➨ AzioneAtzeni – Discanto Sedicesimo: Antonella Anedda
Azione Atzeni – Discanto Sedicesimo di Antonella Anedda, letto da Caterina Biasi
Discanto Sedicesimo*
… acqua che scorre, salta, giù dalla conca piena della fonte, scivola e serpeggia fra muschi e felci, fino alle radici delle sughere e dei mandorli o scende scivolando sulle pietre … da Passavamo sulla terra leggeri, di Sergio Atzeni
Trascorrere / Risacca
di
Antonella Anedda
Una delle foto più note di Sergio Atzeni, scattata da Giovanni Giovannetti nel 1994 lo mostra seduto a gambe incrociate sull’erba. Indossa un golf con disegni geometrici di tipo vagamente scandinavo ma che si trovano anche nei tappeti sardi. È molto coperto: sotto il golf ne ha un altro e sotto ancora c’è una camicia. Molti strati – modi diversi per scaldare o raffreddare il corpo. Diverse combinazioni e possibilità di entrare in contatto con le temperature.
La posa è quella dello scriba egizio conservato al Louvre: stesso raccoglimento in una forma compatta. Allo stesso tempo Atzeni siede come un pastore che aspetta, forse si riposa, sorveglia, guarda lontano e ci guarda da vicino. Gli occhi sono socchiusi. La concentrazione è totalmente dimentica di sé. Le sue mani si posano sulle ginocchia senza stringerle – non afferrano non trattengono.
L’acqua, la luna, l’erba, divinità dell’opera di Atzeni passano, trascorrono. L’acqua non si può trattenere come la luna e le maree, può afferrarti ma tu non puoi afferrare lei. L’acqua – aveva detto Elizabeth Bishop in una poesia del 1947 intitolata At the Fishhouses – è come la conoscenza: scorre e quando passa è già passata.
I titoli di due tra le più belle opere di Atzeni, Il quinto passo è l’addio e Passavamo sulla terra leggeri, raccontano quanto si fosse inabissata in lui la consapevolezza del passare senza lasciare traccia su una terra, la Sardegna, che ha invece la forma di una grande impronta.
Passavamo sulla terra leggeri esce postumo nel 1996. Prima persona plurale: coro e tempo imperfetto – passavamo leggeri, schiere di ombre dietro altre ombre e già pieni di altre ombre future. Senza peso con un nome conservato solo – e non per sempre – da una lapide.
Passare è imparare a dire addio in modo sghembo, instabile non profetico ma fisico, barcollando, con un linguaggio reso epico dal suo rintocco interno, dall’ascolto e dalla restituzione di una lingua intaccata: non la purezza del logudorese ma l’accoglienza nel campidanese e nell’italiano di scaglie diverse, di musiche travasate dalle tradizioni straniere ai complessini (come si chiamavano) locali. Chi rileggerà le sue pagine a fronte delle poesie percepirà un intreccio di violenza trattenuta e lirismo, ansia di purezza, sconforto ma anche denuncia dei privilegi e delle ingiustizie.
Passare è anche far trapelare come quando si versa un liquido su una stoffa e lei si scurisce. Nel 1550 Sigismondo Arquer, giurista cagliaritano vicino ai luterani, legato a Sebastiano Munster ex monaco eretico a Basilea, scrive un libro che Atzeni conosce e ammira: Sardiniae brevis historia et descriptio, la prima descrizione dell’isola secondo coordinate geopolitiche moderne in cui accusa il clero di ignoranza e concussione, di uso regolare della tortura, attraverso gli unici libri che vengono letti per estorcere confessioni ai prigionieri.
Arquer muore sul rogo a Toledo nel 1571, condannato dall’Inquisizione non solo e non tanto perché eretico, ma per aver scoperto il ruolo della Spagna nel mantenere le condizioni della popolazione in condizione di schiavitù materiali e morali, per aver rivelato la connivenza soprattutto a Cagliari tra religione e potere economico delle grandi famiglie.
Arquer sembra passare a Atzeni le sue pagine attraverso il tempo, dandogli i suoi umori condividendo le sue stesse tenebre, lo stesso disconforto di fronte alla possibilità di ottenere giustizia. Un interesse per una continua risacca della memoria – potenzialmente pericolosa come la risacca.
Arquer muore senza ritrattare, senza pentirsi, rifiutandosi di riconoscere l’autorità degli uomini che l’avevano condannato. C’è in lui qualcosa del personaggio di Ruggero Gunale in Il quinto passo è l’addio, le contraddizioni dell’intellettuale, la sua sconfitta, la precarietà del suo luogo, qui rappresentata dal non luogo di un traghetto – casa senza fondamenta, spazio instabile stretto tra il non più della costa lasciata e il non ancora del porto di arrivo.
