Vita di Pier delle Vigne nel racconto di lui medesimo, presso i miseri resti dell’arco trionfale di Federico II di Svevia

da Le strade e le storie di Capua, dialogo didascalico in otto quadri

di Marco Palasciano

[Entra, procedendo tastoni, PIER DELLE VIGNE con gli occhi coperti da una benda insanguinata]

PIER
O beato Raimondo delle Vigne,
aiutami, tu e santa Caterina!
Chi è laggiù? Ascoltatemi voi, almeno.

GUIDA
Ma chi è quel poveretto?
Vi ascoltiamo. Chi siete?

PIER
Io son colui che tenni ambo le chiavi
del cor di Federigo –
e cosí mi ripaga! Ah! miei signori,
non sdegnate, vi prego, i miei deliri.
Deliri, o tali appaiono a me stesso;
non realtà: perché quanto m’è accaduto
è surrealtà!, perché come può essere
che io da tanto in alto
sia tanto in basso sceso? Logotèta
ero, e Protonotàro; voi direste:
Primo ministro. E certo primeggiai.
Celeste, e non scelesta, la mia vita,
sí, allora; del color dei lapislazuli
macinati, che piú ricco non havvi.
Un Impero a passarmi tra le mani
come un nastro di seta. E ora, foràti
gli occhi, come il piú infame traditore
trattato – io, io che (orribile, oh, orribile!
come può avermi fatto questo, lui?)
io che volsi le chiavi di cui sopra,
serrando e disserrando, sí soavi!
Piú in me credeva, che in ogni altro uomo,
Federigo; e ora crede l’incredibile:
che in me non possa credersi. Ah, i grotteschi
intrighi, intrichi d’intricata selva
in cui ogni luce muore! Oh, non vi gravi
perch’io un poco a ragionar m’inveschi.
Ma voi mi crederete?

GUIDA
Sí, sí. Però si calmi,
ci spieghi un poco meglio.

PIER
Nacqui in Capua, e non era
ricca la mia famiglia;
ma ricco ero io, d’ingegno. E, studia studia
(giacché a quel tempo splendido
valeva quel valore,
alla corte del nostro imperatore,
piú che il valor dei titoli acquisiti
per nascita), di grado in grado ascesi,
fede portando a ogni assegnato offizio,
lungo la scala d’una tal carriera,
dall’Università da lui fondata
partendo e a lui giungendo, io consigliere
i cui consigli egli elevò a legge.
Ecco il poter, la fama, la ricchezza.
Eccomi ad esser l’uomo piú invidiato
del Regno e dell’Impero.
Eh, Invidia, meretrice odiosa, vizio
dei palazzi! Ah, quelle fiere, piú
ferine dei leoni e delle lonze
delle favole arabe tradotte
dal mio amico Giovanni
da Capua! A Palermo capitale,
magnifico teatro
del nascere della poesia italiana
(sí, fui poeta anch’io), e d’ogni ardente
fòcore di cultura,
non arse solo ciò, ma quel malanimo
nei cor dei cortigiani
che infiammato infiammò contra di me
lui che in me sopra tutti confidava,
e nel cui confidar mal confidavo.
Ma non crediate che io porti rancore
al mio segnor, che fu d’onor sí degno.
Ma volete vederlo? [indica in alto] È su quest’arco,
effigiato lassù, sull’architrave,
al centro. La sua inclita figura
è corona a questa grandiosa porta,
monumento maggiore di quest’urbe
che mi diede i natali
e piú non avrei visto.

GUIDA [imbarazzata]
Sí, certo. Di quest’arco formidabile
stavo giusto parlando ora ai signori.

PIER
Vedete come svetta alto nel cielo,
e domina la terra tutto intorno?
Nei secoli dei secoli, ecco (a gloria
di te, mio imperatore, genitore
di civiltà sovra ogni altro sovrano!),
resterà a testimonio dell’amore
che portasti, se non a me, a Capua,
che chiamasti la Chiave del tuo Regno.
Perché Capua, vedete, è la città,
se si eccettua Palermo,
piú importante di tutto il Meridione –
cioè lo era quando io vivevo,
e vedevo; e ben spero lo sia anch’oggi
che vivo come spettro
e che veder non posso.
Per questa porta, allora,
passava tutto il mondo, se via terra
si voleva raggiunger dall’Europa
l’imperial corte siciliana e lui,
Federigo. Cui mai non ruppi fede.
Mai, mai, checché ne dicano coloro
che ingiusto fecer lui contra me giusto –
tanto ingiusto da farmi
cavare gli occhi prima
d’alcun processo. E voi dovete darmi
credito anche su un’altra cosa: dicono
che io mi suicidai.
Ve lo dicono, giusto?

GUIDA
Sí, si è detto,
lo ha pure scritto Dante.

PIER
Ed è ben falso.
Non volli col morir fuggir disdegno,
per quanto avessi disdegnoso gusto.
Non buttai la mia testa contro il muro,
a spaccarmela, in cella.
Vero è che al processo io non giunsi.
Era il mille e duecento
quarantanove: un anno prima che
morisse il segnor mio (no, lui è immortale –
deliro, sí: ché insieme a lui morrebbe
intera questa civiltà radiosa);
era un radioso aprile.
Sentivo sulla pelle
il calore del sole,
uscito dalla fredda umida cella.
Mi portavano altrove,
a dorso d’un cavallo –
non so, forse d’un mulo: non vedevo.
Semplicemente persi,
a un tratto, l’equilibrio.
E finii con la testa su una pietra.
[Ridendo e piangendo] Ben buffo, no?, che Pietro
delle Vigne morí per una pietra!
Per una pietra, Pietro delle Vigne!

