Montale, Bassani e una «scienza delle intonazioni basse»
di Alberto Bertoni

Ospito qui, in occasione di Bookcity Milano e dell’uscita nel nuovo numero di Laboratori Critici (Samuele editore), l’editoriale di Alberto Bertoni.
***
La lettera inedita di Eugenio Montale a Giorgio Bassani ha un prima e un dopo. Il prima coinvolge le righe dedicate dal futuro premio Nobel alla prima edizione del primo libro di versi dell’autore ferrarese (Storie dei poveri amanti, Roma 1945: la seconda, “ampliata” di cinque poesie, sarebbe uscita l’anno dopo nella medesima sede) sul “Mondo” dell’1 dicembre 1945. Montale vi si riferisce nella lettera del ’49, mostrando di non averne conservato copia. Vi aveva associato i versi d’esordio di Bassani al “diario di poesia” Parole dell’ormai defunta Antonia Pozzi, pubblicato da Mondadori due anni prima.
In realtà, la recensione era tutt’altro che casuale, dal momento che Montale vi esprime un’impressione che è invece una verità critica molto impegnativa e presàga di futuro. Infatti, non c’è dubbio che nelle Storie dei poveri amanti a colpire è d’acchito la grande libertà metrica dei testi che lo plasmano. Composizioni in quartine di regolari settenari, contraddistinte da un’equiparazione sistematica – e già in sé piuttosto originale – di rime e assonanze, si alternano a un campione davvero ex lege quale Immagine, nel cui contesto le prevedibili quartine alternano tri- e quadrisillabi: «Ti consuma / d’amore / quest’aria / vivo cuore…»[1]. Certo, si potrà affermare che ci si trova di fronte a una ripresa esplicita dell’Ungaretti del Porto sepolto, poiché – se saldiamo in orizzontale la quartina in questione – otteniamo un regolare alessandrino, ma resta viva l’impressione di una prosodia sperimentale piuttosto avanzata, in tempi di un ermetismo votato al dominio endecasillabico. Basta pensare, in questa chiave, a un ibrido ancor più azzardato qual è la sequenza di Non piangere, compagno, la quale alterna settenari e ottonari, vale a dire due tipologie di verso prosodicamente “ostili”: «Non piangere, compagno, / se m’hai trovato qui steso. / Vedi, non ho più peso / in me di sangue. Mi lagno…»[2].
Non sarebbe difficile attribuire una simile instabilità metrica al processo di apprendistato di un esordiente compreso fra i ventitré e i trent’anni, non intervenisse un altro fattore di evidente sottrazione all’archetipo dell’endecasillabo (si pensi all’andare e venire, fra regola e sua violazione, dei Girasoli), riconoscibile nella maggioranza quantitativa di testi in versi lunghi, estranei alle metriche di derivazione romanza, spesso suddivisi pure loro in quartine. Non deve perciò stupire che nella sua proto-recensione sul “Mondo”, Montale insista proprio sull’aspetto metrico, dopo aver certificato che nel Bassani meno che trentenne si avverte «un temperamento di scrittore aperto a molte vie, [mentre] il prosatore si avverte anche nel tessuto del verso che rifugge da ogni astrazione sonora e si vale di un linguaggio ch’è realistico ma non contraddice mai alle possibilità tonali della lirica». E subito conclude che «Giorgio Bassani si rivela in perfetto possesso di un istrumento ch’egli non ha inventato, ma che si dimostra congeniale alle sue possibilità; ha sapienza di cesure, di false rime e di assonanze; sa sempre come sollevare dal livello della piatta prosa la cadenza più stanza e pericolante”, dal momento che possiede una calibrata «scienza delle intonazioni basse, quando gli avviene di servirsene per darci motivi e quadri della sua campagna ferrarese…».[3]
Il dopo è relativo invece all’effettivo debutto di Bassani nella collana mondadoriana dello “Specchio”, che sarebbe giunto a compimento due anni dopo la lettera di Montale pubblicata qui, vale a dire nel dicembre 1951. Intitolato Un’altra libertà, suddiviso in due sole sezioni (Te lucis ante, dedicata a Dinda e Niccolò Gallo; e In profondo, dedicata invece a Marguerite Caetani) e composto di poesie scritte fra il ’46 e il ’51, il volume passa oltre le Storie dei poveri amanti ma non si avvale di alcun intervento critico di Eugenio Montale (Mondadori forse non aveva accettato la richiesta di diecimila lire per la prefazione, annunciata da Montale nella lettera?), introduzione o bandella che sia. Ciò non inficia però l’interesse autentico di Montale per il profilo inventivo di colui che qualche decennio dopo avrebbe firmato quel capolavoro che è Il romanzo di Ferrara.
[1] Giorgio Bassani, Poesie complete, a cura di A. Dolfi, premessa di P. Bassani, Feltrinelli, Milano 2021, p. 71.
[2] Ibid., p. 86.
[3] Eugenio Montale, Il secondo mestiere, Meridiani Mondadori, t. I, Milano 1996, pp. 634-39. Qui p. 638.