La tenebrosa Sardegna descritta da Arquer è la tenebrosa e luminosa Cagliari, il cupo Castello e la luce improvvisa nella piazzetta Sant’Antonio, la luce verde da Bonaria, Buoncammino e i Bastioni, Is Mirrionis, la periferia di Cagliari, e gli stagni con i fenicotteri, le Saline e poi il Poetto e il mare.
Atzeni ha riflettuto a lungo su cosa sia il paesaggio nella mente di chi scrive, il suo valore e anche la necessità di abbandonarlo. Il suo quinto passo-paesaggio è la separazione, il saluto, quello che conosce chiunque abbia preso un traghetto che da un’isola lontana come la Sardegna porta al Continente. Il fosso d’acqua che si scava ogni volta che la nave si stacca dalla banchina può – forse – essere riempito solo dal lavoro sulle parole.
Se assaggiassimo l’acqua del mare – dice ancora la poesia di Bishop – la sentiremmo amara, se vi immergessimo la mano il freddo ci farebbe tanto male da bruciare come se “l’acqua fosse una trasmutazione del fuoco che alimentato dalle pietre ardesse in una cupa, grigia fiamma.”
L’acqua è scura, salata, profonda e limpida:
Fredda, scura profonda e assolutamente chiara.
Così immaginiamo la conoscenza
scura, salata, limpida, mobile, completamente libera
attinta alla dura, fredda bocca del mondo
scesa da insenature di roccia
scorre ed è attinta e poiché ogni conoscenza
per noi diventa storia, scorre ed è trascorsa. (*)
Sergio Atzeni è morto il 6 settembre 1995 nell’isola di Carloforte in Sardegna, trascinato al largo da un’onda anomala.
(*) (Traduzione mia). At the Fishhouses è inclusa nella raccolta di Elizabeth Bishop Poems (Farrar Straus Giroux, 1984). Cfr. L’arte del perdere, traduzione di Margherita Guidacci (Rusconi, 1982), e Miracolo a colazione, traduzioni di Ottavio Fatica, Damiano Abeni, Riccardo Duranti (Adelphi, 2016)

* Azione Atzeni- mode d’emploi
di
Gigliola Sulis e Francesco Forlani
‘E scoprirai quello che resta di un uomo, dopo la sua morte, nella memoria e nelle parole altrui’. Sergio Atzeni, Il figlio di Bakunìn Il 6 settembre del 1995, inghiottito dal mare come l’amato Fleba il Fenicio, Sergio Atzeni perdeva la vita nelle acque dell’isola di Carloforte. Sardo, appena quarantenne, era stato militante comunista, anarchico leader studentesco, impiegato insoddisfatto, sindacalista, pubblicista. Dopo la fuga dall’isola, tra l’Emilia e Torino, divenne correttore di bozze, lettore di manoscritti per case editrici, sontuoso traduttore – un testo su tutti: Texaco di Patrick Chamoiseau. Per tutta la vita fu intellettuale rigoroso, poeta e scrittore immaginifico, autore di romanzi-mondo come Apologo del giudice bandito, Il figlio di Bakunìn, Il quinto passo è l’addio, Passavamo sulla terra leggeri, e di una cascata di racconti tra cui Il demonio è cane bianco, I sogni della città bianca, e Bellas mariposas. Come nel Figlio di Bakunìn, pensando oggi a Sergio, ci chiediamo: che cosa resta di uno scrittore, dopo la sua morte, nella memoria e nelle parole altrui? Per rispondere a questa domanda, abbiamo invitato degli autori legati all’opera di Atzeni a dare nuova vita ai personaggi o ai luoghi o alle atmosfere della sua opera. Interpretando, riscrivendo, stravolgendo creativamente, in totale libertà. Un coro di voci diverse per una raccolta di racconti brevi, accompagnati dalle registrazioni dei podcast a cura di Orsola Puecher, una rifrazione e moltiplicazione di frammenti post-atzeniani. Assolutamente vietata l’agiografia, e ‘massima penalità per chi si prende troppo sul serio’, come scriveva Sergio in uno dei suoi ultimi articoli per “L’ Unione Sarda”. Nasce così il gioco del discanto*, da intendere sia come far decantare delle buone pagine in nuove storie sia come costruzione di voci in forma di polifonia medievale. * Francesco Forlani ‘Nella Sardegna magica in cerca di Sergio Atzeni, “Reportage”, n.10, 2012, ripreso nel 2017 da Minima Moralia Gigliola Sulis, ‘Chi era Sergio Atzeni?’, “Le parole e le cose”, 22 novembre 2012
Si può seguire il PODCAST su:
⇨ Youtube
⇨ SPOTIFY
