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➨ AzioneAtzeni – Discanto Dodicesimo: Carlo Lucarelli

    Discanto Dodicesimo*   Lucarelli, scrittore parmigiano, non è osannato dalla critica italica. Buon segno; gli osannati hanno belle pagine (non sempre, però) con dentro l’insulso e il vuoto, la lontananza dalla vita, la metafora in sostituzione della trama, l’incapacità o la paura di raccontare veramente se stessi e gli altri (non sempre, però). dalla recensione ‘Le nostre storie, i nostri terrori’ di Sergio Atzeni, in Scritti giornalistici (1966-1995)    

Sergio e io

di

Carlo Lucarelli*

“Sono sardo, sono italiano, sono anche europeo”. Nella bandella di copertina di Bellas mariposas leggo questa frase di Sergio Atzeni e non mi stupisco affatto nel trovarla identica a quella che a volte uso anch’io per definirmi: “sono emiliano, sono italiano, sono anche europeo”. È un modo per dire che sono uguale a tanti e lo sono proprio perché sono anche diverso, perché una mia voce nel coro che si fonde con le altre. Credo sia un po’ questo il senso di tante cose di Sergio Atzeni, la ricerca di una voce, di una parola, di uno stile che fosse sardo ma italiano, diverso ma uguale. Di uno così parliamo noi, dove il noi si allarga e da un’identità precisa diventa un NOI più grande in cui ci sono anch’io, europeo, italiano ed emiliano. È un punto di vista tutto originale e suo, con quei frammenti di storie in cui scavare e scavare, scolpendo le parole fino in fondo. La strada battuta da Sergio Atzeni non era una strada facile, era una strada che non passava attraverso la confusione, ma attraverso il rigore e la precisione. La strada di Gadda e di Camilleri, che Sergio batteva da un punto di vista tutto originale e suo e che il destino ha voluto desse germogli e non ancora frutti. Uguali ma diversi. Il primo libro di Sergio che lessi era l’Apologo del giudice bandito e mi riempì di entusiasmo. Di quell’entusiasmo bruciante che ti fa venire voglia di incontrare l’autore anche soltanto per digli ‘bravo’. In quel momento avrei voluto scrivere a Sergio, mandargli una lettera attraverso Sellerio, ma poi ho pensato che Bologna-Cagliari via Palermo fosse una distanza infinita e non l’ho fatto. Così lontani, così diversi. Poi succede che vengo invitato all’inaugurazione di una libreria Sellerio in centro Italia, assieme ad altri autori che come me scrivono per quella casa editrice. Appoggiato a uno scaffale di quella libreria nuova di zecca c’è un ragazzo e ha letto i miei libri. Mi dice che gli sono piaciuti e vengo a sapere che è sardo. Gli dico che c’è un autore Sellerio di Cagliari che mi piace molto, chissà se lo conosce. Si chiama Sergio Atzeni. Lui sorride e dice: “sono io Sergio Atzeni”. Passato il primo momento di sorpresa gli racconto che avrei voluto farmi sentire, chiamarlo o scrivergli ma che la distanza… “Quale distanza?” dice lui. “In questo momento non sto a Cagliari. Vivo a Castelfranco Emilia”. A pochi chilometri da casa mia. Così lontani, così vicini… così diversi. C’è un’altra cosa nei racconti e nei romanzi di Sergio Atzeni, che da Il demonio è cane bianco a Bellas mariposas, dalle prime parole scritte alle ultime, raccolte in questo unico libro di Sellerio, continua a risuonare decisamente. La fede nella parola narrativa, nella vitalità del raccontare storie che attraverso quel rigore e quella precisione, quella ricerca di un’identità feconda, diventano universali anche se parlano di altre persone, di altre leggende, di altri diavoli. È quella capacità che hanno gli scrittori come Sergio di scrivere parole che si staccano da una terra e da un cuore e restano sospese a mezz’aria. Forse è la scrittura stessa che è così, quando è sincera. Mi ricordo che quando seppi dell’onda che si era portata via quello che sarebbe diventato uno degli scrittori più significativi della nostra generazione, il primo istinto fu quello di aprire il diario che allora tenevo, mettere la data e scrivere: “È morto Sergio Atzeni”. *Ringraziamo Carlo Lucarelli per averci concesso di ripubblicare questo ricordo, pubblicato nel 1997 dalla rivista cagliaritana La Grotta della vipera  

* Azione Atzeni- mode d’emploi

di

Gigliola Sulis e Francesco Forlani

‘E scoprirai quello che resta di un uomo, dopo la sua morte, nella memoria e nelle parole altrui’. Sergio Atzeni, Il figlio di Bakunìn Il 6 settembre del 1995, inghiottito dal mare come l’amato Fleba il Fenicio, Sergio Atzeni perdeva la vita nelle acque dell’isola di Carloforte. Sardo, appena quarantenne, era stato militante comunista, anarchico leader studentesco, impiegato insoddisfatto, sindacalista, pubblicista. Dopo la fuga dall’isola, tra l’Emilia e Torino, divenne correttore di bozze, lettore di manoscritti per case editrici, sontuoso traduttore – un testo su tutti: Texaco di Patrick Chamoiseau. Per tutta la vita fu intellettuale rigoroso, poeta e scrittore immaginifico, autore di romanzi-mondo come Apologo del giudice bandito, Il figlio di Bakunìn, Il quinto passo è l’addio, Passavamo sulla terra leggeri, e di una cascata di racconti tra cui Il demonio è cane bianco, I sogni della città bianca, e Bellas mariposas. Come nel Figlio di Bakunìn, pensando oggi a Sergio, ci chiediamo: che cosa resta di uno scrittore, dopo la sua morte, nella memoria e nelle parole altrui? Per rispondere a questa domanda, abbiamo invitato degli autori legati all’opera di Atzeni a dare nuova vita ai personaggi o ai luoghi o alle atmosfere della sua opera. Interpretando, riscrivendo, stravolgendo creativamente, in totale libertà. Un coro di voci diverse per una raccolta di racconti brevi, una rifrazione e moltiplicazione di frammenti post-atzeniani. Assolutamente vietata l’agiografia, e ‘massima penalità per chi si prende troppo sul serio’, come scriveva Sergio in uno dei suoi ultimi articoli per “L’ Unione Sarda”. Nasce così il gioco del discanto*, da intendere sia come far decantare delle buone pagine in nuove storie sia come costruzione di voci in forma di polifonia medievale. * Francesco Forlani ‘Nella Sardegna magica in cerca di Sergio Atzeni, “Reportage”, n.10, 2012, ripreso nel 2017 da Minima Moralia Gigliola Sulis, Chi era Sergio Atzeni?’, “Le parole e le cose”, 22 novembre 2012  

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francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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