di Mariolina Bongiovanni Bertini
3. Il Coboldo di Bergeggi.
Quando Yessèr arrivò in vista della costa di Varigotti, il sole era già sceso dietro la collina , che si stagliava tutta nera contro il cielo luminoso. Di tornare alla Baia dei Delfini, bisogna dire che non ne aveva troppa voglia. Già gli sembrava di sentire nonno Cutberto: ” Eh, ve l’avevo detto io… Ai miei tempi sì che eravamo prudenti… Ai miei tempi…”
– Ho bisogno di qualcuno che, invece di sgridarmi, mi dia una mano a trovare questa famosa perla nera – pensava Yessèr – Insomma, di qualcuno che mi aiuti senza farmi una testa così… Ma certo, la medusa Carlotta! E’ la migliore amica della mamma e sarà contentissima di fare qualcosa per noi. Questa sì che è una buona idea!
Voltando la coda alla Baia dei Delfini, Yessèr si diresse verso l’abitazione di Carlotta. Carlotta viveva nel minuscolo braccio di mare che separa tra loro quei due grandi scogli scuri chiamati “i paggèi” ( in lingua varigottese vorrebbe dire “i pagliai” , perché hanno la forma di quei mucchi di paglia che si vedono a volte in campagna). Era la medusa più discreta e gentile che si possa immaginare: per darvi un’idea del suo carattere, vi dirò soltanto che quando nuotava vicino alla spiaggia, si metteva certi guantini e una cuffietta di alghe, lavorati a maglia, per essere ben sicura di non pungere qualche nuotatore di passaggio. In una rientranza dello scoglio-pagliaio più grande si era arredata quello che chiamava con fierezza il suo salottino o, come si diceva allora, il suo buduàr: cuscinetti ricamati e centrini di pizzo di alghe da tutte le parti , candelabri di marmo verde , tazzine di corallo rosa con il bordo dorato , portaceneri di conchiglie, statuine di cristallo a forma di stella marina , di cavalluccio marino, di pesce spada, di gambero, di cozza gigante. Forse l’insieme era un po’ troppo affollato di cose inutili per essere davvero di buon gusto, un po’ come quei salotti delle nonne pieni di porcellane, bambole , vassoietti e bicchierini , ma lei ci stava benone e quando poteva invitare qualcuno ad ammirare i suoi tesori era la medusa più felice di tutta la costa.



Servi dei servi, come recitano certi slogan un po’ muffi. Ma è proprio così. Servi delle multinazionali. Servi del peggior governo americano dai tempi di Nixon, impelagati in un’impresa guerresca che nulla ha a che fare con la lotta al terrorismo, ma promette di trasformarsi in una catastrofe di dimensioni storiche.
Quei ragazzi che lavorano alla Tecnocasa
Ho deciso di darmi alla meditazione. Il testo su cui mediterò è il libro di Alain Joxe
Sono arrivato a Torino con il treno alle sette e cinquanta del mattino, con un cielo di ghiaccio. Appena sceso ho telefonato a una ragazza a Roma a cui avevo pensato tutto il viaggio, dormendo e non dormendo sul sedile allungato. L’ho trovata a casa che stava per uscire. A lei faceva piacere sentirmi ma non nel modo perentorio che io mi aspettavo. Scrivo queste cose brutalmente biografiche perché vedrete avranno un senso.
Il brevetto è nato nel ’700 in ambito anglosassone per proteggere la proprietà intellettuale di manufatti meccanici per una durata di vent’anni. La persona che otteneva il brevetto sulla propria invenzione doveva essere in grado di usare, riprodurre e riparare l’invenzione medesima, di averla sotto controllo. La mentalità del brevetto comunque appartiene solo a una parte del mondo, in quanto in certe culture come, per fare un solo esempio, in quella indiana, non si considera il sapere come qualcosa di esclusivamente privato, ma come tramandabile all’interno di una comunità.
Accade spesso, se si ascoltano spot pubblicitari televisivi o se si sfogliano certe riviste patinate, che i termini Piacere e Godimento siano usati come sinonimi. Invece, caro lettore, devi sapere che sussiste tra essi una complessa ed articolata differenza e che proprio il confronto tra questi due concetti è un tema fondamentale nel dibattito psicoanalitico e filosofico contemporaneo.

Dicevamo strano periodo, questo. Nei primi tre mesi del 2004 un significativo numero di raccolte di racconti italiani, e sottolineo italiani, ha inondato le librerie. Si vede che lo stato di salute della nostra narrativa non è poi così malandato. Si vede che sono in tanti a pensare che valga la pena misurare la temperatura della nostra capacità di rappresentare il Paese e noi stessi.
A scuola è muto, dicono: forse gran pensatore – mio figlio? – o forse è scemo. Robusto – diciamo grasso – e non mette il grembiule. E non piange e i suoi capricci sono in forma di coriacee ostinazioni. Non che sappia molto di lui, solo che è un ragazzino distratto e chiuso e – come dice sua madre – patologicamente solo.
[Seconda puntata del racconto per le criature. Potete stampare il delfinotto qui di fianco e occupare la criatura con i pennarelli per un paio di minuti, giusto il tempo di fare quella benedetta telefonata che rimandate da stamattina. Nota del curatore: avevo scritto una canzone di argomento delfinesco. Credo che la si possa ascoltare cliccando 
La discussione – anche aspra e inelegante – in corso in questi giorni su Nazione Indiana in seguito a uno scritto di Massimiliano Parente, è a mio parere utile e interessante e permette di riprendere e approfondire alcuni degli argomenti che sono già stati affrontati più volte nel nostro primo anno di vita. Per quanto mi riguarda, ho già detto come la penso a proposito di alcuni degli argomenti sollevati anche adesso in uno scritto intitolato Lettera da Leuca, già pubblicato
Ragioni forti per dare un numero alle repubbliche ve ne sarebbero state ben più che da noi. Penso agli USA del periodo successivo alla guerra di secessione (1861-1865), definita anche, sulla base di interpretazioni storiografiche assai diverse, il secondo e decisivo round della rivoluzione americana, la guerra di liberazione degli Stati del Sud contro l’egemonismo industrialista e nordista, la guerra politica, religiosa e sociale contro l’infamia dello schiavismo, la guerra del liberoscambismo filobritannico sudista contro il protezionismo manifatturiero del Nord, la guerra dell’economia della piantagione contro il mondo urbano fondato sulla produzione di beni di consumo durevoli e sul factory-system.
[Ecco il racconto “fatto in casa” destinato ai visitatori di Nazione Indiana dotati di criature, siano esse reali o interiori.