I poeti appartati: Massimiliano Gusmaroli

Due poesie
di
Massimiliano Gusmaroli
Bello leggere poesia di notte,
staccare un foglio dall’inanimato
che è dietro la scrivania
nell’ombra dell’umile ragno
e farsi poeti.
Ed è bello buttar giù una poesia fitta
e magari lunga pagine
in cui si dica pane al pane:
ogni fattaccio, ogni nefandezza
di Palazzo: quelli là che rovinano
tra antichi quadri e fregi
un Paese di antichi quadri e fregi
e pane dalle nostre mani mangiano
e dalle nostre bocche
e dai nostri occhi
e dalle nostre umili fierezze
e arti di fornai
e saltando la necessaria fila
e sempre levandolo con tradimenti
a un Paese di antichi pani e fornai
Ed è bello parlare in poesia del pane vero,
dell’umile, del buono, dell’unto reale
ma usando parole cercate, pulite
e in questo modo essere amici dei fornai
e di ogni altro di noi che ama il pane
a parte quelli là che a nulla credono
e nulla sentono
perché tutti amano il pane
ma solo amandolo dal basso è amore,
mai scontato amor del reale
facendo la fila nei forni tra gente
che non è importante
ed è come il pane
ogni filone diverso ma uguale
e chi dentro ha più o meno sale
e chi è panino chi larga pagnotta
E già questo sarebbe dare una poesia piccola
ma mondiale, un po’ alla Neruda,
per poi mettervi il punto finale
o non metterlo
o metterlo inutilmente
come quando spengiamo la luce
della lampadina umile
e chiudiamo gli occhi
illuminati da dentro
ed è bello sentire la mano
aggraziata dalla penna
e dai fogli su cui ha frusciato
passare sull’interruttore
pensare di chiudere il giorno con un click
che però non sempre finisce così
e allora nel buio
come in questa notte d’estate
continuiamo a poetare
nudi sul letto non dormendo
pensando ai versi appena scritti
o letti dalle penne d’altri
dalle loro notti
e scriverne in testa
ancora più belli.
*
Il mio volto alla guida concentrato
per non procurare incidenti,
per mettere la freccia a ogni svolta,
per segnalare nel buio con fari prudenti,
per non investire i supremi animali
istrici o volpi affascinati e corrotti
dalle luci delle auto come adolescenti.
Ma il mio volto è anche per la vita,
il tutto che si para intorno, paesaggi
di alberi muri scorci d’orizzonte pianeta
che lo sguardo raccoglie nei suoi viaggi
Volto aperto che pure si contrae
però all’intrattenimento di radio
in sfilza di parole aliene alla Terra;
radio effuse e roboanti in canili
di melodie che non stanno alla vita,
ai paesaggi, al nostro volto che guida
fine e concentrato, ed è come se Rumore
dovessimo servirlo, stessendo l’anima.
Anima che “viene prima della visione” *
ma sempre si forma dopo,
nell’amore delle cose viste,
e così diventa o “anima innamorata” **
o disamorata andante per il mondo
in filacci e frantumi di tessuto
Ma come dire l’anima senza sporcarmi,
definire questo preciso risvolto suo
di quando rivede cose già viste?
Scende dunque la poesia a pulire
questa idea: la visione delle cose viste;
a descrivere questo volto che guida
nella visione frontale e nei paesaggi
che intorno sono più importanti
proprio perché ripetute volte visti
So adesso infatti che i luoghi e le cose
che l’occhio rivede mai abituato
sono per questo più veri e nostri,
nell’anima che si compie e si riconosce;
e contro l’abitudine si è guerrieri,
contro quel che abitudine ci dice
dei luoghi e delle cose già viste
sussurrandoci l’opposto
Ma in sconosciuta volontà di lotta
si declina la visione e l’anima intera,
un tutto che qui dico e non so dire
e subito mi gioco ogni reputazione
e subito è persa!, illuminato da un faro
verso cui sono bestia; ragione di poesia
che viene qui strana e pura, pioniera.
Note:
*”L’anima viene prima della visione” è un verso di Michelangelo Buonarroti
**”L’anima innamorata” è il titolo di una poesia e di una prosa di Alda Merini
