Colonna (sonora) 2026
Quella sporca dozzina. Playlist 2025
di
Claudio Loi
Fine anno, tempo di resoconti o meglio di resa dei conti. Tempo di raccogliere quanto seminato durante l’anno e conservare i semi per i prossimi raccolti. Come sempre i frutti sono tanti, sempre più indecifrabili e fuori fuoco per una realtà che si fa fatica a comprendere e circoscrivere. Ma forse questo gran caos non è poi così tremendo e la musica – nonostante tutto – rimane ancora un ottimo laboratorio di libertà e creatività. Ecco allora dodici proposte, una per ogni mese dell’anno, una per ogni apostata. Da prendere come libero esercizio di piacere, opinabile, discutibile, modificabile. Giusto una piccola spinta per ripartire e riprendere a sognare…
Andrea Laszlo De Simone. Una Lunghissima Ombra. (42 Records)
Artista difficile da inquadrare. Cantautore potrebbe andare bene ma non basta a rendere l’idea. Poco importa, quel che conta è che dopo alcuni anni di silenzio è tornato con una proposta che rimanda alla migliore tradizione della canzone d’autore nostrana (Battisti e Battiato in primis) e persino una velata ripresa di temi d’opera e di orchestrazioni dal forte impatto impressionista. Lui non ama farsi vedere, esibire se stesso e la sua arte, lavora col favore delle tenebre e si applica come un antico amanuense pienamente concentrato sul suo lavoro. Un artista prezioso e quasi unico in un mondo che si allontana sempre di più dai semplici piaceri della vita. Bentornato Simone!
Arrogalla. Suite. (La Tempesta)
Abile manipolatore di suoni ed emozioni, Arrogalla (ovvero Francesco Medda) è un veterano nell’arte di mischiare le carte, di ricombinare i suoni, di pescare nell’infinito oceano della musica del mondo. La sua realtà è aumentata quanto basta per farla diventare un sogno realizzato. I suoni di antichi strumenti, le voci della strada, gli umori della natura sono le sue fonti primarie e i ritmi del mondo il giusto condimento con le possibilità del digitale a fare da collante. Nel suo universo non esiste il tempo e non importa lo spazio, non contano gerarchie e sottoinsiemi. Tutto diviene compatibile, tutto è necessario. Un ottimo esercizio di libero arbitrio estetico.
Giovanni Lami. Eikom. (Kohlaas)
Giovanni Lami cerca nella musica quello che noi cerchiamo quando ci soffermiamo ad osservare un tramonto o le ombre della sera. La sua ricerca musicale nasce dalla necessità di pensare la musica come parte di un sistema omogeneo e compatibile, ecologico e sincero. Prende quello che offre l’ambiente, lo studia e lo ripropone attraverso varie e misteriose manipolazioni elettroniche in un processo anche difficile da immaginare. Entrano in ballo in questa storia elementi che vanno oltre la tecnica e la conoscenza dei sistemi di composizione, qualcosa di inconscio e magico. Musica che restituisce al paesaggio quello che il paesaggio ci regala ogni giorno, comprese le sue brutture e i suoi scempi che ormai fanno parte del nostro vivere.
Lambrini Girls. Who Let The Dogs Out. (City Slang)
Punk rock di ultima generazione da Brighton nella sua forma più elementare e viscerale possibile. Giovani quanto basta per essere rispettate e tenute in debita considerazione il loro album d’esordio ci fa ben sperare in un futuro più disponibile verso le tante varianti della natura umana. Difficile resistere alla carica elettrica di queste due ragazze che sembrano arrivare da qualche cantina del secolo scorso e invece sono figlie dei nostri tempi, perfette nel rappresentare le sacrosante istanze di libertà ed emancipazione che, come sempre, bisogna conquistare ogni singolo giorno.
