Cittadini o clienti?
Note a margine della “questione romena”
di Andrea Bajani
Tutte le volte che uno zingaro entra in un bar o in un ristorante, istintivamente mi viene da cercare con lo sguardo il padrone del locale. Se è dietro il bancone si asciuga le mani, posa lo straccio, aggira il bancone e poi porta lo zingaro fuori. Me li guardo sfilare accanto, vedo il gestore aprire la porta, spingere lo zingaro fuori e tornare dietro il bancone. Qualche volta dice “Sono tutti così”. Tutti gli avventori del locale si voltano, seguono con lo sguardo l’operazione di pulizia, e poi ritornano con gli occhi nel piatto e la testa nei propri pensieri. Dopo pagano, e quindi escono dal locale. Io tutte le volte che succede una cosa del genere penso che il padrone del bar si comporta così perché per lui io sono un cliente. Nonostante io sia in dissenso con il suo atteggiamento, gli riconosco una strategia, per quanto discutibile. La proccupazione del gestore del locale è quella di eliminare ciò che per lui è un ostacolo alla sua mission aziendale: vuole che io sia contento di essere lì, e che ci ritorni volentieri. Se lui lasciasse circolare lo zingaro per il locale, tutti i clienti il giorno dopo andrebbero da un’altra parte. Da commerciante, da imprenditore, si occupa di problem solving, non di esercizio del pensiero. Il suo gesto risoluto contiente un’affermazione: non sono io a dovermi occupare dei problemi sociali. Mandare fuori lo zingaro significa per lui consegnare il problema a qualcun altro più competente.
Qui mi sembra stia il punto di quella che qualcuno definisce maldestramente la “questione romena”. Quando ho visto le reazioni politiche che hanno seguito, quasi tamponandolo, l’omicidio di Giovanna Reggiani, a me è venuto in mente il padrone del locale. Giovanna Reggiani è stata uccisa da un rom romeno, e non appena questo è successo qualcuno si è asciugato le mani, ha posato lo straccio, ha fatto il giro del bancone, ha portato fuori il rom e ha detto “Sono tutti così”. Quel qualcuno però era lo Stato. Non era il padrone di un locale, non era il gestore di un ristorante o di un negozio in centro città. Quello che mi sembra più preccupante, in tutta questa brutta vicenda, è che non si tratta che dell’ennesima attestazione di una metamorfosi in atto del cittadino in cliente. Quello stesso cittadino che è cliente non solo quando acquista un prodotto ma anche quando si sdraia sul letto di un ospedale, quando monta su un treno, quando è interrogato alla lavagna, quando cerca un lavoro, persino quando muore. La corsa a repentini rimpatri di rom e romeni, e soprattutto la sua pronta e amplificata certificazione, mi hanno fatto sentire come se la mia residenza fosse in un locale, o in un risorante, e non un uno stato civile. Mi sono sentito il cittadino di un bar. Quelle espulsioni fatte in fretta e furia e annunciate in pompa magna mi sono sembrate indicative della desolante concezione di un cittadino a cui non si chiede che di accordare il consenso agitando la clava.
Nel momento in cui il cittadino si trasforma in cliente, la democrazia diventa un prodotto da piazzare nel più efficace dei modi. Pena la sua caduta in discredito, il tracollo del suo indice di gradimento, la sua invendibilità. I gestori dei bar lo sanno benissimo, come funziona: è una questione di mission. Eccola qui, la gestione aziendale di quella bottega di cui facciamo parte per pertinenza d’anagrafe. Ma nell’epoca del trionfo del problem solving, dallo Stato ci aspetteremmo l’esercizio del pensiero, o quanto meno un progetto, più che una mission, una gestione responsabile delle dinamiche, anche contraddittorie, che avvengono sul nostro territorio. E in quanto cittadini non vorremmo vederci ridotti a gente a cui non si chiede altro che di trascorrere il tempo con la faccia nel piatto, e poi passare alla cassa.
