di Tiziano Scarpa
The Observer di domenica scorsa era succulento assai. Una ricostruzione storica di Weatherman, gruppo terrorista statunitense degli anni Settanta, un’anteprima su Kill Bill, l’ultimo film di Quentin Tarantino, un’intervista a Kenneth Branagh su celebrità e depressione, una a Lord Heseltine, pezzo grosso della destra inglese, un servizio su Grayson Perry, artista travestito da bambola che dipinge abusi sessuali sull’infanzia, un articolo sulle coppie lesbiche che fanno conoscenza in rete, notizie su un piano del governo britannico per mandare all’università gli studenti poveri e su un dispositivo da far indossare ai pedofili per tracciarli elettronicamente.

All’inizio degli anni 70 del secolo scorso eravamo teenagers e ci aggiravamo nelle medie inferiori, negli inizi delle superiori. Ora non riesco a ricostruire il momento esatto, ma il luogo e la persona sì. Siamo fra il ’71 e il ’73, a Torino, il mio amico Giorgio Prandi e io, a casa sua, in corso Palermo. Giorgio mi esibisce con entusiasmo un LP. La copertina è colorata: una strana creatura se ne sta minacciosa in una landa a strisce colorate sotto un cielo blu, più chiaro all’orizzonte. Ossa di carcasse biancheggiano in lontananza. Una quindicina di zanne o denti compongono una scritta: 



La camorra diviene crimine quando perde,
Un film può essere valutato come prodotto cinematografico, e poi – se ha una certa rilevanza – come interprete dei propri tempi o come sintomo.

Mentre leggevo il romanzo dell’estate di Nazione Indiana che si è sviluppato prima in coda al pezzo di Raul Montanari per poi passare alle lettere di Moresco, ho avuto la sensazione che non solo i testi si sono persi di vista quasi subito, ma che nelle varie derive tematiche l’unico tratto continuativo fosse la trasformazione dei due autori in personaggi. Niente di strano, così come non è poi strano che il botta e risposta del blog porti a parlare di altro e ancora d’altro. Anche gli articoli di giornale sull’imam sciita sventrato dal tritolo o sull’assassino di Rozzano o su George Clooney a Venezia fanno del loro oggetto un personaggio, anzi la prima cosa che deve fare chi li scrive è, come si dice in gergo, “inquadrare il personaggio”. Non c’entra niente che si tratta di informazione che deve (dovrebbe) riportare solo dati e fatti. Ed è chiaro che, come personaggio, un killer delle periferie o un divo di Hollywood funzionano meglio di un ministro dell’agricoltura o di un amministratore delegato, una delle ragioni per la quale non sappiamo quasi nulla o addirittura ignoriamo l’esistenza di molte persone influentissime.
Vorrei inaugurare una piccola serie di esposizioni di teorie estetiche. Comincerei da questa, che mi pare simpatica e singolare, e che oltre la sua apparenza strampalata ha un nucleo che a me personalmente incuriosisce parecchio.