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Meditazioni joxiane #1

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di Dario Voltolini

Alin Joxe.jpg Ho deciso di darmi alla meditazione. Il testo su cui mediterò è il libro di Alain Joxe L’impero del caos. Guerra e pace nel nuovo disordine mondiale, Sansoni 2003.

Io non ho né la cultura, né l’inclinazione per discutere dei temi affrontati in questo libro, tuttavia mi sembra così importante che mi ci provo.

Comincio riportando uno stralcio di un testo di Ralph Peters che Joxe cita incorniciandolo.

Cose tipo la vita e la letteratura

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di Christian Raimo

albero.jpg Sono arrivato a Torino con il treno alle sette e cinquanta del mattino, con un cielo di ghiaccio. Appena sceso ho telefonato a una ragazza a Roma a cui avevo pensato tutto il viaggio, dormendo e non dormendo sul sedile allungato. L’ho trovata a casa che stava per uscire. A lei faceva piacere sentirmi ma non nel modo perentorio che io mi aspettavo. Scrivo queste cose brutalmente biografiche perché vedrete avranno un senso.

Ego te brevetto

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di Maria Moresco

oncomaus.jpgIl brevetto è nato nel ’700 in ambito anglosassone per proteggere la proprietà intellettuale di manufatti meccanici per una durata di vent’anni. La persona che otteneva il brevetto sulla propria invenzione doveva essere in grado di usare, riprodurre e riparare l’invenzione medesima, di averla sotto controllo. La mentalità del brevetto comunque appartiene solo a una parte del mondo, in quanto in certe culture come, per fare un solo esempio, in quella indiana, non si considera il sapere come qualcosa di esclusivamente privato, ma come tramandabile all’interno di una comunità.
Tutta la questione dei brevetti è regolata da norme giuridiche che amano presentarsi come neutrali e universali. Il concetto giuridico si presenta come “disinteressato”, come garante di norme e diritti. Il problema è che rispetto a certe problematiche odierne il sapere della scienza e la semantica del diritto formano un ibrido con caratteristiche tutte sue, in cui le norme vengono riempite di contenuto “scientifico”. Ci sono cioè scelte giuridiche che aiutano gli scienziati a affermare se stessi e i propri interessi. Il diritto dunque non è né neutrale né disinteressato.

Al di qua del principio di piacere

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di Antonio Piotti

pleas.jpgAccade spesso, se si ascoltano spot pubblicitari televisivi o se si sfogliano certe riviste patinate, che i termini Piacere e Godimento siano usati come sinonimi. Invece, caro lettore, devi sapere che sussiste tra essi una complessa ed articolata differenza e che proprio il confronto tra questi due concetti è un tema fondamentale nel dibattito psicoanalitico e filosofico contemporaneo.

Sono coinvolte le riflessioni girardiane sulla mimesi, lo sviluppo del concetto di narcisismo a partire dal famoso saggio freudiano del 1914 ed infine la questione lacaniana della jouissance.

Io tuttavia non voglio tediare nessuno con argomentazioni troppo specialistiche: tanto più che per operare una distinzione molto semplice, ma anche molto efficace, basta ricordare che il piacere richiede la condivisione, mentre il godimento comporta l’esclusiva. In altri termini, gentile amico, il piacere implica sempre un rapporto con l’altro, il godimento una chiusura in se stessi.

Alla ricerca della perla nera (#3)

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di Mariolina Bongiovanni Bertini
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[Terza puntata. Attenti a questi due! DV.]

Trentenne Benestante Cerca Trentenne Graziosa

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(Da “Bagattelle & Pavane per Sam”)

di Gillioz*

al poeta-ballerino Andrea Inglese (W Sam!)

