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Ricordare Nadya Andjoman (1980-2005)

nadya.jpgdi Stefanie Golisch

Poco possiamo sapere della poetessa afgana Nadya Andjoman che un anno fa, a soli 25 anni, fu picchiata a morte da suo marito – una delle innumerevoli vittime di quella perfida religione-ideologia che attribuisce all’uomo il potere assoluto sulla vita di una donna. In un clima di quotidiana violenza legale che, anche dopo la fine del regime dei talebani, regna tuttora in Afghanistan, non può nemmeno stupire la notizia che il marito di Nadya, un ricercatore universitario della facoltà di lettere (!), sia stato assolto il mese scorso in ultima istanza dalla corte, tornando, dopo un breve soggiorno in carcere, al suo incarico universitario, riabilitato a tutti gli effetti.
Per le autorità afgane Nadya è morta d’infarto. O si è suicidata. Poco importa la verità in un contesto sociale dove la morte di una donna, per omicidio o suicidio che sia, è un fatto quotidiano. Dopo le ultime informazioni di Medica Mondiale, ogni tentativo di fare chiarezza sul caso Nadya Andjoman sembra ormai definitamente fallito.

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A differenza di tante altre donne senza nome né viso, Nadya ha lasciato una piccola traccia: due volumi di poesie, scritte prima di sposarsi, che fecero di lei una voce promettente nel panorama letterario del suo paese. Appartenendo alla cosiddetta classe colta del suo paese, aveva scritto poesie dall’età di quindici anni, più tardi studiava lettere all’università di Herat. Soprattutto nel suo secondo libro, intitolato Fiori di fumo, i critici afgani le riconobbero un linguaggio nuovo e una inquietante vitalità del contenuto: un appassionato elogio della vita sotto l’incessante minaccia di morte. Nelle uniche due poesie che si possono leggere nella traduzione tedesca in internet, il leitmotiv è proprio un grido soffocato che diventa il simbolo della vita stessa – tanto più amata e desiderata, quanto più negata ad ogni singola donna.
Città dei poeti viene chiamata in Afghanistan Herat, la città dove si svolse la breve vita di Nadya Andjoman, per la sua lunga ed illustre tradizione letteraria; oggi Herat può vantare il primato della più alta percentuale di suicidi femminili. Non avendo a loro disposizione né armi, né farmaci e nemmeno case a più piani, le donne di Herat usano solitamente il petrolio delle loro stufe di cucina per darsi fuoco, anticipando con l’unico gesto di autodeterminazione possibile, il proprio omicidio da parte di mariti, fratelli, padri.
Nadya Andjoman non ha utilizzato il petrolio, ma si è difesa con la parola. Nel troppo breve periodo a lei concesso, dà voce all’impotenza, alla rabbia e alla disperazione davanti alla scelta fra morte e morte.
Non voleva morire solo vittima.
In un atto filologicamente alquanto azzardato – traduzione da una traduzione – propongo, per ricordare Nadya Andjoman a un anno dal suo assassinio, due sue poesie, tradotte da me dalla traduzione tedesca di Mariam Notten.
Poesie – per il palato raffinato del lettore occidentale – piccole; inizi appena di una voce in cerca d’identità.

Il diritto di gridare
Non ho voglia di aprire la bocca
di che cosa devo parlare?
che voglia o no, sono un’emarginata
come posso parlare del miele se porto il veleno in gola?
cosa devo piangere, cosa ridere,
cosa morire, cosa vivere?
io, in un angolo della prigione
lutto e rimpianto
io, nata invano con tutto l’amore in bocca.
Lo so, mio cuore, c’e stata la primavera e tempi di gioia
con le ali spezzate non posso volare
da tempo sto in silenzio, ma le canzoni non ho dimenticato
anche se il cuore non può che parlare del lutto
nella speranza di spezzare la gabbia, un giorno
libera da umiliazioni ed ebbra di canti
non sono il fragile pioppo che trema nell’aria
sono una figlia afgana, con il diritto di urlare.

Verdi passi della pioggia
Verdi passi della pioggia
lungo il cammino, qui
vita assetata, come un lungo deserto di sale e polvere
il loro respiro, riflesso dell’acqua, bruciante
gole secche e polverose
lungo il cammino, qui
fanciulle, avvezze al dolore, corpi scoiati
i volti defraudati della gioia

cuori vecchi e spaccati

nessun sorriso sulle labbra
nessuna lacrima dal fiume prosciugato dei loro occhi
dio!!
non so, raggiungerà il loro grido senza suono le nuvole
fino all’universo?
sono i verdi passi della pioggia

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24 Commenti

  1. c’è la cura di donna in questo portare ricordo di questa donna e poeta, così prigioniera che nei suoi versi si ha la sensazione abbia paura di affacciarsi, svelandola, sulla sua intimità quotidianamente violentata e sul contesto sociale, quotidianamente violentato anch’esso.
    ho cercato un po’ su google e almeno in rete, si parla pochissimo di lei.
    non sono riuscita a trovare articoli in italiano, è possibile?
    e ringrazio anch’io
    un saluto
    paola

  2. Belle le traduzioni e immagino anche gli originali.
    Chissà come sono in afgano, quei popoli hanno con la poesia un rapporto più naturale e spontaneo del nostro. Li invidierei, se qui non ci fosse ben poco da invidiare.
    Grazie per questa testimonianza.

  3. In effetti ha ragione cato, Nadia Anjuman Herawi (perchè così si chiama. Anjuman o andjoman, come lo trascrive stefania, credo sia solo il patronimico) è stata una mia fissazione e non solo perchè era stata uccisa dal marito (cosa che in occidente interessa di più quasi come se anche da noi non siano stati all’ordine del giorno, e ancora speso lo siano, simili omicidi e relative assoluzioni del maschio che faceva delitto d’onore che, vorrei ricordare, è stato eliminato solo negli anni ottanta), mi interessava, la dorata tessitrice di parole, perchè vento d’oriente (una blogger persiana) ci aveva tradotto, dietro mia richiesta, subito due belle poesie e una nota autobiografica (che giravano in rete), direttamente dal farsi (lingua letteraria sia dell’iran che dell’afganistan).
    Poi altre due poesie sono state tradotte da carmela sorrenti per nuovi argomenti.
    Io nel mio blog ho dedicato un settore alla bravissima nadia che dispiace proprio venga ancora soprattutto ricordata e quasi strumentalizzata, prima di tutto, come occasione per criminalizzare una religione i cui fedeli, tra l’altro, abbiamo e stiamo bombardando ferocemente in vari luoghi, facendo molti più morti di quanto da soli non potrebbero mai farsi.
    Ad ogni modo benvenute ugualmente queste due belle poesie tradotte, di cui ringrazio stefania.
    Mi piacerebbe molto conoscere il titolo originale della seconda raccolta di poesie (di cui non conoscevo l’esistenza) Fiori di fumo.
    geo

  4. Grazie dell’interesse e delle segnalazioni! Ovviamente non sapevo niente del blog di Giorgia che consulterò subito! Le mie informazioni ( anche la foto) derivano da fonti tedesche. In Germania sono la giornalista Ute Scheub della TAZ e la sociologa Mariam Notten – afgana – che si sono occupate di Nadya Andjoman. Inoltre vedo in rete che un teatro di Francoforte ha allestito una “istallazione” per ricordare Nadya. Ho tentato di mettermi in contatto con loro – purtroppo senza successo. A proposito del titolo originale di ” Fiori di fumo” ho chiesto a Mariam Notten e darò la risposta appena possibile. Ulteriori informazioni si trovano su questi due siti tedeschi : http://www.afghanistan-nimroz.de e http://www.medicamondiale.org.