(Pubblicato sul manifesto il 10 novembre 2007)
Credo che sia un pezzo molto interessante, specialmene perchè permette di fare un passo avanti nel dibattito sulla “questione rumena”, o, per meglio dire, sull’ondata razzista-securitaria scaturita dalla cronaca. E cioè interrogarci sulla funzione dello stato e sulle sue finalità dentro un sistema più ampio. Una funzione essenzialmente poliziesca, come scrive Zygmunt Bauman:
“Via via che l’autogestione economica, militare e culturale diventano rapidamente reliquie del passato e sopravvivono sempre più come mere finzioni o vuote pretese (“concetti-zombie”, per usare l’arguta definizione di Ulrich Beck), lo stato tende a essere ridotto allo status di un distretto di polizia ampliato e nobilitato. La funzione che ci si attende espleti è mantenre la legge e l’ordine e in tal modo impedire che il territorio sot
La funzione che ci si attende espleti è mantenre la legge e l’ordine e in tal modo impedire che il territorio sotto il proprio dominio si trasformi in un'”area proibita” per il capitale nomade. Una parte cruciale del dovere di “legge e ordine”, che l’indipendenza garantita dallo stato è chiamata a sostenere, è controllare la selettività dell’osmosi: separare le cose e le persone ammesse da quelle che è meglio bloccare alla frontiera.”
Veramente io sono una di quelle persone che prova fastidio enorme alla petulanza degli zingari nei locali, fuori dai supermarket, con quelle donne pronte a chiamare santi e madonne come streghe della fortuna o della maledizione, esibendo bambini visibilmente maltrattati, e piene di oro al collo, alle mani e alle orecchie.
Una cosa è l’emigrazione sia politica che economica, un’altra è un sistema di vita basato sulla costruzione di una immagine che possa muovere il sentimento dei benestanti, agendo sul nostro senso di colpa atavico.
Questo recente fattaccio romano sta generato un’ortodossia della tutela del “diverso” senza far distinzione tra chi sia il “diverso” da noi. Esistono flussi umani di vera disperazione, di grande tragedia, oceani di persone che bussano alle nostre porte occidentali per una vita migliore, che hanno lasciato tramonti bellissimi per finire sulle strade delle nostre periferie più sporche, specialmente donne e ragazzine; tutto ciò non ha nulla a che fare con gli zingari. Ma li vedete in faccia? Ora questa commozione totale e questo ribrezzo verso qualsiasi forma di razzismo strisciante rischia di non farvi distinguere tra chi necessita vera tutela. Questo post ne è una lampante dimostrazione.
“Nel momento in cui il cittadino si trasforma in cliente, la democrazia diventa un prodotto da piazzare nel più efficace dei modi. Pena la sua caduta in discredito, il tracollo del suo indice di gradimento, la sua invendibilità”.
Esatto, ma i clienti sono di specie diverse. A uno piace che pensare che il cane si scrolli di dosso tutte le zecche senza distinguere che non è il caso. Lo conosciamo, è l’uomo dell’avere: abbarbicato al suo piccolo benessere come al pegno dell’Alleanza. All’altro piace pensare di scontare le colpe dell’intero Occidente sistemando profughi e migranti nel giardino del precedente, obbligandolo a trasformarsi in senso francescano.
La mistura di questi due miti è risultata storicamente micidiale.
http://www.myspace.com/robertosaviano
ma è vero o è una bufala?????
il myspace è l’oppio dei popoli… sigh.
[…] Tutte le volte che uno zingaro entra in un bar o in un ristorante, istintivamente mi viene da cercare con lo sguardo il padrone del locale. Se è dietro il bancone si asciuga le mani, posa lo straccio, aggira il bancone e poi porta lo zingaro fuori. Me li guardo sfilare accanto, vedo il gestore aprire la porta, spingere lo zingaro fuori e tornare dietro il bancone. Qualche volta dice “Sono tutti così”. Continua […]
Il problema è: che c’è entrato a fare lo zingaro nel bar? Se c’è entrato per prendere un caffè va benissimo anche per il barista.
