Che c’entra la letteratura popolare?

di Carla Benedetti

gramsci.jpgSul “Corriere della sera” è continuata la discussione, cioè il depistaggio, sulla letteratura popolare, come sostiene Carla Benedetti in questa replica pubblicata ieri. T.S.

Innanzitutto non capisco come mai questo dibattito iniziato con un articolo di Cristina Taglietti che prendeva le mosse da un mio intervento su L’Espresso intitolato “Genocidio culturale“(vedi qui, sia scivolato in una discussione accademica sul “rapporto tra la letteratura popolare e la cultura di sinistra”. Che c’entra la sinistra? Forse che il genocidio non riguarda tutti quanti gli uomini e le donne? E cosa c’entra la letteratura popolare?

Forse che quella cosa che ai tempi di Gramsci si chiamava “letteratura popolare” ha ancora qualcosa a che fare con questi prodotti geneticamente modificati che oggi vengono messi in circolo ad altissime tirature da una macchina editoriale-pubblicitaria globalizzata, che impone profitti del 15%, ottenibili solo replicando i formati, riducendo la diversità dell’offerta e abbassando il tasso di invenzione? Libri che poi vengono mandati a plotoni a invadere militarmente le librerie, sempre più finalizzate allo smercio veloce dei bestseller, e persino le edicole, raggiunte dai quotidiani ormai diventati editori essi stessi, che oltre ai classici ristampano gli stessi bestseller, e tutta questa massa invade l’unico binario (non ce ne sono due) su cui circolano sempre più a fatica anche gli altri libri, non solo i cosiddetti libri di nicchia per pochi lettori, ma tutti gli altri libri, diversi, diversificati, di ogni tipo.

Forse che questa monocultura, costituita nella maggioranzo di thriller importati dal mercato anglofono, oppure prodotti in casa ma sul modello di esemplari americani di successo, ha qualcosa a che fare con la produzione di un Salgari, del grande Salgari, pieno di inventiva, di senso di libertà e di respiro, su cui sono cresciute generazioni di italiani?

E infine il pubblico per cui questi libri sono pensati, il pubblico che questa industria non solo raggiunge, ma si forgia come proprio target. E’ lo stesso dei libri di Salgari o di Dumas? O di quello di Philip Dick e della grande fantascienza? E’ un lettore conquistato con la forza della fantasia, dell’invenzione, toccato nella sua voglia di divertimento, o nelle sue zone più profonde di desiderio e di riflessione? O non è piuttosto il target prodotto dalla macchina dell’entertainment di questi anni, reso inerte, tenuto a digiuno di verità, non più da stimolare ma da spremere e basta?

La mia impressione è che chi parla di letteratura popolare o di letteratura di genere per questi fenomeni parli da un altro tempo. O da un iperuranio talmente lontano dalla terra da non vedere la guerra che si sta combattendo quaggiù. Ma poiché questo iperuranio non esiste, bisogna pensare che non abbiano alcuna voglia di guardare le cose come stanno.

Quello che più colpisce è in effetti che di fronte a tutto questo ci sia come un’ assenza di consapevolezza, e quindi anche di controspinte, da parte del cosiddetto mondo della cultura italiano (mi riferisco a quello “ufficiale”, perché già nelle riviste in rete e nei blog la discussione è molto più combattiva e analitica, e a Ferretti suggerirei di darvi un’occhiata prima di affermare che la critica militante non esiste più). Forse è stato paralizzato da quelle stesse macchine di ottundimento e di addomesticamento delle menti dispiegate nel pianeta?

Queste forze del resto non producono solo funzionari e strutture gregarie, ma anche strutture mentali, ideologie, luoghi comuni e anche qualche controargomento ad hoc. Per esempio che descrivere il funzionamento delle macchine di potere nel mondo contemporaneo significhi essere vetero-francofortesi. O che certi libri non si possono criticare perché sono popolari. Altrimenti sei un umanista vecchio stampo con un’idea elitaria di cultura e che guarda con disprezzo la letteratura di genere.

