«La papera» – Elio Pecora riscrive Giambattista Basile

Giambattista Basile

Nota

Per gentile concessione dell’editore, pubblico una fiaba da Elio Pecora riscrive Giambattista Basile, Lo cunto de li cunti, Bibliotheka Edizioni, 2025.

Scrive Pecora nella sua Avvertenza al volume: “Nel 2003 pubblicai, nelle edizioni Mondadori, una mia riscrizione di venticinque racconti da Lu cunto de li cunti di Giovan Battista Basile. Negli anni successivi, più volte, mi sono promesso di completare l’impresa e, nella scorsa primavera, la spinta mi è venuta dalla mia amica Daniela Marcheschi e dagli editori di Bibliotheka. Così ho trascorso l’estate e l’autunno dedicandomi interamente a quel libro mirabile che, in una lingua colma di umori e di invenzioni, attrae ed esalta, consola e atterrisce per un gioco inesauribile. Vale qui far chiaro sui limiti e le finalità che mi sono posti. Non sono poche le traduzioni-riscritture del Pentamerone: tutte più che doviziose di note e di annotazioni, tutte filologicamente accorte. Non potevo e non volevo competere con quei testi e con quelle curatele. Volevo e voglio soltanto consegnare al lettore di oggi il mio godimento per quelle straordinarie narrazioni e, di sicuro, sminuendo la straordinaria vivezza del testo originale, fidando nel piacere, peraltro illimitato, che travalica la napoletanità barocca e i dotti riferimenti, al fine di una più ampia e comune appartenenza. (…) Se ho svestito l’originale della sua forma ineguagliabile, credo e spero di averne rispettata la meravigliosa sostanza. Ho fatto, insomma, quel che vale da sempre per la fiaba che, passando di paese in paese, di secolo in secolo, ogni volta si rinnova nella lingua viva e prossima”.

Buona lettura (d.o.)

***

La papera

C’erano due sorelle così mal ridotte che campavano sputacchiandosi, da mattina a sera, le dita per fare un po’ di filato da vendere. In tutta questa vita misera non c’era possibilità che la biglia della necessità spingesse fuori quella dell’onore. Per la qualcosa il cielo, così prodigo nel remunerare il bene e così attento a castigare il male, fece sì che queste due povere figliole si recassero al mercato per vendere alcune matasse di filato e, con quel poco ricavato, comprassero una papera. Le due sorelle portarono la papera a casa e le rivolsero tanto amore: la curavano come fosse una sorella carnale e la facevano dormire nel loro letto.

Venne l’alba e portò una buona giornata, che la buona papera cominciò a cacare monete d’argento; così che, di cacata in cacata, ne riempirono un cassone. E fu tanto abbondante quel cacatorio che le due sorelle cominciarono a tenere alta la testa e si videro rilucere la pelle del volto e delle mani. Accadde che certe comari, trovandosi a chiacchierare, si dissero: «Hai visto, comare Vasta, Lilla e Lolla? L’altro ieri non avevano dove cadere morte e, oggi, si sono ripulite e sfoggiano da signore! Nelle loro finestre si vedono galline e rotoli di carne che ti saltano in faccia! Che può essere? Hanno dato mano alla botte dell’onore o hanno trovato un tesoro?».

«Io non so come! – rispose Vasta – Le vedevo piegate e ora le vedo dritte e risolute. Pare un sogno!».

Dicendo questo e altro, spinte dall’invidia, le comari scavarono dalla loro casa un buco che corrispondeva alle stanze delle due sorelle, per spiare e poter saziare la loro curiosità. Tanto fecero la spia che, una sera, quando il Sole, con la spalmata dei raggi sulle barche nel mare dell’India concede il riposo alle ore del giorno, le comari videro Lilla e Lolla mettere un lenzuolo sul pavimento e posarci sopra la papera. Quando poi videro che la papera metteva fuori mucchi di monete d’argento, a quella vista alle comari uscirono le pupille dalle orbite e il gozzo dalla gola.

Il mattino seguente, quando Apollo con la verga d’oro scongiura l’ombra di ritirarsi, Vasta andò a casa delle sorelle e, dopo mille giravolte di chiacchiere e tirandola alla lunga, venne al dunque: chiedeva in prestito la papera per far prendere amore alla casa da parte di certe paperelle che aveva comprato. E tanto disse e pregò che le sorelle, due sempliciotte, sia per essere bonaccione sia perché non sapevano negarsi, sia per non creare sospetti nella comare, le prestarono la papera a patto di riportargliela presto.

La comare, con le altre comari, subito stese a terra un lenzuolo e ci depose la papera che, invece di metter fuori la Zecca che nel suo ventre coniava monete, rilasciò un’intera latrina che macchiò la biancheria di quelle sciagurate con una materia gialla il cui fetore si sparse per tutto il quartiere, come succede di domenica con le zuppe di carne e verdura. A questo punto le comari pensarono che, nutrendola bene, avrebbe fatto sostanza da pietra filosofale per soddisfare le loro voglie. Perciò le diedero tanto cibo – le usciva dalla gola – e la posarono su un lenzuolo pulito. Ma, se prima la papera si era mostrata abbondante di escrementi, stavolta quel che mise fuori fu senza limiti giacché la digestione abbondante fece la sua parte. Le comari sdegnate s’incollerirono così tanto che torsero alla papera il collo e la buttarono dalla finestra nel vicolo chiuso dove si gettava l’immondizia.

Il caso, che dove nemmeno credi fa spuntare le fave, volle che passasse da quelle parti un figlio di Re che andava a caccia e, proprio lì, gli si smossero le viscere tanto da non potersi trattenere. Affidati la spada e il cavallo a un servitore, il Principe entrò nel vicolo per scaricare il ventre.

