La strage di cui nessuno parla

di
Francesco Forlani
Viviamo in un mondo difficile, e vita intensa, felicità a momenti e futuro incerto, direbbe Don Tonino. Dalla pandemia in poi, passando per il cambiamento climatico, fino ai recenti e disastrosi conflitti, quelli noti e meno noti, il tutto condito in salsa intelligenza artificiale, ci vengono serviti a tavola, in tutte le formule possibili, menù, à la carte, temi e piatti che per la prima volta nella storia dell’umanità, invece di essere mangiati, ragionati, masticati, degustati dai commensali, divorano cuore e cervello degli invitati in uno strano “cannibalisme inversé”.
Siamo distanti anni luce dalle tavole familiari imbandite e pacificate dalle poche parole pronunciate, generalmente da madri premurose, prendendo ognuno dei figli da parte, e riassumibili in tre imperativi kantiani soft: mi raccomando, niente politica a tavola, e soprattutto nessun riferimento a fatti e persone che possano costituire turbativa di pasto.
Alcuni si chiederanno, Furlèn, ma ne sono solo due e non tre come annunciato. Il che mi spinge a precisare che il terzo è il primo, ovvero il rispetto di quella raccomandazione espressa con autorevolezza e che avrebbe agito in nome del bene comune.
Tabù? Censura? Niente affatto. Solo la regola aurea del vivere insieme che consiste nel dire e fare le cose al momento giusto, e non seguendo un istintivo pontificare che avrebbe murato vivo ( altro che ponti) il piacere di stare insieme con l’abboffamento di wallera collettivo.
Di tutte le stragi in corso, delle guerre sporche e pulite – Dio è morto, Marx è morto, ma il capitalismo, quanto a lui, gode di ottima salute- ce n’è una che mi pare sfuggire dai ragionamenti agguerriti, violenti, dichiarati, troppo presto, troppo tardi, durante e dopo, da più o meno tutti sui social, nelle comunità, nei gruppi e nelle famiglie, ed è quella degli amici.
Stiamo assistendo giorno dopo giorno alla rottura – con tanto di porte sbattute, di ingiurie, di mandate affanculo veraci come le vongole- di rapporti costruiti negli anni, di relazioni importanti d’amore e d’amicizia vera- quella per dire in cui se si è chiamati nel cuore della notte dall’amico si corre lancia in resta a recargli soccorso, in nome di una reazione scomposta, una frase infelice, un’idea poco lucida, cucinata male e in fretta dai nuovi chef dell’informazione, quelli alla Pol Pot, per intenderci, che ci fanno credere che tutto fa brodo e non acqua da tutte le parti come in realtà, polpettone di fake news e propaganda.
Siamo arrivati al punto in cui rischi di essere preso a schiaffi se ascolti Igor Stravinsky – se oggi si andasse in giro ancora con vinili ci si ritroverebbe a infilare l’ellepì del maestro in una copertina di Festivalbar- o massacrato di botte in metrò perché qualcuno ha confuso il tuo libro di Wilhelm Reich sull’orgasmo con uno sul terzo Reich. E Freud? Très chaud.
Insomma nessuno, me compreso, avrebbe immaginato che gli effetti collaterali delle singole azioni di un povero pirla – povero e ricco ça va de soi- in luoghi lontanissimi potessero arrivare così lontano, ben più lontano di un battito d’ali di farfalle o di ciglia- sopracciglia nel caso del Super Donald Strump und Drunk- praticamente a quella stessa mesa su cui un tempo magnifici risotti o zizzone di Battipaglia e cannoli succulenti – par condicio-ci ammaliavano per rendere le nostre risate più grasse e la gioia di vivere inviolata a tavola.
Non si tratta qui di fare un elogio del disimpegno ma al contrario di impegnarsi tutti a non farsi pro del nulla, bastian contrari del niente, e ad agire sul campo con consapevolezza, ragionevolezza, cercando di avere delle idee chiare sui fatti, dialogando con le complessità. Si può essere affranti, lacerati, massacrati dalle immagini di un bimbo denutrito in un campo con la stessa intensità della visione di un ostaggio in pelle e ossa in fondo a un buco sottoterra? Per me sì e allora perché volete costringermi a decidere a tutti i costi, pagando prezzi altissimi, la fine di un amicizia per esempio, per dire a chi vada per gerarchia la mia pietà?
effeffe
ps
Pare che questa sia l’unica scena in cui nell’immensa filmografia Buster Keaton abbia detto una parola

Ciao Furlèn, grazie di cuore per questa concisa efficace saggia pagina di diario e vita.
Ho sempre saputo, forse illudendomi, che tu da qualche parte (nel cuore, nel fegato, nell’anima o sotto il materasso) hai un diario in cui discretamente appunti il tuo sguardo (mancante, perchè a te riservata, a noi sconosciuta, ma non mancata, quindi perfettamente lucida e centrata su questo mondo tanto meraviglioso quanto caotico) sul vivere contemporaneo. Non è poco, come tu hai trasmesso a molti di noi, senza mai avere la pretesa di insegnare qualcosa. Questa tua postura nel mondo, dada e anarchica, comica e saggia, leggera e consapevole, è d’esempio per molti, ritengo nel mio piccolo: mi riferisco a chi ha avuto la fortuna di dialogare con te nel tempo. Preziosa in primo luogo per il pensare e agire umano, poi per cucinare, leggere,scrivere, piangere,ridere e fare tanto altro.
Anche io ho un mio appunto parziale, elaborato di recente, ripensando alle strade percorse assieme, alle tue storie a voce, alle cazzate e agli abbracci e ai vaffancult:
Direbbe Furlèn:
Leggerezza: vivere, stare al mondo attimo dopo attimo.
Idealizzare e raccontarsela: gonfiare tutte le uallere di tutte le galassie conosciute, facendo danni a noi stessi in quanto umani e a volte ad altri.
Tutto qui. Perdonami se ho prestato il fianco, ma sai invecchiando capiamo tanto, o nulla. Eppure cogliamo bagliori minimi, atomici, di quella luce tanto ricercata.
Tutto qui.
Torno in barca, a dispiegare la vela di tovaglie e camicie rammendate e foulard scout e pagine di libri. Questa mia imbarcazione fa acqua da tutte le parti, quando rinasce l’alba o muore il tramonto, eppure oggi sorrido e contemplo l’orizzonte degli eventi: tutta vita. Misuro i nodi, riallineo l’ago della bussola e riprendo il mare: la vita attende, vuoi mettere la bellezza del viaggio che mi aspetta qui e ora attimo dopo attimo? (durasse un minuto o cent’anni, fino a quando la percepisco è tutta esistenza meravigliosa!)
Zorba dal largo di Palinuro, in piedi a prua, mentre osserva Virgilio che jestemma, pare che il Maestro non ami l’acquasale cilentana per via dell’origano. Epitteto gli ha detto di accettare e mangiare e fottersene, ma lui è purista, e sappiamo come vanno certe cose (è triste per il Nocchiero Palinuro, e in giorni come questi ci vuole la pazienza di Giobbe. Come quella che tu per anni hai avuto per me!)
A furia di sbaniare, si comincia a verbigerare. Scusami per questo commento.
Grazie ancora di cuore per la tua riflessione sincera.
Buon cammino, buona vita, a presto!