A me non piace il tono di questo articolo, cosi’ come non piace la retorica in cui e’ impastato: si tratta di surf su una notizia grave e mercificazione degli istinti di chi legge, travestiti da tentativo di demonizzare lo slang capitalistico d’accatto. Se fossimo davvero tutti clienti, lo saremmo anche di questa pizzetta precotta servita con tempismo invidiabile. Cinismo opportunista, insomma, da attizzatore se non da avvoltoio.
Aggiungo che la frase “Nel momento in cui il cittadino si trasforma in cliente, la democrazia diventa un prodotto da piazzare nel più efficace dei modi”, la sottoscriverei.
Cliente come aggettivo di cittadino non è l’aggettivo peggiore:
non un cittadino-suddito, o cittadino-emarginato, o cittadino-disoccupato, o cittadino-sfruttato, cittadino-un voto.
In fondo oggi una delle maggiori garanzie della democrazia (materiale) è data dalle associazioni dei consumatori.
E poi, ricordate?
Il cliente ha sempre ragione.
gli zingari sono talmente tranquilli che mettono in conto pure che quando fanno la carità noi non gli diamo nulla,e sanno pure che essere accompagnati fuori dai bar in cui entrano fa parte del gioco.Servono loro malgrado per metterci in contraddizione con i nostri sensi di colpa(nel loro caso fuori luogo.Vogliono solo essere tollerati per quello che sono.Magari gradiscono anche uno spazio dove esercitare una teatrale vita pacifica,fuori dai luoghi comuni.E quando sentono che ne vale la pena riescono a integrarsi meglio di quanto siamo disposti a credere)
p.s. l’italia più che altro sembra diventata,nei disegni della politica,un grande villaggio turistico(sarà che sono reduce dalla visione di una tremenda mezz’ora di buona domenica.All’apice del mio masochismo)
[…] Altre discussioni su razzismo e ginocidio: Andrea Bajani su Nazione Indiana; Gianni Biondillo, sullo stesso blog. Quindi: su Carmilla, Leonardo Colombati, e prima ancora […]
il cliente rientra nel concetto-sistema capitalisticvo, diventato ormai innominabile in quanto stantio e fuori dai tempi. e che se lo dici, lo sussurri, gli togli un po’ di polvere, non sei un cittadino che mette sotto la lente un sistema, ma solo un pazzo comunista tendente al terrorismo. allora forse meglio un “produci, consuma, crepa”, come cantavano i cccp, poi riconvertiti anche loro in altri termini e concetti. non a caso se si vuol salvare “qualcosa” dei romeni è perchè producono (con gli italiani e loro belle ditte là), consumeranno (in fondo perchè farli entrare nell’UE?) e creperanno (ma la storia che si muore uguali ancora è indigesta) anche loro.
meglio il baratto dei pacchi, Bajani, no?
un abbraccio
simo
@ simona baldanzi
come sei pessimista? Consuma e crepa?
cliente meglio di: imboscati, cerca di avere una pensione anzitempo, cerca di lavorare meno possibile, cerca di trovare una rendita parassitaria (anche politica).
In sostanza meglio impegnarsi, rischiare, mettersi in gioco, credere in un progetto e pretendere i propri diritti, anche di cliente. :-)
caro Andrea,
se assisto alla scena che hai descritto tu, in un bar o in qualunque altro posto, provo i tuoi stessi sentimenti. Quindi è probabile che noi due abbiamo le medesime idee nei riguardi di chi è “altro” da noi, non ne temiamo la presenza, nè le idee o il modo di vivere. Per questo ti sottopongo un fatto che mi è accaduto alcuni mesi fa, e che mi ha infastidito, così che mi puoi dare la tua opinione, e aiutarmi a capire.
