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Una proposta editoriale: Fausto Paolo Filograna

Cari lettori, autori, editori, questa è un’opera degna di nota. L’anteprima di un romanzo inedito ma non per molto, speriamo. effeffe  

da I primi figli

di

Fausto Paolo Filograna


French six-day rider
Edward Hopper, 1937

La seconda notte che tornavo a Casa di Moglie — che non è ancora la mia Casa, perché Moglie non la voglio ancora vedere troppo, perché di Moglie ho visto abbastanza — la seconda notte ho fatto in autobus tutta la lunga Strada di Casa di Moglie perché doveva in ogni modo dirmi una cosa, mi aveva confidato al telefono.

Ho parcheggiato la mia macchina in stazione, senza la minima calma, e ho preso l’autobus. Ho pensato “bene, è così che uno perde tutta la sua libertà”. Non quando bisogna sapere le cose, ma perché l’autobus ti porta dove vuole lui e non dove vuoi tu.

E di questi tempi non è raro che quasi ogni autobus sia soppresso, quasi ogni taxi sia parcheggiato in un angolo della stazione, ogni strada quasi chiusa, e ogni mappa stracciata, e nessuno si stupisce di niente.

Perché qui non si può parcheggiare da nessuna parte, qui in Città, e se parcheggi male te la portano via, e io so che più ti allontani dalle campagne e più sono degli stronzi, sì, qui in Città, e se parcheggi male qualche testa sudata alla finestra si sporge e ti guarda, e con gli occhi fissi chiama il carro attrezzi, e sono trecento euro, e allora io, anche se piove, ho lasciato la macchina in stazione. Anche se ora ho gli scarponi pieni di fango e di pioggia, che Moglie mi toglierà con violenza, con l’urgenza di chi ha bisogno di dire qualcosa.

Ora io sono sull’autobus, che è l’unico autobus per questa notte, sì, un autobus merdoso, perché da quando dicono che la pioggia incessante e merdosa ha rotto tutte le tubature sotto la Città e l’acqua è ovunque, non c’è che un autobus, questo, e tutti accettano di salirci anche se è in ritardo di ore senza guardare più l’orologio (alcuni hanno addirittura buttato l’orologio) – e anch’io ho aspettato ore e ore, per la precisione – guardano le insegne luminose della banchina degli autobus che annunciano la soppressione di ogni altro autobus tolto questo: del classico 21, del classico 33, del classico 89, e tutti accettano che arbitrariamente possa arrivare qualunque cosa, perché con la rottura delle tubature l’acqua ha cominciato a salire da sotto il terreno – quando a pensarci bene era sempre venuta da sopra.

Questo ha toccato chiunque, ha fottuto le teste. E sebbene “le cause di questo disastro siano evidenti” dice Moglie, “sono allo stesso tempo imperscrutabili per tutti”. Così di questi tempi assurdi e silenziosi la gente teme che da un momento all’altro il sangue non circoli più nelle vene nella solita direzione ma solo in quella opposta, perché la faccenda delle tubature si ripercuote su tutto, e forse l’urgenza di Moglie e della sua bocca dipende proprio da questo, e fuori da Città, si è cominciato a bisbigliare, la gente nasce senza cordone ombelicale davanti a medici assonnati. Come tutti i merdosi passeggeri di questo autobus. “Chi può dirlo”, dicono, di questi tempi non dicono altro.

La cosa normale è il freddo. Anche su questo autobus. Sì, fa freddo come fuori, perché a ogni fermata l’autobus si ferma e apre le porte e il gelo entra dentro, ed è come stare nell’inverno, e io mi devo stringere la giacca, e mi stringo anche le falde della giacca sulle gambe. Sembra che non abbia il tetto, né il telaio, sembra non abbia niente. Così per il freddo uno sta bevendo una birra, qualche posto più avanti, sì, tira su la lattina e poi la tira giù, per riscaldarsi, ha pochi capelli dietro, c’è il riscaldamento che butta aria calda come una bestia che alita, quello lì beve eppure ha freddo, e questo non è buono, no, io penso che è proprio messo male. Sì, più uno ha freddo più è messo male, questo l’ho capito, che il freddo non ha niente a che fare con la pioggia o l’inverno, perché se uno ha un piumino d’estate non significa che ha freddo, significa che è messo molto male. Che è malato, Signore Mio, malato dappertutto, e se dice ho freddo vuole dire solo “sto male”. Ma non voglio pensarci, perché Moglie sta male, nella casa alla fine della lunga Strada di casa di Moglie, che dovrò fare tutta per sapere quello che ha da dirmi e non essere fagocitato dal suo silenzio, che è ben peggio delle sue parole nei miei confronti, non pensarci, mi dico.

Uno che ha freddo così con una birra in mano è uno che si è bruciato, certo, guardalo, e anche io la vorrei quella birra, perché so che un po’ mi scalderebbe, ma io ho già dato, io non bevo più, specialmente dopo che mi sono messo in testa certe cose, ma quello sì è uno che so è bruciato, dentro di lui si è bruciato qualcosa, lui è uno di quelli che non tornerà più come prima, dice Conoscente. Ci sono certi, così, che sono bruciati e non torneranno più come prima, mi disse. Certi, disse, che sono “a pezzi”. E mentre lo dico appaiono delle immagini nella mia testa: io vedo una motozappa che si scalda tantissimo, è quella di Zio, sì, si scalda come non mai, ma va bene, va benissimo di inverno, può arare anche due ettari di terra ghiacciata, scheggiarsi i denti e conficcare schegge di metallo nella terra, dico per la violenza del motore, può abbaiare come un cagnaccio incatenato, ma se si brucia no. No, Mio Signore, se si brucia “è finita”, disse, allora “è un’altra cosa”, non torna mai più come prima, ogni cosa se la bruci non è nemmeno più una motozappa, nemmeno una motozappa rotta, nemmeno quella di Zio, che è l’immagine che mi riempie la testa, e io so che se anche tutto non è una motozappa, penso di sicuro, tutto funziona come una motozappa e niente funziona in altro modo. Io so, so tante cose, Mio Signore. Certi non si aggiustano più. Perché? Perché qualcosa è andato a male dentro di loro e non può più aggiustarsi, mai più, qualunque cosa facciano, e non puoi nemmeno più chiamarli persone, per come la vedo io ora in questo freddo autobus, ma solo bruciati, bisognerebbe quindi cambiargli nome, nome di battesimo, perché ora sono altro, a un certo punto diventano altro, c’è scritto signore o signora sulla carta di identità, come sempre, ma loro sono altro. Sì, “c’è un punto”, dice il bastardo che io chiamo Conoscente. C’è un punto “prima del quale una persona è una persona”, e dopo non più, un punto preciso, precisissimo, un passo, e conviene stargli alla larga; ma c’è chi vive apposta vicino al punto così e così, c’è chi gli piace e un giorno cade, attorno a quel punto preciso, e allora, io lo so, non è più una persona. Specialmente ora che un odore di distruzione circola nell’aria e tutti si domandano perché, dice Moglie.

Ma io ho già dato, e io ho già bevuto troppo e perso troppo e fatto male troppo, tu lo sai, Mio Signore, io non sono nessuno, io, anzi, io sono peggio di nessuno, per questo ti chiedo scusa, ti chiedo perdono per questi pensieri, perché in poco tempo, in un attimo, per così dire, in uno sguardo su quel poveretto la mia grande fede, ovvero la grande casa della mia anima che mi sono costruito cade e io divento cupo, oscuro, che vuol dire che la mia speranza se n’è andata, e con le forze per andare da Moglie devo ricostruirla. Solo un attimo, certo, ora guardami, mi faccio il segno della croce mentre quello solleva ancora la birra. È come il prete che solleva l’ostia, Padre Nostro che sei nei cieli, sia santificato il Tuo nome io dico. Fa freddo, Padre Nostro che sei nei cieli, sia santificato il Tuo nome. Vedo il suo fiato, che esce e si mischia al fiato che esce dal radiatore sotto i sedili di mezzo dell’autobus, e, Signore mio, non vedo l’ora di stringere il corpo caldo di Moglie, nudi, e che questa strada in mezzo a questi poveri maiali sia breve e breve anche quello che Moglie mi dovrà dire perché comincio a sentire addosso la cupezza di una lunga giornata di pioggia e di rassegnazione.