Finita la faccenda, e non trovando nelle tasche carta per pulirsi, vista per terra la papera morta di fresco se ne servì come uno straccio. Ma la papera, che non era morta, si attaccò col becco e di tale maniera alle natiche del Principe che questi cominciò a strillare.

Accorsero tutti i servitori e volevano staccare la papera dalle natiche del Principe, ma nessuno ci riuscì. La papera s’era attaccata come la ninfa Salmace a Ermafrodito. Di modo che il Principe, non potendo resistere al dolore e vedendo gli sforzi dei servi gettati al vento, si fece portare in braccio al palazzo reale dove furono chiamati tutti i medici. Questi, accorsi immediatamente, provarono in tutti i modi e ricorsero a tutti i rimedi per un tale accidente, usando e adoperando tenaglie e oli e polveri. Ma la papera era come una zecca, non si staccava nemmeno con l’argento vivo e, come una sanguisuga, non veniva via nemmeno con l’aceto.

Esasperato, il Principe fece emanare un bando, secondo il quale chi fosse riuscito a liberarlo da quella morsa al tafanario, se uomo, sarebbe stato ricompensato con la metà del regno, e, se donna, il Principe l’avrebbe presa in moglie.

Si videro fiumi di uomini e di donne venire a metterci il naso, ma più cercavano di risolvere, più la papera stringeva il becco come una tenaglia al didietro del Principe. Si ricorse all’intero ricettario di Galeno, a l’Aforismo di Ippocrate, piuttosto che al Posteriore di Aristotele, e tutto per il tormento dello sventurato Principe.

Volle il caso che fra i tanti venuti a provarci arrivò Lolla, la minore delle due sorelle. Lolla, appena vide la papera, la riconobbe e gridò: «Cicciottella mia, Cicciottella!».

La papera, udendo la voce di quella che le voleva bene, lasciò subito la presa e le corse in grembo fra mille carezze e baci, non preoccupandosi di lasciare il culo di un Principe per la bocca di una poveraccia.

Il Principe, sbalordito da quel che vedeva, volle sapere com’era andato il fatto e, saputo del comportamento delle comari, le fece frustare in piazza e le mandò in esilio. Quindi prese Lolla in moglie e per dote la papera che cacava tesori di continuo, diede marito a Lilla e furono i più contenti del mondo, a dispetto delle comari che, volendo chiudere la strada alle ricchezze mandate dal cielo, aprirono la strada che fece di Lolla una Regina; e capirono infine che:

Ogni impedimento è spesso giovamento.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

articoli correlati

È più facile

di Roberto Rocchetti
È più facile uscire da questo buco aggrappandomi alla scala di corda che penzola sopra la mia testa o scavando nicchie nelle quali inserire mani e piedi con il coltello che mi sono ritrovato in tasca?

Il principe

di Silvano Panella
Ero stato chiamato alla reggia per ricevere una proposta di lavoro. Il precettore del principe, un anziano accademico spagnolo, mi venne incontro nella grande sala adorna di muqarnas

L’incidente

di Simone Redaelli
Quel giorno avevo chiesto al mio capo un aumento. Ricordo precisamente l’espressione vinta sul suo volto, la cupa rassegnazione di un uomo di potere con le mani legate

La risposta

di Enrico Galantini
Quella notte risognò un sogno che aveva fatto a diciott’anni. Quel sogno lo aveva salvato, in un periodo difficile in cui non riusciva ancora a capire chi fosse e che cosa volesse fare davvero della sua vita

La Resistenza al di là delle celebrazioni (1970)

di Oretta Bongarzoni
Per i giovani la Resistenza non solo continua, ma rinasce. Dicono: «I problemi sono ancora tutti in piedi, quindi non c'è che da andare avanti»

Fanfani e il nudo

di Riccardo Eymann
Gli storici sono tutti tacchini, gli avevo detto quando m’aveva parlato del suo mestiere (ricercatore espertissimo in socialdemocrazia europea), tutti, dal primo all’ultimo, e anche tu, guardati, un tacchino fatto e finito
davide orecchio
davide orecchio
Vivo e lavoro a Roma. Libri: Lettere a una fanciulla che non risponde (romanzo, Bompiani, 2024), Qualcosa sulla terra (racconto, Industria&Letteratura, 2022), Storia aperta (romanzo, Bompiani, 2021), L'isola di Kalief (con Mara Cerri, Orecchio Acerbo 2021), Il regno dei fossili (romanzo, il Saggiatore 2019), Mio padre la rivoluzione (racconti, minimum fax 2017. Premio Campiello-Selezione giuria dei Letterati 2018), Stati di grazia (romanzo, il Saggiatore 2014), Città distrutte. Sei biografie infedeli (racconti, Gaffi 2012. Nuova edizione: il Saggiatore 2018. Premio SuperMondello e Mondello Opera Italiana 2012).   Testi inviati per la pubblicazione su Nazione Indiana: scrivetemi a d.orecchio.nazioneindiana@gmail.com. Non sono un editor e svolgo qui un'attività, per così dire, di "volontariato culturale". Provo a leggere tutto il materiale che mi arriva, ma deve essere inedito, salvo eccezioni motivate. I testi che mi piacciono li pubblico, avvisando in anticipo l'autore. Riguardo ai testi che non pubblico: non sono in grado di rispondere per mail, mi dispiace. Mi raccomando, non offendetevi. Il mio giudizio, positivo o negativo che sia, è strettamente personale e non professionale.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: