Vita di Durruti
di Pasquale Vitagliano
Con Morte dell’anarchico Durruti (DeriveApprodi, 2024), Paolo Bertetto rende il suo omaggio alla Catalogna. Chi ha ucciso Buonaventura Durruti, il capo delle colonne catalane, il più coraggioso e amato dei comandanti della resistenza al franchismo?
Il colpo di stato militare del 17 luglio del 1936 guidato dal caudillo Francisco Franco per la difesa della Nazione assedia la giovane repubblica democratica. La Spagna è diventata un laboratorio vivente. Dopo la rivoluzione sovietica, qui si sta sperimentando una variante libertaria che fa ancora più paura ai poteri costituiti, russi compresi. Gli anarchici controllano Barcellona. Socialisti e comunisti sono in maggioranza a Madrid. Come scrive Bertetto, però, la Spagna diventa “un piccolo mattatoio prima del grande mattatoio universale” della Seconda guerra mondiale. Fu anche l’incubatrice delle storiche e fratricide divisioni a sinistra. Una vera e propria guerra interna si combatteva parallelamente a quella ufficiale contro il fascismo franchista. In gioco era la via sovietica al socialismo e il dominio russo nel campo rosso. Anche per questo la grande speranza spagnola fu tragicamente spezzata. Eppure, in soccorso della repubblica erano arrivati in massa, dalla Francia, dall’Italia, dalla Gran Bretagna e anche dall’America. Simone Weil, George Orwell, Ernest Hemingway. In pochi mesi, tuttavia, tutte le correnti di sinistra “erano state ridotte all’impotenza” a Madrid. E anche a Valencia. Resisteva solo Barcellona, la città rivoluzionaria, la città anarchica, come San Pietroburgo nel 1917 e Berlino nel 1918. “Ma anche lì bisognava realizzare la limpieza roja”.
Il 19 novembre arriva un’auto e subito c’è una grande confusione, Durruti è stato ferito. “Bisogna operarlo”, grida uno. “Non deve morire”, grida un altro. La gente urla. Qualcuno minaccia. C’è chi piange. “Dicono che se muore Durruti è la fine dell’anarchia”. Viene adagiato su una lettiga e spinto fino alla sala operatoria. Non c’è più niente da fare.
“Il nostro compagno fermò l’auto e mentre scendeva per ispezionare gli avamposti della sua colonna, risuonò uno sparo. Crollò a terra senza una parola. La pallottola assassina gli aveva attraversato la spalla da parta a parte. La ferita era assolutamente mortale”, scrive il periodico Solidaridad Obrera il 21 novembre 1936. Il sindacato social-comunista incarica la compagna Pilar Valdès di indagare su una morte che resta piena di dubbi. Pilar è anche una giornalista e intende andare fin in fondo, non solo per zelo ideologico. Infatti, la ricerca della verità finirà per condurla dentro una ragnatela dalla quale uscirà viva, solo per fortuna, ma interamente disillusa rispetto agli ideali nei quali credeva.
Ad uccidere il compagno Durruti è stato un cecchino franchista. Questa è la versione più ovvia e sostenibile. Ma c’è anche chi dice che si sia trattato di un incidente, di un colpo partito per errore. È stato colpito da una fucilata o da un colpo sparato a bruciapelo. Infine, ci sono le tesi complottiste, spesso contrapposte, talvolta anche inverosimili. Sono stati i sovietici a decretare la sua morte. No, replicano i comunisti. Durruti stava per prendere la tessera del partito. Ad ammazzarlo sono stati gli anarchici che osteggiavano la sua alleanza con i sovietici. “Lo accusavano di essere diventato un uomo di Stalin”.
Bertetto oltre ad aver scritto molti romanzi (spesso storici) e anche uno studioso di cinema. Da appassionato a mia volta, ho letto visivamente il suo racconto. Mi aspettavo la struggente partecipazione alla sorte degli anarchici massacrati dai compagni come in Terra e libertà di Ken Loach. Invece sono stato risucchiato dentro un’avvincente caccia alla verità inseguendo tracce da spy story magistralmente condotte dall’autore. Da altro punto di lettura, il saggio storico interviene senza fastidio nella fiction, ovvero la narrazione viene ibridata con note storiche che integrano e sostengono l’invenzione letteraria.
Alla fine, non c’è verità che tenga, ovviamente. La forza del racconto è la figura di Pilar. Aggredita, violentata, arrestata dai sovietici, all’inizio del 1939 viene liberata. La storia ha preso un’altra direzione. “In carcere non serviva a niente e la caccia ai trotzkisti in Spagna era finita da un po’. Ma ormai il problema era salvarsi la vita.” Questa era stata l’unica liberazione possibile. Questa sarebbe stata l’unica emancipazione per cui lottare concretamente, specie come donna.