  5. Il secondo volume di poesie di N.A. s’intitola Golhaye Dudy o anche
    Golhaye Dudi – le trascrizioni – evidentemente – variano…

  6. interessante pensieri oziosi, grazie, però anche da noi ci sono nomi che indicano solo la città, milanesi, bresciani, fiorentini, romano ecc. Questo, almeno da noi, non vorrebbe dire nulla, anche anjuman o (in persiano anjoman) come a suo tempo mi spiegò kelebek in una conversazione che ho riportato nel mio blog potrebbe essere solo un nome indicante un partito politico del padre.
    Insomma alla fin fine solo Nadia sarebbe suo … forse :-)
    Pensieri oziosi se tu sai un po’ il farsi potesti fare delle ricerche su internet e trovare veramente un sacco di cose su di lei e magari tradurle, o cercare qualcuno che le traduca, non dico poesie, ma proprio notizie su di lei, sarebbe veramente molto interessante.
    georgia

  7. intanto un grosso GRAZIE a pensieri oziosi che dandoci il nome di nadia in caratteri arabi permette di fare una ricerca in tutto il mondo che usa tali caratteri, naturalmente non ci capisco un hacca per ora :-) però intanto ho ritrovato la foto dei funeralidi nadia che nel mio post era scomparsa, intanto ho riempito quel buco.
    poi chissà
    geo

  8. grazie alle indicazioni di pensieri oziosi ho trovato un mp3 dove si può ascoltare una poesia di NA in lingua originale, se vi interessa trovate il link sul mio blog.
    Ancora grazie a stefanie e a pensieri oziosi e naturalmente a garufi e NI:-)
    georgia

  9. Contenta di poter essere d’aiuto, Georgia.

    Purtroppo il mio persiano è abbastanza scarso e non mi mette in grado di fare delle traduzioni. Comunque, il manoscritto che linchi viene presentato come “Scritto della compianta Nadia Anjuman, poetessa e scrittrice XY” dove XY non ho la più pallida idea di che cosa voglia dire.

    Ah, in basso a sinistra sul foglio, in quella che dovrebbe essere la firma si legge chiaramente il nome di Nadia.

  10. Se accadesse anche il contrario, se qualcuno di quegli illustrissimi dottori in legge e professori di lettere là, capitasse da queste parti e capisse la nostra lingua, vorrei che leggesse:
    “Porci che avete assolto un Porco che ha pestato a sangue una donna”
    e scusate se sono prosaica.

  11. io non avevo mai sentito parlare di una seconda raccolta, dopo Gul-e-dodi (o dudi) e ora che mi hai dato, trascritto, il titolo del “secondo” libro mi vengono alcuni dubbi, non ti sembrano anche a te troppo simili gul-e-dodi (che alcuni dicono gule dodi) e Golhaye Dudy ?
    Se esistono due raccolte forse non hanno un titolo così simile.
    Se hai qualche documento o accenno sicuro che parla di una seconda raccolta, posteriore a gul-e dodi (o dudi), che è quello che l’ha resa famosa (non escludo che ne esista una anteriore), me lo puoi indicare?
    Sai con ‘ste trascrizioni si fa un casino della madonna e non escluderei che lo stesso libro diventi, in due diverse trascrizioni, due libri :-).
    Tra l’altro vedo che in ambito inglese e tedesco usano trascrizioni del tutto diverse.
    La bibliografia nel sito da me indicato ieri parla di due libri (stampati o ristampati ora), ma hanno titoli molto diversi, uno è gul-e dodi da loro chiamato (secondo me erroneamente) Gole Dodi, e l’altro è Yek Sàbàd Delhoreh di cui non so assolutamente nulla.
    Sulla “o” e “u” mi avevano detto che una appartiene alla lingua letteraia e l’altra (ma non ricordo quale) sia più vicino ad una forma dialettale del dari, parlato in afganistan (naturalmente parliamo del parlato perchè nello scritto credo le vocali non vengano messe) ma questo pensieri oziosi forse lo può chiarire.
    Quindi la trascrizione nei nostri caratteri dipende dall’accento del parlante che l’ha comunicata.
    geo

  12. oddio sì, si chiama georgia. come quella che stava on his mind al cantante che dondolava tutto al pianoforte, come si chiamava? ah si, gEorge michaEl.

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sergio garufi
sergio garufihttp://
Sono nato nel 1963 a Milano e vivo a Monza. Mi interesso principalmente di arte e letteratura. Pezzi miei sono usciti sulla rivista accademica Rassegna Iberistica, il quindicinale Stilos, il quotidiano Liberazione, il settimanale Il Domenicale e il mensile ilmaleppeggio.
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