Era arrivato al punto in cui non voleva più scegliere alcunché, e così passava il tempo a convincersi che non c’era. Intanto il tempo faceva l’unica cosa che sapeva fare, e cioè passare, anche se questo è solo confortevole da dire e abbastanza duro da provare. Sì, diciamo che passava, o che lui passava dentro la sua guaina, o attraverso la sua gamma imprecisabile, o magari non c’era attraversamento alcuno, ma uno deve pur partire da qualche immagine. Possibilmente immagine con un che dell’esperienza. Perché i concetti piacciono se nel frattempo si son fatti le ossa con ciò che ampiamente trapassa nelle scorribande del cosiddetto reale.

Evviva l’Italia!

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di Benedetta Centovalli
ghostpic.jpg Dicevamo strano periodo, questo. Nei primi tre mesi del 2004 un significativo numero di raccolte di racconti italiani, e sottolineo italiani, ha inondato le librerie. Si vede che lo stato di salute della nostra narrativa non è poi così malandato. Si vede che sono in tanti a pensare che valga la pena misurare la temperatura della nostra capacità di rappresentare il Paese e noi stessi.
Seconda tappa di questo viaggio nello stivale che scrive è Viva l’Italia, a cura di Oscar Iarussi, sottotitolo Undici racconti per un paese da non dividere (Roma, Fandango, 2004), e cioè testi di: Massimo Carlotto, Roberto Cotroneo, Giancarlo De Cataldo, Luciano Doddoli, Lisa Ginzburg, Edoardo Nesi, Lidia Ravera, Giampaolo Rugarli, Luigi Serafini, Emanuele Trevi, Sandro Veronesi. Un manipolo consistente e eterogeneo di scrittori che testimoniano il loro impegno verso quella cosa che non possiamo non chiamare patria. Ritratto secco e non indulgente del Paese, a tratti lieve a tratti fosco, con sguardi che provengono da generazioni diverse.

Sangue (#2)

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seconda e ultima parte del racconto di Stefano Di Leo

sangre.gifA scuola è muto, dicono: forse gran pensatore – mio figlio? – o forse è scemo. Robusto – diciamo grasso – e non mette il grembiule. E non piange e i suoi capricci sono in forma di coriacee ostinazioni. Non che sappia molto di lui, solo che è un ragazzino distratto e chiuso e – come dice sua madre – patologicamente solo.

Finché ero suo padre spesso andavamo al fiume, pescando nulla pur confidando nella pastura che ci preparava un bagnino di Fregene. La lenza avrebbe tirato anguille e trote se avessimo avuto passione, ma il nostro momento era piuttosto il panino al formaggio che divoravamo stesi al sole schernendo il consesso civile che studiava o era al lavoro.

Sangue

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un racconto di Stefano Di Leo

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primo giro

Arrenditi che sei cascato, dico, eppure ho ancora voglia di combattere.
Ieri, tornando, ho comperato due polpette di filetto al macellaio. Trippa. E una polpetta l’ho regalata ai gatti. Ho mangiato una pentola di minestra intera, l’altro ieri, con patate e fagioli: le patate le fai fine e i fagioli devono essere freschi da scafare. Domani mangerò trippa al sugo e mio figlio dice metti la mentuccia, ma va bene anche sedano e carote, dico io, il sedano va bene.

Alla ricerca della perla nera (#2)

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di Mariolina Bongiovanni Bertini

delfino.gif [Seconda puntata del racconto per le criature. Potete stampare il delfinotto qui di fianco e occupare la criatura con i pennarelli per un paio di minuti, giusto il tempo di fare quella benedetta telefonata che rimandate da stamattina. Nota del curatore: avevo scritto una canzone di argomento delfinesco. Credo che la si possa ascoltare cliccando qui. Alla prossima. DV.]