[Dello stesso autore su NI: La Restaurazione e Dialoghetto tra un principe e un filosofo]

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22 Commenti

  1. E’ una voce originale che sorprende nella letteratura odierna nonostante la parvenza accademica. Ho molto apprezzato il brano ” La Restaurazione”. Non sapevo nulla di Pier delle Vigne. Segnalo un articolo interessante da Furio Detti: Pier delle Vigne e la cultura federiciana.

  2. sei mica veronique hornung? scrisse una poesia carina, 25 anni fa: il mio fratellino violinista. sei tu?

  3. Che Pier delle Vigne fosse un grande poeta, padre del proto-italiano lo sapevo, ma che avesse inventato lui il termine “surrealtà”con tutto quel che c’è dietro mi è nuovo! Ma tutti sappiamo cosa c’era dietro a Pier delle Vigne… o era Brunetto Latini?!

  4. Rammarico per l’opra che ho davante
    non vo’ celar, pietade pei dolenti
    stecchi con tosco di Messer Durante,
    fossero stati anche questi gli eventi
    l’estinto avrebbe a dir: “Perché mi schiante?”

  5. scusate, dove è andato a finire il vero palasciano, quello della restaurazione?

    se porto all’inventario di magazzino quest’ultimo, e poi lo rottamo, mi ridate indietro l’originale?

  6. E dovreste veder, sior robivecchi,
    il Palasciano delle cene a scrocco,
    dove ripago i gentili scroccati
    con storie allucinanti improvvisate
    su zii immaginari,
    a raffica, anche 8 in un’ora.
    Ma per ora ve le risparmio, o mi
    rottamate all’istante.
    Cmq è meglio essere rottamati
    che rottodiati (urp! stasera sono
    decisamente autolesionista).

  7. altro che autolesionista, pala, con questa istantanea poematica dimostri già di essere sulla via del ritorno…

  8. Anime gentili, se vi può interessare, mi è stato commissionato dal giovane compositore M. Palumbo un trittico di poesie atte a introdurre ciascuno dei tre tempi d’un quartetto per violino, clarinetto, fagotto e pianoforte; ieri me le ha chieste; domani dovrò scriverle; martedì ci sarà il concerto! chi si trova a passare per Napoli? Maschio Angioino, Sala della Loggia, ore 17.45 del 23 gennaio 2007. Gratis. Poi magari mettiamo qui il bel trittico (ahimè, ma devo ancor spellare l’orso)!

  9. delle due l’una, buon vecchio pala:
    o palumbo ti conosce troppo bene, o è uno che crede nei miracoli.

    non so ancora decidermi tra le due ipotesi.

    il restaurato mi farebbe propendere per la prima, il vignaiolo sicuramente per la seconda.

    ma avendo ampiamente investito (tre copie, cazzo!) per restaurazioni varie, “devo” votare la prima opzione. per forza. qualora andasse male, te lo do io il “fagotto”.

    quindi, datti ben da fare, caro giovine.

  10. Ahimè, ahimè, ma perché disprezzar tanto un testino che esplicitamente si presenta come DIDASCALICO (vedi sottotitolo)? è teatro da strada per le masse; andava fatto così, né diversamente si poteva; anzi è più chic del debito. Giudicatene in ogni modo la funzionalità, ossia il combacio di causa ed effetto, senza raffronti con sistemi esterni al suo. (A Raos è piaciuto, poi; non mi verrete a dir che è malo giudice; a me, detto senza lisciaggio, pare di gusto raffinato, lui, sia nel creare sia nel contemplare.) Ma basta col difendere; piuttosto grazie per la fiducia nel restante; vorrà dire che proporrò, da qui in poi, solo testi elitari, a voi piacendo. (Resterebbe da dire che su questo mio Pier delle Vigne gravava il sospetto che fosse stato scopiazzato, per questo ho chiesto di pubblicarlo su N.I., tale pubblicamento essendo utile ai fini della salvaguardia autoriale.) ;-)

  11. guardavo alla ‘cifra’ complessiva della scrittura, a prescindere da generi e destinazioni d’uso. e la mia critica del 17 scorso era un artificio ironico/retorico (ma esiste una cosa del genere?) che riconosceva, comunque, merito e valore a lo egregio autore.

    caro il mio palasciano. e ‘caro’ non solo come appellativo affettuoso, ma anche perché mi è già costato una trentina di eurini…

    sulle qualità del raos, poi, non posso che concordare. in pieno.

    in quanto alle ‘scopiazzature’, o giovine destinato a egregio fare, ci ‘stìi’ un po’ più attento: pensi che un mio amico scoprì un giorno che una sua opera inedita, inviata a un premio letterario, era stata pubblicata, con poche insignificanti variazioni, dalla segretaria del premio stesso!!!

  12. La segretaria???… oh… dio… mio!!! e io che credevo d’esser paranoico…

    Intanto manca un giorno e mezzo alla mia lectura al Maschio Angioino e non ho ancora scritto un rigo del poemetto!, per la cronaca.

    E sono anche divorato dai sensi di colpa per le spese del sig. Robi Vecchi!, ma egli ben saprà che di quei trenta euros non mi verranno in tasca che un tre centesimi… tale è lo stato mortale. Cmq se passa in zona gli offrirò pizza e poesia, l’una al tavolo e l’altra a portar via.

  13. ti prendo in parola. le poesie da asporto sono la mia passione, la pizza la si consuma in loco. prima o poi mi vedrai capitare da quelle parti.

    intanto, auguri per domani.

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