Sono un’insegnante, lavoro in una scuola media. In tutte le classi un quarto degli studenti, se non di più, è straniero. Superati i primi momenti di difficoltà legati alla lingua, non ci sono problemi particolari nel rapporto con questi studenti. Se provengono da un ambiente culturale basso, hanno maggiori difficoltà di apprendimento, ma sono difficoltà superabili con impegno e buona volontà, come è vero da sempre in ogni buona scuola. L’anno scorso mi è successo un fatto che mi ha colpito. Uno studente, età 15 perchè ripetente, ha scritto in un tema che le insegnanti (eravamo due) vestono in modo non degno per una donna seria, per un’ insegnante vera, che dovevamo vergognarci di voler sedurre studenti giovani dato che non poteva essere che ce ne importasse poi qualcosa. Devo premettere che vesto in modo assolutamente adeguato a una scuola: maglione accollato o mediamente accollato, gonna o pantaloni (mai vita bassa), no spacchi o tacchi alti. Ammesso che io debba giustificare il mio abbigliamento, dato che lavoro tra studenti in età critica, ho trovato molto avvilente leggere quel tema. Quello studente è romeno di religione mussulmana, non ha fatto nessun tentativo di scuse, anzi, è convinto di quello che dice. Si sente libero di criticare e offendere un’insegnante perchè femmina, e non pensa di doverle scuse. Lo stesso atteggiamento tiene nei confonti delle compagne.All’inizio ho cercato di sdrammatizzare la cosa, buttandola anche in ridere. Ho pensato che, in fondo, si trattava della provocazione di uno studente arrogante. Però, lo ammetto, mi sono anche sentita un po’ offesa nella mia dignità. Mi sono chiesta fino a che punto possiamo tollerare atteggiamenti come questi, che sembrano buffonate adolescenziali ma che forse non lo sono, e fino a che punto avrei tollerato questo atteggiamento da un ragazzo italiano. Non so, magari con la pretesa di non voler esagerare le cose, si rischia di sottovalutarle. Che dici?
L’esercizio del pensiero dovrebbe essere proprio dello Stato come dei cittadini che lo abitano. E l’esercizio del pensiero dovrebbe tendere, in un contesto di regole tese a regolare una convivenza, a verificare quali di queste siano state violate, perché e in quale modo, e poi a verificare responsabilità e interventi. Spesso, troppo spesso, assistiamo invece a una – rapida, meramente emotiva e molto cattolica – distribuzione di colpe. Non solo lo Stato ci trasforma in clienti: spesso, troppo spesso, ci appropriamo in prima persona di uno status che, nel suo minimizzare la persona, ha però un pregio fondante: deresponsabilizzare, per la sua connaturata inadeguatezza civile, permettendo così di spostare in modo quasi naturale i pesi tutti solo sulla colpa. Questa vicenda finirà, come altre, semplicemente perché verrà sostituita da altre emergenze ed altre emotività, come già oggi sta succedendo per vicende legate allo “sport”. Pochi ne approfitteranno per comprendere e capire. Ancor meno, là dove si decidono le nostre sorti in forma di legge, ne approfitteranno per cercare di comprendere – e quindi regolare – una, a volte difficile, convivenza. Non di clienti o cittadini ma, si spererebbe, di uomini e donne, fatti di tante diversità che andrebbero osservate e interpretate. Non sopportate, nascoste, ammonticchiate. Per evitare di trovarsi un giorno con la faccia su un piatto inesorabilmente vuoto.
Cittadino-cliente mi pare un meraviglioso e paradossale cortocircuito tra l’antica Roma e la “Magna, Roma!” de Rutelli. Più ci penso e più mi rattrista.
@ elena g.
Un rumeno mussulmano? Le posso garantire che si tratta di un caso raro, io che son nato in romania non ne ho mai conosciuto nessuno.
