Sono come tu mi vuoi

Io sono specializzata in, che non riesco a capire se sia una qualifica che effettivamente vale nel mercato del lavoro ma, avendo cominciato a lavorare che avevo neanche, non mi posso lamentare del fatto che oggi a distanza di, la mia formazione è stata comunque articolata, piena di esperienze di tutti i tipi, come per esempio; ma dovendo ripercorrere dall’inizio il mio curriculum e lavorativo e formativo, dato che le due cose si sono intrecciate molto di più di quanto prevedessi e in molti casi hanno combaciato, devo ritornare al momento in cui. Allora già frequentavo da un anno un corso regionale per diventare, mi alzavo tutte le mattine per andare da casa mia fino a, che si trovava dall’altra parte della, e già allora, mi ricordo, mentre studiavo, tenevo una copia di, proprio lì accanto, e sottolineavo tutti i giorni i vari annunci per; inoltre mi ero iscritta alle liste dell’ufficio di collocamento qui, nella provincia di, passando non so quante mattinate e pomeriggi a fare la fila per capire come sbrogliarsi all’interno degli uffici e chiedendo a vari addetti quale fosse l’iter burocratico migliore, più utile, in modo da ottenere; ma indipendentemente dal mio impegno profuso a cercare lavoro, successe proprio che mentre mi barcamenavo tra tutte queste varie pratiche, spaesata, o al massimo orientandomi alla bell’e meglio, e non comprendendo neanche alla fine se tutto questo darsi da fare servisse a qualche cosa, potesse dare anche alla lunga un risultato, un giorno mi imbattei in un annuncio che diceva «Cercasi personale per»: così, senza troppo pensarci, contattai il numero e mi presentai al colloquio. Ed ecco arrivare il mio primo lavoro: firmai un contratto come, contratto che prevedeva. Questi che mi avevano preso erano una specie di società che si occupava di, anche se – c’è da dirlo – io non lavoravo strettamente alle loro dipendenze, il mio impiego praticamente consisteva nel, secondo il piano che mi avevano assegnato; all’inizio con loro – non proprio come avevamo pattuito – venivo occupata per non più di, il che, contando le giornate, voleva dire totalizzare un misero monte ore di; e quindi dopo varie settimane in cui, nonostante l’insistenza delle mie varie rischieste, non avevo ricevuto risposta, mi decisi a parlare con il: se mi aumentavano le ore bene, altrimenti. Ma queste fu una delle tante battaglie che si persero nel vuoto, perché mi spiegarono che se avessi voluto proprio occuparmi di, avrei dovuto acquisire formazione in un altro modo, per esempio frequentando un, oppure essere assunta ma con un contratto diverso, che oggi però loro non facevano più; e poi, senza che lo potessi prevedere, nel giro di un po’ di mesi comunque, sempre lì da loro, dovetti accettare di trasformarmi in. Questo, per come me lo spiegarono, avveniva a causa di quelle multinazionali che operavano e offrivano servizi all’interno della: e così ricominciai a lavorare ammonticchiando un quantitativo mensile di, che andavano da un minimo di fino al massimo di, a seconda del periodo dell’anno. Nel frattempo però mi ero anche iscritta all’università: non so se facendo valere più gli interessi personali o più una visione realistica del mondo del lavoro, alla fine mi ero decisa per la facoltà di, i soldi per le tasse li avevano pagati i miei (che a dir la verità continuavano e continuarono a finanziarmi buona parte, se non tutto, il mio ), e nonostante fossi diventata a tutti gli effetti una, tutto questo non determinava nulla di più che. Dunque, all’inizio dell’anno successivo, quando stavo cominciando bene o male ad abituarmi al mio ritmo giornaliero, mi arrivò invece all’improvviso una lettera da parte della, che mi spiegava che – causa minori investimenti da parte delle diverse aziende e il conseguente rischio di perdita di competitività delle tariffe – loro non erano più in grado di garantire ai lavoratori la continuità del rapporto di lavoro: in sostanza. Ci rimasi male, anche se, dopo lo scoramento, dopo essermi chiesta se in realtà ero io in qualche modo ad essere in difetto, erano forse le mie competenze a non essere adeguate, cercai anche di non farmi scoraggiare del tutto e provai a trattare con loro, ma senza esito; e alla fine dovetti accettare le loro condizioni anche perché, e l’unica cosa che riuscii a ottenere fu (“Ma”, mi dissero, “mi raccomando non dirlo agli altri”). Nonostante il cambiamento di mansioni e di retribuzione, il lavoro era in definitiva sempre lo stesso, i turni venivano leggermente modificati, ma soprattutto aumentava la fatica, e insieme lo stress per un lavoro che, che sicuramente non era il lavoro della mia vita, e per il quale mi sentivo molto spesso non possedere né le competenze né probabilmente la motivazione che invece era invocata da più parti come qualità essenziale, prerequisito e; e dall’altra parte, se dovevo considerare quello che ero riuscita a contrattare, dovevo constatare che nei fatti non mi era riconosciuta né l’indennità di malattia tranne nei casi di; risultavo priva delle tutele di maternità; e rispetto alla rimunerazione delle ferie e ai contributi, era previsto soltanto che. Ma tra una cosa e l’altra, stringendo i denti, e facendo leva alle volte sul desiderio di dimostrare ai miei di non essere una, riuscii comunque a resistere fino alla fine dell’anno, quando, preso atto di non poter più tollerare la situazione in cui mi trovavo – forse per colpa mia, viziata da aspettative false che mi ero creata, o più probabilmente incapace di relazionarmi concretamente con il mondo del lavoro per quello che era, con le sue dinamiche adulte che forse mal tolleravo – scoppiai e