Il calcio di Grazia

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Tiziano Scarpa intervista Giuliana Olivero

8884904641.jpgIl calcio di Grazia di Giuliana Olivero racconta la storia di un’invasione. L’invasa è Grazia, che diventa molto più che tifosa di calcio. Ha avuto un’infanzia crudele, e non solo quella. Ma da grande inizia a seguire gli allenamenti della Juventus, si affeziona, si innamora, fa regalini e manda telegrammi chilometrici ai calciatori, lettere, biglietti, cravatte, fazzoletti, raccolte di foto ritagliate fedelmente dai giornali per anni, fiori. Grazia si infervora per Marco Tardelli, per Michel Platini, poi per Sergio Brio, per Pasquale Bruno, infine per un allenatore, Francesco Guidolin.

Li segue con discrezione e con spavalderia, li stana negli alberghi dove dormono durante le trasferte, ma senza mai molestarli con qualcosa di più di una telefonata una volta ogni tanto, o un mazzo di fiori fatti consegnare in camera. Guadagna poco assistendo di notte vecchi e invalidi, spende tutto in viaggi per seguire l’idolo del momento, anche quando cambia squadra: a Firenze, a Lecce, fino in Scozia… L’invasore è il calcio, che si è annesso un intero popolo: in questo romanzo l’Anschluss si compie anche sulla parte femminile dell’Italia, che solo fino a pochi anni fa sbuffava al marito in poltrona davanti alla partita, e ora invece urla nella fossa degli ultrà.

Per Nazione Indiana ho fatto qualche domanda all’autrice, Giuliana Olivero.

Poligono di tiro 5-4-2004

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di Dario Voltolini

martinetto-5-4-040007.JPGMi sono ricordato che il 5 aprile si commemorano i partigiani fucilati dai fascisti nell’ex poligono di tiro del Martinetto, a Torino. Questo luogo è a un isolato da casa mia, e non c’ero mai andato. Oggi ho voluto per la prima volta visitarlo, nel 60° anniversario.

Non credo possa esistere un luogo più sobrio e essenziale e per giunta privo persino della retorica della sobrietà e dell’essenzialità. Senza tetto, la vecchia costruzione è ridotta a quattro mura, dentro cui un prato fa da pavimento. Qualche bandiera, le corone istituzionali, una lapide, una bacheca. Una siepe e dei fiori freschi appena messi.

C’erano altri quattro visitatori, e a turno ci si diceva, commentando il luogo, “ma che bel posto, non c’ero mai stato, eppure sono 50 anni che abito a Torino”, oppure “abito a duecento metri da qui…”, oppure “non sapevo nemmeno che ci fosse…”.

Mi sono chiesto cosa potesse significare “che bel posto” detto di un luogo in cui si fucilava la gente di schiena, tutti legati in fila su delle sedie. E mi pare di aver capito che significasse “che posto pulito, lineare, scarno, per commemorare e basta”.

Mi sono segnato i mestieri e le qualifiche dei fucilati, dalla lapide. Li riporto qui sotto.

La puttana nella carrozza

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di Antonio Moresco

bouledesuif.jpgLa discussione – anche aspra e inelegante – in corso in questi giorni su Nazione Indiana in seguito a uno scritto di Massimiliano Parente, è a mio parere utile e interessante e permette di riprendere e approfondire alcuni degli argomenti che sono già stati affrontati più volte nel nostro primo anno di vita. Per quanto mi riguarda, ho già detto come la penso a proposito di alcuni degli argomenti sollevati anche adesso in uno scritto intitolato Lettera da Leuca, già pubblicato qui e qui. Per cui non voglio annoiare nessuno ripetendo le stesse cose. Se a qualcuno interessa, può trovarlo nell’archivio del mese di agosto del 2003.

La cosa pubblica

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di Bruno Bongiovanni

stemmarepubblica1.jpg Ragioni forti per dare un numero alle repubbliche ve ne sarebbero state ben più che da noi. Penso agli USA del periodo successivo alla guerra di secessione (1861-1865), definita anche, sulla base di interpretazioni storiografiche assai diverse, il secondo e decisivo round della rivoluzione americana, la guerra di liberazione degli Stati del Sud contro l’egemonismo industrialista e nordista, la guerra politica, religiosa e sociale contro l’infamia dello schiavismo, la guerra del liberoscambismo filobritannico sudista contro il protezionismo manifatturiero del Nord, la guerra dell’economia della piantagione contro il mondo urbano fondato sulla produzione di beni di consumo durevoli e sul factory-system.

