La cosa pubblica
di Bruno Bongiovanni
Ragioni forti per dare un numero alle repubbliche ve ne sarebbero state ben più che da noi. Penso agli USA del periodo successivo alla guerra di secessione (1861-1865), definita anche, sulla base di interpretazioni storiografiche assai diverse, il secondo e decisivo round della rivoluzione americana, la guerra di liberazione degli Stati del Sud contro l’egemonismo industrialista e nordista, la guerra politica, religiosa e sociale contro l’infamia dello schiavismo, la guerra del liberoscambismo filobritannico sudista contro il protezionismo manifatturiero del Nord, la guerra dell’economia della piantagione contro il mondo urbano fondato sulla produzione di beni di consumo durevoli e sul factory-system.
Altre definizioni potrebbero essere esibite. Resta però un fatto che, dopo tanta terribile “divisività” (termine usato da Galli della Loggia per denunciare il rissoso carattere delle itale genti), a nessuno è venuto in mente di definire “seconda repubblica” l’America del dopo-1865. Ed è ben noto che la “divisività”, e i risentimenti, e persino le vendette, durarono ancora a lungo. E fecero, tra guerra e dopoguerra, molte più vittime di quelle generate da un secolo e mezzo di “divisività” italiana.
Né si dimentichi la Germania, che, dopo l’esperienza democratica della repubblica di Weimar (1919-1933), ha conosciuto i dodici anni del Terzo Reich, il quale si pretendeva millenario e si autocelebrava appunto come “terzo”, dopo il Sacro Romano Impero, diventato nel 962 Sacro Romano Impero della nazione germanica con Ottone I, e affossato nel 1806 da Napoleone, nonché dopo il secondo impero tedesco, vale a dire il Kaiserreich prima bismarckiano e poi guglielmino (1871-1918).
Consumatasi la deutsche Katastrophe (titolo di un libro celebre di Meinecke), e battuto il Reich, nel 1949, perdurando ancora il blocco sovietico di Berlino, venne poi costituita la Repubblica Federale di Germania. E nessuno pensò di affibbiare a quest’ultima la formula “seconda repubblica”.
Non è finita qui. Nessuno infatti propose la formula in questione neppure nel 1990, allorché vi fu la riunificazione tedesca e la fine del più lungo dopoguerra della storia. Né alcuno dei paesi europei dell’ex-blocco orientale fece una simile mossa onomastica nel 1989, mentre i comunismi cadevano come birilli. Non faccio alcun cenno, per non cadere nel grottesco, alla repubblica italiana del 1946, creata dal voto popolare un anno dopo la fine della repubblica di Salò.
Solo la Francia – dove lo stesso nome “repubblica” è stato dal 1792 cagione di “divisività” – ha avuto cinque repubbliche. Nei manuali spagnoli di storia c’è poi la distinzione tra la prima (1873-1874) e la seconda (1931-1939) repubblica. In Italia, senza alcuna ragione istituzionale, è prevalsa, nell’ultimo decennio, una ormai fiacca e sempre incongrua vulgata giornalistica volta a disegnare, e a denigrare, la “prima repubblica”. Perché regalare a Bossi e a Berlusconi, e al 1994, le credenziali di una virtuosa cesura che non hanno preteso Lincoln, Adenauer, Kohl e Havel ?
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pubblicato su l’Unità del 21-3-2004
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Caro Bongiovanni,
lei ha ragione da vendere. La corruzione politica, la collusione mafiosa e tutto il resto in cui era degenerata la cosiddetta “prima” repubblica, continuano ancora oggi, anche se in forme (forse) meno eccessive e soprattutto meno visibili…
Ma forse, allora, la formula “seconda repubblica” ha il sapore di una mossa politica, nel senso degenere del termine, cioè di un gesto tranquillizzante. Ci dicono: state calmi, quella arrivata a simili picchi di corruzione era la “prima” repubblica, adesso c’è la “seconda”, cioè un’ “altra” repubblica, una repubblica “diversa” dalla prima.
Con questa formula più politica che storiografica, dunque, i politici italiani (di destra e di sinistra, berlusconiani e dalemiani) hanno evitato la naturale delegittimazione alla quale sarebbero andati incontro dichiarandosi in un rapporto di continuità e tradizione col passato (un passato, invece, da rimuovere), dandoci a intendere che, dopo Tangentopoli, c’è stata una svolta che, a mio parere, non c’è stata o, se c’è stata, è stata parziale, formale, di superficie…