Sono controargomenti populistici, alcuni riciclati dal dibattito sul postmoderno avvenuto ormai molti decenni fa, altri ramazzati qua e là nel Novecento, senza alcuna presa analitica sull’oggi, ma che funzionano bene come depistaggio, come nascondimento del conflitto sanguinoso che oggi sta avvendo nel campo della cultura, del pensiero e della vita.

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Pubblicato sul Corriere della sera del 9 febbraio 2005 con il titolo “La critica militante? Cercatela nella rete”.

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7 Commenti

  1. “(…)Forse che quella cosa che ai tempi di Gramsci si chiamava “letteratura popolare” ha ancora qualcosa a che fare con questi prodotti geneticamente modificati che oggi vengono messi in circolo (…)” Ecco. Proprio questo è il punto che rende il Gramsci di Sanguineti uno strumento agile come un macinino da caffé arrugginito. A meno che anche Gramsci non venga geneticamente modificato, con Debord e Anders, ad esempio…

  2. che bello essere assimilato a un “funzionario del potere” inconsapevole, dalle strutture mentali eteroplasmate, gregario e ideologico :))
    mi pare d’esser tornato ragazzo, 30 anni fa…

    a parte questo modo piuttosto obnubilato di analizzare i problemi, non mi resta che ribadire sommessamente che, a mio parere, l’analisi della cultura industriale di massa (e della contemporanea centralità acquisita dal sapere e saper fare come forza produttiva, con la conseguente “catastrofe” che ne segue) non può essere condotta con un’impostazione spiritualista e con una concezione del potere come “altro”, impostazione a mio parere deleteria e controproducente per gli stessi fini che, immagino, la muovano. Le dinamiche materiali non sono queste, le forze in campo non sono queste, la realtà non si trasforma così, il linguaggio non è ciò che si crede sia. Andrei anche avanti a spiegare la mia posizione, peraltro non così originale, ma mi pare inutile discutere quando il dialogo viene ricondotto tout court a un rapporto tra “verità” e “controargomenti manipolati”, e l’interlocutore, se non consente, o a un nemico o a un imbecille agente del nemico (un materiale inerte, dalla mente addomesticata da macchine di ottundimento che va risvegliato alla consapevolezza della verità: il fatto che sia l’identico approccio che si immagina abbia il potere – sostituita verità con menzogna – non fa sorgere qualche leggero dubbio?).
    avere una tale concezione della militanza (lo dico avendo fatto politica militante per 20 anni) è piuttosto triste. e inutile.

  3. Per me Carla Benedetti fa bene a denunciare il “depistaggio” e a sottolineare che il “Genocidio Culturale” è il vero punto.
    Io lavoro in pubblicità, e sto imparando a conoscere dall’interno i linguaggi, i “target”, la subcultura del prodotto, anche del “prodotto cultura”.
    Non conosco direttamente Gramsci, conosco le sue Ceneri attraverso Pasolini.
    Io focalizzerei su questa “Letteratura popolare”. Mi chiedo di quale popolo si parli. Chi pensa che Faletti e i suoi omologhi in tutto il mondo facciano “letteratura popolare”, forse confonde il popolo con la massa. Al di là di valutazioni estetiche, “Pop” è più l’abbreviazione di “massa”, che non di “popolo”. Non sto facedo gerarchie, dico solo che scrivere per la massa è cosa ben diversa dallo scrivere “letteratura popolare”. Un popolo ha delle radici, la massa no. La letteratura popolare tocca la fantasia, il cuore, il pensiero, la cultura tramandata. E’ un unicum, ma al suo interno ha una ricchezza di livelli interpretativi. Altro è l'”Intrattenimento”, la categoria che sta appiattendo e risucchiando la cultura, qualsiasi tipo di cultura, alta, bassa, d’elite, popolare.
    Se questo non è Genocidio Culturale.

  4. “Questo meccanismo, semplice e micidiale, è stato chiamato “censura del mercato”: un’espressione efficace per dire che oggi certi libri subiscono una repressione analoga a quella dei regimi, anche se esercitata con parametri non più direttamente ideologici ma di mercato”

    carla benedetti, genocidio culturale

    benedetti ritiene che i parametri di mercato non siano ideologici – ritiene quindi che il mercato non sia un’ideologia

    “Prima o poi questa follia verrà travolta. La specie umana non può sopravvivere senza trasmettere esperienza e pensiero attraverso la parola”

    carla benedetti – genocidio culturale

    benedetti è convinta che nel breve o al massimo nel medio periodo arriverà actarus a bordo del goldrake a salvarci tutti quanti

    benedetti depista

  5. In effetti, resto anch’io un pò scioccato dall’aut aut della Benedetti, che pure stimo moltissimo: il suo saggio “Il tradimento dei critici” è secondo me eccezionale, fondamentale, l’anno zero della critica letteraria militante.
    C’è un “prima” e un “dopo” quel che ha scritto la Benedetti sul rapporto tra critica e potere, ricordo in particolare quelle pagine strepitose sul “koan” dell’impegno, incarnato modernamente da Pasolini, e le pagine dure, drammatiche, emblematiche sui “casi” Moresco e Martone, la categorizzazione dei critici (malinconici, postumi ecc.) e dei mediatori (venditori di poetiche, cool hunter…).
    Ma allora perché finisco sempre per restarci tanto male quando mi riconosco – seppur non perfettamente – nei controargomenti riciclati dal postmoderno..?..ambiguamente populistici e arrugginiti? Sono proprio così?!
    Cosa mi sfugge? Perché posso trovarmi d’accordo con molte delle analisi e alcune delle sue tesi di fondo, ma poi non riesco a considerare il conflitto come “sanguinoso” o a carattere ultimo, definitivo.
    Non mi sembra che la letteratura, sentita con il respiro della mondialità, stia vivendo un momento da “ora o mai più”… non mi sembra affatto… c’è qualcosa in me che mi impedisce di abbandonarmi alla disperazione più cupa, una vocina che – ogni volta che faccio qualche considerazione negativa sui mala tempora – mi dice: “Uff! Ancora stai a piangere? Trovami un solo momento, uno solo nella Storia, nel quale i contemporanei non abbiano decretato la fine o la decadenza, o la modificazione innaturale (oggi “genetica”) di qualcosa!”
    E questa vocina ha ragione.
    L’elenco delle censure, dei travisamenti, degli ostacoli, dei sovvertimenti e persino dei roghi che la letteratura di ogni tempo ha dovuto sopportare è stupefacente.
    Se esistessero – ma qualcosa è stato fatto per ricostruirle – le classifiche dei best-seller dall’invenzione della stampa ad oggi, per luoghi, generi e classi sociali credo che ne vedremmo delle belle. Forse non in questa misura, ma a me sinceramente non pare che cento o duecento anni fa si leggesse con infallibile fiuto per un “popolare” sano e riflessivo. E se anche era così, spesso i cosiddetti intellettuali ritenevano quelle letture ignobili e malsane. Più o meno quello che pensiamo oggi dei vari best-seller a tavolino. Possibile che sia solo un caso? Che stiamo vivendo DAVVERO una fase diversa..?.. mah… magari peggiore, magari sprofondata dalla attuale povertà creativa del nostro Paese, incapace di brevettare idee e produrre Storia quanto aveva dimostrato di saper fare per decenni, anzi secoli… ma se parliamo dell’Italia non parliamo delle Leggi Mondiali dell’Editoria…

  6. Marco,ma davvero le mie parole ti possano sembrare un invito alla disperazione? Semmai alla lotta e all’analisi.

    Segnalo che sul blog di Loredana Lipperini è stato riportato un intervento interessante dell’editore Fanucciuscito sul “Corriere” il giorno dopo il mio(vedi qui http://www.kataweb.it/kwblog/page/CLIP/blog)
    E incollo il commento che ho appena messo lì.

    Fanucci secondo me ha ragione, e il suo sforzo di allargare il quadro dell’analisi andrebbe preso molto sul serio. Fanucci sta facendo da anni un lavoro editoriale interessante e molto importante proprio nel campo della cosiddetta “letteratura di genere”, non solo pubblicando testi della grande fantascienza, come Dick e Ballard, ma anche lavorando sull’oggi con spirito di ricerca.
    I suoi libri si rivolgono ovviamente a un pubblico “popolare”. Eppure non è lo stesso pubblico a cui si rivolge Mondadori pubblicando Dan Brown, o Baldini Castoldi Dali pubblicando Faletti. Vogliamo incominciare a distinguere le cose? A distinguere innanzittutto tra i libri. Dan Brown e Faletti non sono Dick e nemmeno la Rowling. E a distinguere anche tra editoria e editoria?

    Negli anni 70 il postmoderno è riuscito a far fuori l’elitismo modernista e la sua distinzione tra letteratura di genere e letteratura d’autore. Ma a godere i frutti di una tale battaglia dovrebbero allora essere oggi editori come Fanucci (e molti altri impegnati in un lavoro serio e di ricerca nel campo della letteratura di genere). Invece non è così. Se li gode l’editoria mutante. E c’è addirittura chi usa quell’argomento postmdernista per giustificarla. Così quell’editoria si garantisce anche un’impunità. O per lo meno ci prova. Depistaggi.

  7. Salve a tutti, riporto anch’io qui la mia risposta a Carla:
    Vedi, Carla, non abbiamo la stessa opinione del postmoderno: per me è stata una grande occasione di libertà (dagli schemi, dalle contrapposizioni che era giusto superare) con ovvi eccessi. Ma questo, temo, è un tempo in cui gli eccessi vengono limati e a volte negati, a posteriori, un po’ su tutti i fronti, dall’arte al sociale (cito incidentalmente, ma vorrei tornarci, il mea culpa di parte del femminismo storico sull’aborto. O la fretta con cui sembrano volersi chiudere alcuni conti aperti dagli anni Settanta).
    Ora: è molto probabile che tu abbia molta ragione quando scrivi che l’editoria mutante si gode alcuni frutti di quelle battaglie. Ma grazie a Dio li godono anche i lettori: non avremmo avuto accesso a tanta parte della produzione di Dick se fossimo rimasti ai giudizi critici che se ne diedero ai tempi (e temo che vada dato atto al cinema in primis, di averlo reso popolare, sia pur tradendolo). Così come non avremmo avuto la santificazione di Salgari da autore di robetta a grande scrittore se alcuni degli ex ragazzini che lo leggevano di nascosto, crescendo, non avessero intrapreso una battaglia in suo nome. Una cosa simile è avvenuta, per dire, con il fumetto: che oggi viene considerato arte, ma fino a non moltissimi anni fa era carta straccia e nociva al pari dell’animazione giapponese (almeno fino ai premi dati a Miyazaki). Eccetera.
    L’editoria mutante si impadronisce sempre dei fenomeni: tu citavi Harry Potter, giustamente. Ma conosci bene quanti cloni di Potter circolino in Italia, a ricasco del fenomeno. E quanti libri “laterali” e non di valore vengano pubblicati per cavalcare la tigre: fenomeno, proprio per quel che riguarda Potter, da cui non è esente neanche il caro e da me amato Fanucci, che per questa frase mi toglierà nuovamente il saluto, ma tant’è. Avviene, è mercato, qualsiasi editore, e scrittore, immagino, scrive e pubblica per essere letto.
    Questo non significa che io non voglia vedere quanto c’è di pericoloso, e c’è, e su questo mai ti è stato dato torto, nelle logiche attuali della grande editoria e della grande distribuzione. Semplicemente, c’è anche molto di buono che parallelamente va avanti, e addirittura amplia i suoi spazi: lo ripeto, scrittori che pubblicano più facilmente e persino più facilmente (non tutti) trovano attenzione critica e giornalistica rispetto a dieci anni fa. Tutto qui. Poi, certo che Dan Brown non è Dick, e non lo è neanche il povero Faletti (su cui divergiamo, ma va bene così). Ma per me continua a non essere un male la coesistenza: Faletti non toglie lettori non dico a Moresco, ma neanche a Gianni Biondillo. Ed è anzi possibile, che da Faletti si passi a Biondillo e forse a Moresco. Quel che mi sta a cuore è che non tornino a chiudersi quelle saracinesche che proprio il postmoderno aveva contribuito a far alzare: ed è questo che spero, a dispetto di qualche cigolio sinistro che sento in questi ultimi tempi.
    Se vuoi, parliamone ancora. O, come caldeggiava Mario Bianco, trasformiamo tutto questo in un pdf, magari. Ad uso e consumo dei non lettori del Corriere :-)

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