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Diorama dell’est #6

di Giovanni Catelli

Caffè, Yalta

E tu sapevi tutto eterno, mi ricordo, in quei caffè del porto, a Yalta, dissipavi le penombre, con la mano leggera, l’incessante sigaretta, vigilavi sull’autunno, quell’onda più lesta, nel buio, quel rammarico di sabbie, cancellavi, le distanze dalla vita, reclamavi quei minuti, lì, per sempre, li fissavi nell’acciaio, dello sguardo più lucente, nella voce di sirena e vento, che scioglievi tra i bicchieri, lungo il fumo azzurro ed il silenzio.
Mi guardavi, già severa lungo il dubbio, già più amara nella corsa molle, d’ogni cosa verso il buio, non crescevano le navi alle finestre spente, non salivano i rumori d’ogni folla dileguata, solo un fragile tinnire di metalli, fra le dita cieche della brezza : balenava, nella fioca indifferenza di candele, un lampo d’accendino, divorava già la tenue carta, le materie profumate dell’incendio, ti donava quel respiro fondo in cui fuggire, quella nostalgia del tempo da lasciare, piano, alle risacche scure d’altri flutti.
Aspettavo, la tua voce tra i pensieri, le parole pallide sorprese già negli occhi, la più tenue confidenza con le ore, con la tenebra indifesa che accoglieva i nostri gesti, mi giungevano, gli sguardi lenti, le magnifiche incertezze delle mani lungo l’aria, le distanze impassibili affondate tra i lumi, cercate, con dolore improvviso, bagliore di lampo, rincorsa di anni.
Segrete banchine condonano il tempo, dispongono quiete le cose, accolgono i volti, là non toccavi l’approdo che insegui, so della fuga che insidi ai momenti, già mi sfuggivi alle spalle, oltre il dubbio, ti promettevi al futuro nell’ombra, senza concedere l’attimo grande, il viso imprendibile, il tocco leggero, senza tradire i moli raggiunti, l’ampia catena d’ore divise, i treni del viaggio, mai più disperdere il vasto presente, l’umida luce dell’alba, i gesti del sonno, le tazze sfiorate al risveglio, la stretta incessante degli occhi al mio fianco.

Pioggia, Yalta

Piove, sulla copertina del disco, senza fine, senza possibile nuovo destino, piove, attraverso la vita, in quell’istante, come ora sempre, piove, oltre la volontà e l’inganno, l’illusione il sogno, la mattina già fredda, sul lungomare di Yalta, sulle parole di brina, sciolte nella voce, piove, lungo i visi le vetrate, la via vuota la scritta, senza rimorso rimedio, pausa sollievo, piove, sopra l’aria la musica, le giostre vane il silenzio : dove mi porti, nel fumo smarrito della tua sigaretta, perché vuoi negarmi una sola boccata, un morso perduto di ceneri e menta, il veleno sottile che abbiamo diviso, non c’è mai riparo alla vita, lo sai, neppure nel tuo minaccioso prodigio, nel taglio infedele degli occhi felini, alla riva già fredda che invade lo sguardo, ci stringe il destino indifeso del viaggio, la casa che ancora trattiene le sere, il profumo fatale, gli aromi del tè, le pallide cose che attendono il gelo, le borse accostate alla soglia del vuoto : non sai fuggire dal nostro rimpianto, cerchi un rifugio nei giorni più lieti, entri nel Gastronom fioco di luci, chiedi più tenere brevi dolcezze, freni le dita del tempo sui vetri, senti la calma increspata dell’ombra, un lieve tinnire di tazze sommesse, la vastità del passato che non ti conosce : ora vediamo la via dell’aperto, la successione di luci e di gesti, l’arida pena di voci e silenzi, come potremo tornare a qualcosa, tutto è già cenere all’orlo dei passi, cadono lente le strade negli occhi, tutto è già stato non cede all’attesa, quale frantume dell’anno ti resta, quale parola o sorriso ti salva, tu sai distinguere forse nel tempo, sai calcolare il minuto che basta, già mi distacchi severa nell’ombra, incidi nell’aria confini e distanze.

Alushta, alba

Quando la luce appare, oltre il promontorio, subdola, e sale, come un vapore nel buio, un polline leggero nell’oscurità stupita, subito il mare si fa di metallo, rivela il suo resistere nell’ombra incalcolabile, si tende all’avanzare dell’ora lungo il cielo, e la musica si perde, nel vuoto del chiarore, smarrite le muraglie cieche della notte, l’invisibile stanza che serrava il silenzio delle cose, la pausa della vita senza nome, la deriva quieta degli sguardi e delle anime : dove, adesso ritrovare, l’indirizzo dissolto dei gesti e delle voci, un domicilio vasto e fondo per il sonno, un equilibrio delle vie sopra la luce, mentre il giorno batte già furioso il lungomare, dissipa l’incerto sopravvivere gli oblii, fruga tra il sospeso reclinare degli istanti, per colmare d’un nome ogni parvenza, d’un preciso destino ogni rimpianto : non vacillano ancora le cose, sorprese nel sogno, sepolte in un’ eterna fatalità estiva, in un riposto limbo d’illusione, si dispongono lente, ignare, al progressivo urto dei rumori, all’improvviso sguardo della luce, certe d’una propria vita irraggiungibile, serene come al fondo del mare, nel buio flutto della sorte, cedute senza più timore al destino : come andarsene ormai, dal giorno senza fuga, siamo preda, già, d’ogni più futile evidenza, di quel cieco bagliore che nasconde, le più lievi sostanze d’ogni vivere, cancella i varchi tra le ombre, quel vapore sottile dei corpi nel buio, quel ritroso smarrirsi d’anime al vuoto : restiamo, traversati da un vento incolore, stupiti all’avanzare d’altre forze su di noi, scavalcati dai demoni del giorno, eppure vivi, a sorreggere lo sforzo della notte, conservare umida la traccia d’ogni ombra, distillare le cupe acque del rimpianto, d’ogni vasto e perduto esistere di volti, sino al nostro solo tempo di fantasmi, al nostro vero spazio di sonnambuli, ove perdere di nuovo, sembianza nome volto, sommergerci di buio attesa incanti, navigare nell’incerto soffio delle tenebre, sino al più sincero silenzioso riconoscersi, limpido quieto dissiparsi, dignitoso lieve scomparire.

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7 Commenti

  1. Ah, quei caffè del porto di Yalta…
    l’aroma forte ancora diffuso, nell’aria ottobrina
    e tu, dove sei?

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