Laura Agnusdei. Flowers Are Blooming In Alaska. (Maple Death)
Una delle più belle sorprese di questo 2025. Un’epifania di inizio anno che ha squarciato il cielo e regalato sprazzi di luce e calore. Avevamo apprezzato il suo approccio estetico nella proficua collaborazione con Jonathan Clancy e stupisce anche il suo modo di flirtare con il sax: un approccio che nessuna scuola si sognerebbe di applicare, proprio per questo ancora più interessante. I fiori che sbocciano in Alaska sono una figura inquietante ma possono anche essere intesi come un miracolo che si avvera. Dipende dai punti di vista e quello di Laura Agnusdei è di sicuro trasversale e militante. Un disco di rara bellezza in cui è possibile ritrovare l’ecologismo ante litteram di Don Cherry, il quarto mondo di Jon Hassell e tanto tanto altro. Un progetto che diventa manifesto per una nuova ecologia e un affettuoso sguardo al pianeta prima che sia troppo tardi.
Mirko Mariani. Musica per sconosciuti. (I dischi di Angelica)
Lui è un personaggio davvero fuori margine, insolito, bizzarro, difficile da prendere seriamente e invece maledettamente serio. Lui fa finta di niente ma questa follia rivelata lo rende unico e necessario. Canta, suona, compone, fa e disfa con tanta nonchalance e quasi sempre fa quello che non ci si aspetta. La recente, stralunata rivisitazione dei suoni della Romagna più agreste con il progetto Extraliscio hanno lasciato il segno e quest’anno ecco un triplo album con 158 brani tutti composti, suonati e mixati da se stesso medesimo giusto per vedere l’effetto che fa. Un campionario di suoni, di strumenti vecchi e nuovi, idee che si sovrappongono, ritmi da ogni dove, vecchie cartoline, paesaggi reali e immaginati e anche altre cose che sarà difficile digerire e assimilare. Prendiamoci tutto il tempo che ci vuole, nessuna fretta, nessuna scadenza. Questa è musica che non ha inizio e non ha fine, che va consumata come si consuma il pasto della sera. E poi tutti a letto a sognare altre musiche e altri scenari.
Simon Balestrazzi. Scomparire. (Silentes)
Questa nuova opera in perfetta solitudine di Simon Balestrazzi è da maneggiare con cura, da assumere con la dovuta cautela e possibilmente in compagnia di un adulto. Se siete nella piena consapevolezza dei vostri limiti nervosi va bene, altrimenti rimandate l’ascolto a momenti più sereni. Già dai titoli si capisce che è roba forte, qualcosa che arriva dai meandri più nascosti del proprio essere e i suoni vanno proprio in quella direzione: il paesaggio dopo la tempesta, la nebbia che assale e ricopre ogni cosa, un senso di vuoto che annulla la propria identità, qualcosa che sbilancia e lascia senza precise indicazioni. Ma una volta superata la soglia del frastuono più atroce tutto diventa più familiare e persino la nebbia diventa un ambiente confortevole in cui perdersi con la certezza che il mondo là fuori può essere anche peggio.
Steven Wilson. The Overview. (Universal)
Confesso di essere arrivato a questo nuovo disco di Steven Wilson per la presenza di Andy Partridge come autore dei testi in brano. Poca cosa ma sufficiente a riaccendere una lontana passione che arriva dai tempi delle superiori, una sbandata mai risolta. Così funzionano le cose e a volte le stranezze del caso portano buone nuove. Non che Wilson avesse bisogno di chissà quale riabilitazione ma lo avevo sempre tenuto in un angolo insieme ai suoi Porcupine Tree che invece godono di stima globale e indiscussa. The Overview è un ottimo disco, classico, molto debitore dei primi Pink Floyd con lunghe cavalcate dal sapore psichedelico e ballate eteree e lisergiche che ogni tanto fanno pure bene. Ed è giusto talvolta superare i propri limiti e aprirsi al mondo grande e imprevedibile che visto dallo spazio sembra anche un bel posticino. Grazie quindi a Mr. Andy per i testi e al bravo Steve che raramente sbaglia un congiuntivo.