decisi di mollare e di comunicare allo: ne discutemmo un po’, ma la mia decisione non li sorprese, mi fecero un discorso che mi sembrò un po’ standardizzato sulle potenzialità e sulla determinazione e infine mi dissero che secondo loro io ero una persona, e per questo pensando al futuro sarei dovuta essere più. Mi rimisi a studiare, cercando comunque di concentrarmi su quello che mi sarebbe stato utile rispetto a un mondo che, e con uno sforzo ulteriore da parte dei miei riuscii a laurearmi: ci avevo messo la bellezza di, che però era effettivamente il tempo medio in cui tutti i miei amici si erano laureati; e a distanza di neanche pochi giorni dalla laurea, mi sbrigai a portare il curriculum, riscritto, ricompilato, aggiunto di quelle competenze informatiche sempre più, alle agenzie interinali, scegliendo soprattutto quelle che; avevo ormai optato anche per le agenzie interinali, laurea o non laurea, perché in quel momento, per quella che era la mia percezione, costituivano sicuramente una possibilità realistica, operativa (come si dice in gergo) di trovare lavoro, anche se dal momento in cui ti rivolgi a loro, devi in un modo o nell’altro acconsentire a tutte le occupazioni che ti offrono, anche se non le sai svolgere, devi essere sempre condiscente e disponibile, e devi soprattutto essere propenso a spostarti da un posto all’altro, a ridefinire il tuo ruolo con grande agilità come stagista o come apprendista a seconda dell’ambiente in cui vieni collocato, ma quel che a me capitava sempre più spesso è che quando cominciavo a impratichirmi con un lavoro mi ritrovavo che il contratto era, e di punto in bianco ero di nuovo nella condizione di aspettare un’altra occupazione, che magari non arrivava subito, e così in quel lasso di tempo, tra un lavoro e l’altro, la maggior parte del tempo la passavo a. Il primo anno ho cambiato fino a, con uno stress indicibile: ogni volta mi trovavo di fronte a capi diversi, colleghi nuovi, contesti lavorativi diversi, e dovevo adeguarmi, stare attenta non mostrare troppo i lati più eccessivi del mio carattere, perché magari bastava una telefonata per ritrovarti, o peggio senza un’altra minima possibilità di essere richiamati per. Quando mi stufai di questa situazione, lasciai tutto e trovai lavoro in un, dove facevo di tutto, venendo pagata in nero: un posto dove, a dir la verità – me ne accorsi dopo poco – mi sentivo sfruttata più che in qualsiasi altro posto dove, e anche lì riflettei se per caso fossi io ad avere tendenze masochistiche che mi spingevano sempre a trovare impieghi che non mi soddisfacevano e che come quello erano malpagati, e, anche qui, se forse ero io ad avere un tenore di vita troppo alto, troppo slegato dalla realtà di me stessa, come se mi immaginassi un ruolo, una condizione economica che in verità non potevo permettermi, che non era la mia, e così in definitiva – se dovevo fare un consuntivo – avevo sempre pressoché accettato le proposte di lavoro che mi avevano offerto, ma mi ero sentita sempre praticamente un’estranea, e così avevo considerato: forse questo è un falso problema, perché sul lavoro non dovrei sentirmi estranea? forse proprio semplicemtne lavorare vuol dire sentirsi estranei; ma al tempo stesso, ero preoccupata, da un punto di vista della formazione, dell’acquisizione di un modello lavorativo, del dover rendermi conto che invece di procurarmi competenze, sentivo che erano soffocate le mie abilità a scapito di, e veramente in questo senso potrei fare mille esempi di questo meccanismo, dovuto, secondo la mia visione, soprattutto ai comportamenti dei vari datori di lavoro nei miei confronti, comportamenti che forse sono improntati anche a una buona fede o a una miscomprensione di quelle che erano le mie caratteristiche, comportamenti che non riesco comunque certo a colpevolizzare. Attualmente sono disoccupata, anche se mi capita ogni tanto di lavorare nei, dove me ne accadono di tutti i colori, dalla tipa che mi manda via perché io, a quella che per risparmiare qualche euro sulla mia paga mi sostituisce con un’altra tipa che rispetto a me; e nel frattempo, nel resto del tempo della mia vita, in quello che almeno posso decidere di gestire come voglio io, o almeno mi illudo di farlo, diciamo che sto cercando di riequilibrarmi e almeno per adesso ho deciso questo: di staccare la spina, e che per un tot di ore al giorno, non ci sono per nessuno, faccio finta di non esistere, e se qualcuno mi vuole, deve venire qui, lui a cercarmi, a dirmi cosa sono.

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7 Commenti

  1. Omissioni e frasi tronche tolgono il respiro in tempi di prospettive schiacciate. Emozionante, come un racconto-fiume di un pendolare su un treno. Affannato, contagioso. Complimenti.

  2. è un racconto totalizzante. Le omissioni, fanno sì che chiunque si possa identificare con la protagonista. Riassume ogni brutta esperienza lavorativa pensabile. è il lavoratore x che parla. Credo sia qui la bellezza dello scritto. Mi piace pensare, inoltre, che la protagonista parli di se stessa al femminile in quanto persona, non in quanto donna: questo proprio perché l’esperienza narrata può rigurardare chiunque.

    Poi, come qualità letteraria, credo che il finale sia notevole.

  3. “qualitò essernziale” è sicuramente un errore di ortografia. Invece “condiscente” non so se si dice… boh. Wiva Word.

  4. molto bello, Christian, concordo col commento di Giorgio. Eliminando parole inessenziali per il senso complessivo si attinge di puù l’universale. E’ la stessa idea che sta alla base della relatività, guarda caso. A.

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