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Piccola riflessione su “Lettera da Madrid” di Moresco

di Simone Ciaruffoli

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Ho sempre pensato che il desiderio di fare cinema fosse una tensione comune a quella del guardarlo. Che l’autore del film incontrasse a metà strada, nel limitare baluginante dello schermo, l’emozione sempre nuova provata dallo spettatore. E che in un bacio, in una concupiscenza inattesa tra artista e rosicchiatore di pop-corn, scoccasse come un colpo di fulmine l’amore eterno. E’ ancora così?

Ecco, ho sempre pensato questo, a dire il vero. Come un romantico e medievale percettore di commozioni, sono sopravvissuto a quella che Moresco chiama “dimensione ideologica di potere pervasiva e generalizzata che tende a negare ogni possibilità di creazione e di conoscenza non funzionali e a ridurli a piccoli esecutori inoffensivi e ingabbiati”.

Non ci sono parole migliori di quelle di Moresco. Ma rileggiamo quello che lo stesso scrive.

“C’entrano qualcosa queste noticine sulla pittura con Nazione Indiana? Io credo di sì. Mi veniva da pensare, di fronte ai quadri di Goya e alla meravigliosa e terribile libertà che si prendono, che oggi, nel Duemila, con tutta l’enfasi di questa epoca sulle presunte libertà e possibilità concesse dalle nuove tecnologie e forme di vita, gli artisti, gli scrittori, come tutti quelli che in una forma o nell’altra portano avanti una tensione di ricerca e pensiero, si trovano di fronte a una dimensione ideologica di potere pervasiva e generalizzata che tende a negare ogni possibilità di creazione e di conoscenza non funzionali e a ridurli a piccoli esecutori inoffensivi e ingabbiati. In questa situazione, ogni cosa è da riconquistare e nello stesso tempo da reinventare continuamente, ciascuno per conto proprio e con la propria ineliminabile e insostituibile solitudine e tensione ma anche con la possibile forza comune di un’amicizia e passione condivise, dando vita anche alle prime forme di movimento e di spostamento incisivo e attivo verso l’esterno, per cercare di rompere questa cappa e aprire la strada a possibilità diverse.”

E’ così, manca l’ossigeno, manca lo spazio entro il quale farlo almeno boccheggiare. Non c’è modo di convergere insieme verso un fronte di espressione autonoma, disarticolata dagli stilemi pronti/impacchettati/precostituiti. Riconciliati/rinfrancanti/addomesticati.

Alle mie spalle sta andando per l’ennesima volta Arca russa, mentre scrivo sento le voci e il silenzio di un’immagine fluida senza il rumore che fanno gli stacchi, i controcampi quando diventano tali. Quale purezza e quale disinquinamento ci riconsegna questo grande e paradossalmente “classico” film. Ma anche quanta voglia di ripensare al/il cinema senza dover per forza fare a pugni con il concetto stesso di “reinvenzione”, ci regala Sokurov.

Mi viene allora in mente che la nozione esposta da Moresco sia tutto fuorché inclinata verso un movimento, uno spostamento innovativo in avanti. Guardo/sento Arca russa e capisco che il “reinventare” di Moresco sta tutto dentro un ritorno allo Storia. Ecco l’invenzione, la re-invenzione più grande. Un piano sequenza a ritroso nelle sale dell’hermitage del nostro passato storico-artistico, umanistico. Non sarebbe forse questa la maggior espressione moderna, diciamo pure ribelle, sovversiva?

Se l’idea di moderno, impressa a fuoco nella plastica della tecnologia, è tutto fuorché sinonimo di individualismo e libertà, forse, un forse aperto a mille dubbi, la strada che ci rimane da prendere è quella che Moresco ci ha suggerito con Goya.

Quando all’inizio dicevo di una concupiscenza tra regista e spettatore, di una liceità di emozioni condivisa insieme, mi riferivo a quello che in passato l’arte cinematografica riusciva a offrire, in maniera maggiore rispetto ai nostri giorni, a noi spettatori, e noi ad essa.

Una carnalità che piano piano però si sta perdendo nei recessi sintetici di un potere politico e massmediale da far inorridire un’epoca intera. E per parlare di ciò che mi vede partecipe, una comprensione, e quindi un’informazione giornalistico-cinematografica, completamente assoggettata e asservita al potere di cui sopra. Priva della minima preparazione, onestà e desiderio di fare da collante, da cupido in favore di quel famoso bacio tra regista&spettatore, tra scrittore&lettore, tra l’artista e il suo sostenitore.

E così lo spettatore (lettore, uditore e via mestierando…) ben bene indottrinato ha imparato a sputare in faccia al regista o scrittore giusto, e a concedersi una pomiciata liberatoria con il regista o scrittore altrettanto giusto. Là dove il giusto, però, si situa nel luogo in cui il potere massmediale, omologante ingabbiante e dozzinale, ha poggiato le proprie chiappe ancora grondanti i residui spermatici del suo Padrone.

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2 Commenti

  1. […] La Camera Verde ha cambiato numero telefonico: chi volesse ordinare una copia di Altre ombre o di Curvature, o di altri testi èditi da Andrea Semerano, può chiamare il numero 06-6572894540, tutti i giorni (tranne il lunedì) dopo le 18. Oppure scrivere al consueto indirizzo: via Giovanni Miani 20, 00154 Roma. […]

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