Acqua, acqua ovunque, piove in queste periferie di Città, penso su tutto il mondo, dappertutto, nelle campagne, sopra le dighe, sopra il mare, sopra gli oceani e il muso dei pesci, sopra i baffi delle bestie rivolti alla notte, sopra i camioncini della spazzatura, acqua su acqua, e qui ci sono solo pozzanghere, segnali stradali piegati, auto grondanti, gocce alle grondaie, piccioni da cui cola la pioggia, acqua nelle buche dell’asfalto, qua in Città, dove quelli che fanno le pulizie passano sempre, e l’acqua li castiga come noi, e loro, sotto il cappuccio nero, abbassano la testa e fanno il loro dovere del cazzo, e li castiga, e castiga i topi, e le formiche, e tutto avviene per il Tuo volere, davanti al quale ogni cosa vale uno. Questa Mio Signore è Città, pioggia e silenzio sono forse rami dello stesso brutto albero che c’è in fondo alla Strada di casa di Moglie.

La notte, penso, quando piove molto, come oggi, siamo tutti come tossici, sì come tossici maledetti che un calcio in culo getta per strada col loro bisogno, ognuno col proprio bisogno, tossici che attraversano la pioggia con la furia, dicevo, del proprio bisogno. E io so qual è il mio bisogno stanotte, il mio bisogno è il calore e il sonno, e forse anche Moglie, in fondo a questa strada, sperando che sia calda questa notte. Tra poco, all’incrocio con la Strada di casa di Moglie l’autobus si fermerà, e io in pochi passi vedrò la sua casa, e nella testa io vedo già tutto, il portone di casa, il campanello perché non ho le chiavi, e anche quando sono con lei, io mi sto immaginando.

Sì, ora che l’autobus è quasi arrivato, nonostante un ritardo sconvolgente, io so a che cosa ho pensato quando Strada di casa di Moglie era finita l’autobus ha girato e sono sceso, io so che il mio bisogno, quando sento il vuoto dentro, è proprio andare a casa di quella che io chiamo Moglie, sì, il bisogno resta così anche se, sempre, sempre lei dà di matto dentro la sua casa – e se non sempre, certo la maggior parte delle volte, e soprattutto la notte, la notte – e quando piove, non sopporta l’odore della pioggia e non sopporta che la si disturbi di notte. Ma io lo so che il mio bisogno è lei e non stare senza di lei, e tutta questa pioggia mi ha fatto venire voglia di starle vicino, sì, perché quando non era matta stavo bene, e so che con urgenza dovrà interrompere i suoi silenzi. Poi, mentre scendevo dall’autobus, la sopresa si è mangiata la scena che mi ero immaginato, quando ho visto davanti a casa la pala dell’escavatore.

 

Era grande, per lavori grandi, altissimo, appoggiato su un camion a qualche metro da terra che non potevo vedere che pezzi della casa di Moglie alle sue spalle.

Intorno vedo la lunga rete di metallo a maglie che lo chiude e gira tutto intorno ai lavori come per proteggerlo – ma da cosa? I lavori, sì, tutto montato forse due giorni fa dai lavoratori che si sciacquavano di sicuro nella pioggia per le tubature, sì, e ora la pala e il braccio idraulico sono tutti bagnati e lucidi, scintillano, sotto le luci del supermercato, e la pala è pulitissima, splendente come la fronte di Gesù col suo santo sudore, non avevo mai visto una pala pulita. Dietro, coperta, la piccola Casa di Moglie ai piedi del temporale e di una luna sferzata da venti cittadini, lì, mio Signore, io vorrei arrivare, alla finestrella illuminata dietro cui Moglie starà facendo la matta.

 

2 Commenti

  1. Grazie a Francesco Forlani e grazie all’autore per questa opportunità di leggere una prosa intensa, urgente, dolorosa, che rivela il disagio universale e maledetto che viviamo, e lo supera, secondo me, in una dimensione quasi biblica. Spero davvero di poter comprare presto il libro.

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francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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