Alla ricerca della perla nera (#1)

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di Mariolina Bongiovanni Bertini

perlanera.jpg [Ecco il racconto “fatto in casa” destinato ai visitatori di Nazione Indiana dotati di criature, siano esse reali o interiori.
Ve lo affiggo a puntate, come un vero feuilleton.
Ringrazio Mariolina per averlo regalato a mia figlia e permesso di distribuirlo a tutti.
Un abbraccio a tutte le criature. DV.]

Poesie

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di Andrea Inglese

Che la vita cominci da quel cane
sdraiato, o da quell’edera morente
che ha una zolla dura, di marmo.
Dia un nuovo segnale, una vampa,
il ventre nudo di quello che parla
guardandosi le scarpe senza stringhe,
si stacchi dal muro anche il corvo
lustro come uno stivale di soldato.

Il diario del siamese (1)

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Liliane Giraudon

Un capitolo di La fiancée de Makhno (2004)

tradotto da Andrea Raos

Una frase deve ogni giorno venire puntata. Ma non sul mondo che attraverso, né su me stesso. “Ossèrvati è la parola del serpente”. Franz aveva ragione. Osservarmi, ora che lei non fa più parte del mio corpo, sarebbe tempo perso. Annotare ogni giorno qualche gesto o tracciare linee nello spazio deve servire ad avvicinarmi a lei.
Devo raggiungerla. Non seguirne le tracce, come senza dubbio lei teme che io faccia, ma tagliare per altri territori e intercettarla prima che ritrovi quello che crede essere l’accesso agli antichi altopiani.
Dal mio incontro con Laika, la mia intera esistenza sarà stata simile alla dissimulazione di un combattimento. Un combattimento che avrò condotto da solo, e per lei sola. Insieme separatamente abbiamo conosciuto l’Inferno. Ciò che è stato concepito male finisce male. Li chiamano cani puzzolenti. Ma solo gli uomini impestano l’aria, mentre le donne ammorbano l’erba su cui si genuflettono, a succhiare i loro padroni.

La lista della spesa

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una proposta di Tiziano Scarpa ai lettori di Nazione indiana
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Cari amici, ho bisogno di voi.

Abbiate la pazienza di leggermi. Se vi annoiate, saltate i paragrafi che seguono e andate a circa metà di questo mio intervento, leggete da “È a questo punto che ho bisogno di voi” in avanti.

Vi faccio una proposta di lavoro (ma non vi potrò pagare).

Eugenio e i mulinelli

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di Dario Voltolini

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Il vento soffiò così forte
che sbriciolò Eugenio:
lo sfarinò
e ne disperse la polvere ai quattro punti cardinali.

Cara Nazione Indiana

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di Massimiliano Parente

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Caro Tiziano Scarpa, e cari amici di “Nazione Indiana”, ma davvero, secondo voi, il nocciolo della letteratura di questi anni, la brace sotto la cenere, il non potere contro il potere, è una lista della spesa, quella lista, che poi sembra il fronte letterario degli amici contro i nemici, svuotata di ogni presupposto critico, poetico?

Italville

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di Benedetta Centovalli

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Strano periodo, questo. Si fa un gran parlare di letteratura che non c’è, di intellettuali afasici e vili, di scrittori italiani che non sanno raccontare il paese che muta, che non riescono a stare dentro l’onda di questo cambiamento. Di un paio di mesi fa la provocazione di Mauro Covacich sull’«Espresso», cui hanno fatto seguito risposte sullo stesso settimanale, su quotidiani e in rete. E insieme un fiorire come da tanto tempo non si era visto di raccolte di racconti italiani che lavorano a cancellare questa impressione. E non solo le antologie, certo.