Al 98 per cento i rumeni credenti sono cristiani ortodossi, più qualche cattolico e qualche ebreo…
Comunque chi sta a contare i centimetri delle gonne ( cattolico o islamico fondamentalista che sia) è meglio che si dedichi alla carriera di stilista e vada a prenderlo… etc. etc.
@ catalin florin maggi
non è il primo mussulamno rumeno che incontro, ma non è questo il punto. Il punto è quello che hai detto tu: misurare i centimentri delle gonne è cosa da fondamentalisti. Sai cosa volevamo fare, la mia collega e io, il giorno dopo? Indossare il nostro migliore push-up, il perizoma che sbirciasse dal punto vita e i tacchi. (Ci è voluto tutto il nostro migliore buon senso per fermarci, per non finire su qualche blog…)
@ catalin florin maggi
non è il primo mussulmano rumeno che incontro, ma non è questo il punto. Il punto è quello che hai detto tu: misurare i centimentri delle gonne è cosa da fondamentalisti. (Sai cosa volevamo fare, la mia collega e io, il giorno dopo? Indossare il nostro migliore push-up, il perizoma che sbirciasse dal punto vita e i tacchi. Ci è voluto tutto il nostro migliore buon senso per fermarci, per non finire su qualche blog…)
250.000 espulsioni…
Non c’ è bisogno di entrare nel merito della triste vicenda Mailat: se un importante uomo politico si auspica l’ espulsione di 250000 rumeni dal suolo italico deve prepararsi ad usare vagoni piombati e campi di concentramento. Non c’è altra strada…. Parlo da un punto di vista strettamente PRATICO, oggettivo, non entro nel merito della giustezza del provvedimento: se vuoi spostare 250000 persone da una nazione all’ altra con la forza non c’ è altro modo. bisogna allestire campi di raccolta e utilizzare dei bei vagoni ben chiusi dall’ esterno…
Ho letto da poco “Le benevole” di Jonathan Littel. In quel romanzo i fautori dell’ espulsione di massa potrebbero leggere interessanti dettagli tecnici su come portarla a termine…
Di sicuro l’ importante uomo politico in questione si sarà già affrettato a smentire le proprie demagogiche affermazioni…
@ elena g.
Al rumeno mussulmano (…?!…) in questione mi sa che bisogna propinargli i film con alvaro vitali e gloria guida degli anni settanta, per abituarlo ai costumi italiani. Una specie di “cura ludovico” di kubrickiana memoria…
Tratto dal Financial Times:
Gianfranco Fini, leader of the right-wing National Alliance, said expelling 250,000 immigrants “would make a good clean-up”.
Ho trovato questa riflessione molto lucida, ve la segnalo.
http://carlogambesciametapolitics.blogspot.com/2007/11/proposti-di-migranti-la-repubblica-e-i.html
L’articolo è interessante soprattutto perchè permette con un intelligente gioco di specchi di porre concreatamente l’accento sul ruolo dello Stato contemporaneo. Che oggi lo Stato non sia più quello ch’è stato fino a qualche decennio fa è ormai chiaro. Le pesanti limitazioni di sovranità a cui è stato sottoposto probabilmente lo hanno indebolito a tal punto da non avere più ben chiaro il proprio ruolo. L’idea richiamata dall’articolo “consegnare il problema a qualcun altro più competente”, sottolinea questa sorta di ambiguità in relazione alle compotenze effettive degli Stati. Inevitabile la domanda: In questo caso chi è più competente?
Rigurado al problema cittadino/cliente personalmente preferisco il binomio cittadino/consumatore. Forse è la stessa cosa, certo si tratta di un fenomeno ormai conclamato e correlato alla trasformazione dello Stato.
[…] Evangelisti interviene, con altri (fra i tanti, due interventi su Nazione Indiana) sulla questione rumena, segnalando anche l’ottimo libro dell’amico […]