The Divine Comedy. Rainy Sunday Afternoon. (DCR)
The Divine Comedy è un progetto musicale inventato da Neil Hannon nordirlandese da sempre appassionato cultore di artisti come Leonard Cohen, Scott Walker, Serge Gainsbourg, Burt Bacharach con i quali merita di stare allo stesso livello. The Divine Comedy è un blend ben calibrato di pop d’autore, ballate strappalacrime e una immensa sensibilità da romantico cantore dei nostri sentimenti. Dalle foto del nuovo disco si intravede un uomo di mezza età, pacificato col mondo, riflessivo e serio quanto basta. La domenica pomeriggio piovosa e melanconica di cui ci parla in queste tracce potrebbe essere una velata metafora del nostro essere o più prosaicamente un acquerello appeso al pub più cool della sua Irlanda. Fate voi. Quel che importa è che queste composizioni, in modo inesorabile, ti entrano dentro e non ti lasciano più come le cose più preziose che abbiamo. Un artista di incredibile talento, ben cosciente delle sue qualità e dei suoi limiti, pronto ad affrontare la parte più impegnativa della sua vita. Nel migliore dei modi e con la giusta dose di serena accondiscendenza.
Ty Segall. Possession. (Drag City)
Californiano doc, cresciuto con massicce dosi di rock viscerale e senza fronzoli, quasi sempre solo soletto nel garage di famiglia. Lui si immagina come l’anello di congiunzione tra gli Stooges, gli Hawkwind e i Black Sabbath ovvero la parte del rock più selvaggio e impertinente e in parte è proprio così. Me lo immagino perso a schitarrare nella suo spazio vitale senza altro per la testa: solo insano e virulento rock’n’roll. E lì è rimasto fino a diventare uno dei migliori rocker in circolazione, sempre fedele alla linea, sempre col tiro giusto e un outfit da underdog in riva al mare. Possession è un nuovo mattoncino che si aggiunge a una discografia corposa e stratificata e segna un’ulteriore passo in avanti. Lui ci crede in quello che fa, e sincero e ben disposto e non possiamo che credere in lui.
Viagra Boys. Viagr Aboys. (Shrimptech Enterprises)
Direttamente dalla fredda Stoccolma ecco i Viagra Boys una band con un nome discutibile e una proposta musicale indiscutibile. Guitar rock della miglior qualità che sembra arrivare dalle coste della California e invece si nutre di muschi e licheni delle fredde terre del Nord. Tutto molto strano, tutto molto cool e sempre in armonia con le correnti del dissenso globale. Amano essere queer, ecologisti, militanti, politicamente attenti alle storture del pianeta ma anche ironici e dissacranti al punto giusto con un piacevole ricorso a stranezze varie che li rende molto amabili. La loro attenzione al sociale è una cosa che ci conforta nel pensare che gli artisti possano contribuire a rendere il nostro pallido pianeta più vivibile e inclusivo. Ci provano e questa è già una bella storia.
Wet Leg. Moisturizer. (Domino)
Post punk di nuova generazione con un progetto che ruota intorno a Rhian Teasdale e Hester Chambers due ragazze nate e cresciute nell’isola di Wight, Inghilterra del sud. Per i più anziani quel posto rimanda di default al mitico festival che nel 1970 fece un po’ di ombra persino a Woodstock. Non so se queste ragazze abbiano ereditato qualcosa da quelle lontane vibrazioni forse troppo disperse nel tempo ma di certo hanno studiato molto bene la lezione del post punk inglese dei primi anni Ottanta. Tanto bene da superarlo e riuscire a riscrivere con personalità un genere che sembra non finire mai. Dal vivo sono incredibili ma anche su disco non deludono e ci fanno rimbalzare tra diverse ere temporali in un frenetico magical mistery tour come nella migliore tradizione del rock più lacerato.
That’s All Folks!
Per quest’anno è tutto ma se avete ancora voglia di musica tosta ecco alcune addizioni che sono rimaste fuori lista non per demeriti ma per pura casualità. Tra gli esclusi con tanto rammarico consiglio vivamente proprio That’s All Folks! dei Not Moving che ci salutano con un disco vibrante e potente come loro abitudine. E poi date un ascolto a Cosplay dei Sorry che si muovono tra hyper pop e post-punk con la giusta predisposizione alla materia. Makaya McCraven ha fatto il botto con Off The Record ovvero quanto di meglio il jazz riesca ad esprimere in questo momento. Per finire un omaggio al grande Antonello Salis che viene riverito nel giusto modo nel nuovo album della Tankio Band di Riccardo Fassi giustamente battezzato Cum Grano Salis.
Grazie e buon anno!

