Spirdu

 
Un estratto dal libro Spirdu di Orazio Labbate uscito il 20 maggio 2021 – Italo Svevo edizioni 

di Orazio Labbate

 

In sogno, si vedeva banchettare al centro di un grande soggiorno. L’oscurità era semiddumàta da un gruppetto di candeline incucchiàte su una torta. Dietro a un tavolo da cerimonia Kathrine sventolava, al cospetto dei presenti, un coltello dalla punta piatta e larga. Poi, con la mano destra soffusa, chidda propria per affilare chiodi e aghi, serviva la torta e con l’altra allattava asprigna le tenebre che l’arto vi riposava. Il dolce, nìvuru, ammuffito e parzialmente divorato, stava esposto attraverso un’alzata di cristallo assumendo la sacralità lurida di una Santa Comunione dentro il calice, erosa da chissà quale diavulìnu dispettoso. Tre infanti, in piedi, i principali invitati, erano appoggiati dall’altro lato dello stesso tavolo, senza badare alle buone maniere. Kathrine li imboccava a uno a uno con fare calmo e deciso. Essi masticavano con la logica curiosa dei denti d’un cunìgghiu e la fissavano sconvolgendo le orbite come fanno i piccioni.Nessuna pace e disciplina nei sogni. Siamo prelevati da un Dio incosciente pure adduocussùtta. Siamo uomini-uccello tutti o cuntràriu. Coi loro visi soavi da Bambinelli, i piccìddi si sbrodolavano e la panna nera cadìva lungo i vestitini gonfi a petto palummìnu. Poi acquetati ruttavano fino a raccogliere da sé, con la minuscola lingua repentina, il brodo di torta che si fermava sui loro grembiuli da cucina. Dietro i bambini si ammonticchiava un buio ammalato dove il calore delle persone mancu c’era mai stato. La carusa con una smorfia nostalgica talvolta taliàva in direzione di esso e si sporgeva di poco come a metterci la bocca. In lutto per la tenebra, tornava a offrire pezzi di torta decrepita. Rimaneva da civàri l’ultimo invitato. Non era un carusièddu. Era un signore all’antica di cui la ragazza non riusciva a decifrare la faccia. Nessuna luce di candeline attorno a iddu. Quasi timorosa Kathrine protendeva un pezzetto di dolce verso le sue labbra imperscrutabili. Si intravedevano le unghie di manovale, ben tagliate. La ragazza studiava meravigliata quel signore nefando sentendosi in uno stato di ebetudine. L’uomo, però, aveva principiato a tossire addolorato. Per liberarsi vomitava frettoloso sul tavolo. Quarchi cosa l’aveva punto. Kathrine abbandonava allora il coltello per capìri. Percepiva l’uomo guardarla con rammarico. I bambini invece ridevano compiaciuti come se ci facìssiru le mamme la grazia di infornare altri biscotti. La ragazza, indifferente alla nostalgia di prima, raccoglieva dalla torta una manciata di candeline per spiare nell’oscurità l’oggetto. Si era messa a cercarlo con la rozza teda che reggeva a pugno chiuso. Da sinistra a destra, mentre la torta appassiva sulla tavola a mo’ di un alberello di glassa e il buio diventava rosso per poco tempo. L’oggetto era adagiato vicino all’alzata di cristallo: una spilletta d’oro a forma di mani giunte stimmàte. L’esaminava senza capirne il senso, sedotta solo dal suo succu luminoso. Pulendo il tesoretto pungente con uno sputo inodore, lo teneva tra i palmi e con gran vergogna si capiva immeritevole. Poi se la ficcava ripetutamente sul petto ma la carne non accettava la spilla. Un tentativo che aveva richiamato l’ansito corale dei piccirìddi i quali con un soffio malvagiamente vivo spogliavano, tutti insieme, grande colomba scellerata, le candeline della loro luce. Un buio sfrenato aveva nnurbàto Kathrine. Insieme a lei anche il vetusto invitato erano scomparso.

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