di dubbio che non solo la natura non ha orrore del vuoto, ma anzi che la natura ama intensamente questo stesso vuoto, si nutre di esso, e in esso trova il primo motore dei suoi passi e dei suoi giorni.
Che cosa c’entra tutto questo con noi due?
Sono convinto di poter trarre dall’esperimento un corollario per me decisivo: anche l’amore stesso, forza vitale per eccellenza, si fonda sul vuoto. Non trovo altro modo per spiegare l’amore, vano e disperato, che mi lega indissolubilmente alla Sua persona: è il vuoto del Suo cuore che mi attrae irresistibilmente. È per questo che nessuno può separare la metà che io sono dalla metà che Lei è.
La riuscita dell’esperimento non ha diminuito la mia sofferenza, né avevo speranza che lo facesse, ma l’ha resa sensata, ragionevole. Ora, almeno, il vuoto che abita il cuore delle mie ore non è più un vuoto di senso.
Seguiva un saluto piuttosto formale e una firma frettolosa, come se l’imbarazzo per quella lettera assurda e commovente fosse emerso solo all’ultimo.
Non solo Dorothea Lentke non rispose alla lettera, ma per diversi mesi non volle più nemmeno ricevere in casa sua l’autore.
Finché una mattina, esasperato, lo scienziato si recò per l’ultima volta a casa Lentke. Celata sotto il mantello, portava un’ingombrante pistola a ruota. L’uomo era determinato a chiedere a Dorothea per l’ultima volta di sposarlo e, in caso di rifiuto, a farla finita, sparandosi e lasciandosi portare via dalle correnti dell’Elba.
Quel mattino, Dorothea Lentke ascoltò le commosse parole dell’uomo in ginocchio sulla soglia di casa sua. Quando l’uomo tacque e sollevò uno sguardo interrogativo, lei sorrise, la bocca piccola e ben disegnata si increspò leggermente, una minuscola fossetta comparve proprio laggiù a sinistra, e accettò di sposarlo.
Allo scienziato sbalordito spiegò che la tenacia di quell’amore aveva, alla fine, rotto la diga e inondato il suo cuore.
L’uomo era felice, felice come non lo era mai stato.
Lo scienziato, invece, si chiese, in un angolo, a bassa voce, come si conciliava quel fatto inaspettato con la sua teoria.
Otto von Guericke e Dorothea Lentke si sposarono nel 1652. Subito dopo, il fisico cominciò le celebri dimostrazioni pubbliche della potenza del vuoto. Le biografie ci raccontano poco o nulla della vita coniugale dei due. Non c’è dato sapere se quel riempimento improvviso del vuoto di un cuore avesse comportato, secondo la legge definita dallo stesso von Guericke, la fine di quella travolgente attrazione o se, al contrario, un felice matrimonio d’amore avesse alla fine smentito la teoria scientifica.
Non siamo perciò in grado di stabilire se, in ultimo, Otto von Guericke fosse stato sconfitto come scienziato o come uomo.
Nota: Quando si legge un libro di storia, e ancor più di storia della scienza, si ha la netta impressione che ciò che conta davvero venga taciuto. Le ordinate righe vergate dalla ragione relegano nell’ombra quel disordine che chiamiamo vita. Sugli studi del grande fisico tedesco Otto von Guericke (1602-1686) sappiamo molto, mentre del suo amore per Dorothea Lentke, che sposò, già cinquantenne, sette anni dopo la morte della prima moglie, non sappiamo quasi nulla. Come attratti da questo potente vuoto, non abbiamo potuto evitare di immaginare i legami sottili e difficili tra il mondo della vita e quello del pensiero, fino a raggiungere un punto in cui distinguere realtà e immaginazione risultava non solo impossibile, ma insensato.

Desidero esprimere il mio grande apprezzamento per i racconti di Giuliano Tosi, sapientemente equilibrati tra immaginazione, erudizione, delicatezza narrativa.