di giulio mozzi
Quello che segue è l’intervento che ho preparato per la serata padovana su Letteratura come verità: 2, Esperienza (lunedì 17 novembre, ore 21.30, Cinema Excelsior). Mi rendo conto che è vagolante e confuso, ma pazienza. E’, come al solito, un tentativo – un tentativo di tenere insieme qualche generalità e la mia esistenza. Nella stessa serata interverranno anche Romolo Bugaro (che leggerà qualche pagina dal suo romanzo Dalla parte del fuoco appena uscito per Rizzoli; Umberto Casadei che leggerà qualche pagina da Maltempo, un romanzo al quale sta lavorando da anni; Roberto Ferrucci che leggerà un capitolo, intitolato Respiro, da un romanzo in corso d’opera e ancora senza nome.




Il padre stava accanto alla madre, nella stanza in penombra. Non c’erano finestre. C’era solo una porta di vetro, ma era oscurata da una tenda, o da un pannello di cartone, così su tutto calava un colore verde, scuro ma trasparente. Anche sul padre e sulla madre.
Volevo aspettare che trascorressero i giorni del lutto nazionale per pubblicare questo articolo di Marco Senaldi, scritto in tutt’altra situazione, e per una destinazione completamente diversa: una rivista che si occupa di confezioni, packaging, consumi, merci.
Bisogna andare lontano dall’Italia per vedere l’Italia. O anche solo essere un po’ dislocati all’interno del suo territorio, su una delle sue isole, per esempio. Qualche anno fa, a Favignana, nel tardo pomeriggio raggiungevo con una vecchia bicicletta noleggiata una scogliera dietro il piccolo cimitero dell’isola. Mi sedevo là sopra e ci restavo fino a perdere la nozione del tempo, guardando la lontana costa della Sicilia. Qualcuno mi aveva detto – o forse me lo ero soltanto immaginato – che quella che si vedeva da quel punto era la parte di costa siciliana su cui, un secolo e mezzo prima, erano sbarcati i mille di Garibaldi, che proprio lì c’era stato il primo impatto con l’esercito dei Borboni. A Marsala, poi a Calatafimi. Una battaglia difficile, dall’esito a lungo incerto, perché i soldati erano in alto e sparavano da lassù sui garibaldini che dovevano guadagnarsi palmo a palmo la salita tra i corpi di quelli che cadevano sotto i colpi. Eppure continuavano a salire. Non si fermavano, non si arrendevano, anzi contrattaccavano alla baionetta, anche se la sproporzione militare era enorme e l’impresa poteva apparire disperata. Finché sono riusciti ad arrivare in cima e, per il solo fatto di aver saputo reggere quel primo scontro e di essere arrivati in cima, sono poi riusciti a liberare o a conquistare metà dell’Italia.
Si terrà lunedì 17 novembre alle ore 21.30, a Padova presso il Cinema Excelsior (vicolo Santa Margherita, laterale di via San Francesco), e non più alle 21 presso l’MPX-Multisala Pio X, il secondo incontro del ciclo Letteratura come verità, dedicato al tema: Esperienza. La sala disponibile all’MPX ha 100 posti, il Cinema Excelsior ne ha più del doppio. In questo modo ci sarà posto per tutti e nessuno sarà lasciato fuori della porta (com’è successo l’altra volta). L’inizio è stato fissato alle 21.30 per dare a chi si presenterà all’MPX il tempo di raggiungere il Cinema Excelsior (sono dieci minuti, forse un quarto d’ora a piedi).
La “malinconia dei molti” di cui vorrei parlare è, innanzitutto, malinconia nell’accezione più debole, ma anche più diffusa del termine come può testimoniare un qualsiasi dizionario di lingua italiana. Tale “vaga e intima mestizia” figura infatti come voce chiaramente distinta dallo “stato patologico di tristezza, pessimismo, sfiducia o avvilimento, senza una causa apparente adeguata, che rappresenta una della fasi della psicosi maniacale” (1). Non tratterò dunque della malinconia che ha come sinonimo moderno la depressione: né di quella detta reattiva – dove a una causa si potrebbe anche risalire – né tantomeno di quella endogena che lascio volentieri a chi se ne occupa di mestiere.

Nel racconto di fantascienza intitolato
David Shenk parla dell’Alzheimer come di una malattia che rallenta la morte, che la rifrange nello spettro delle sue parti, di norma unite: morte dell’autonomia, morte della memoria, morte della consapevolezza, morte della personalità, morte del corpo. L’Alzheimer o demenza senile è una malattia tremenda perché significa la perdita del proprio «io» molto prima che il corpo muoia. Ma è difficile non immaginare un corpo a corpo dall’esito designato tra una specie di volontà che resiste, che cerca di mantenere accesa la coscienza, e il lasciarsi andare, la resa graduale alla follia, o meglio alla condizione di un eterno presente fatto di istanti che si ripetono uguali all’infinito. È una malattia del cervello che colpisce il comportamento minando la memoria, consegna la persona a un oblio prima intermittente e poi definitivo. Dall’iniziale intermittenza deriva la difficile diagnosi del morbo, e il fatto che ciascuna delle persone coinvolte tenda ad assumere rispetto a certe manifestazioni senili un atteggiamento di colpevole disponibilità e di successiva rimozione per episodi che invece si riveleranno non essere stati altro che scie luminose del processo di deterioramento mnemonico.
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