Scrivere al computer tra cancellature e versioni

di Vincenzo Della Mea

E’ interessante osservare ciò che dall’informatica filtra verso la letteratura per almeno tre ragioni. La prima è che, come osserva Giuseppe O.Longo in “Homo technologicus” (Meltemi, 2001), sta avvenendo una trasformazione da homo sapiens a homo technologicus, in quanto la tecnologia che produciamo va a modificare l’ambiente in cui viviamo, e questo a sua volta vincola il processo evolutivo dell’uomo. Poiché parte di questa tecnologia è quella che deriva dall’informatica, ci si può aspettare che l’homo technologicus cominci a lasciare tracce scritte su di essa, come ha fatto l’homo sapiens segnando il passaggio da preistoria a storia.

Un’altra ragione è che l’intuizione dello scrittore, con il suo sguardo obliquo sulla realtà, può illuminare per un attimo verità, problemi, soluzioni proprie della scienza e della tecnologia, senza la formalizzazione tipica del lavoro dello scienziato, ma in modo ugualmente partecipe del sapere del mondo. E se il fruitore del testo è lo scienziato, allora il suggerimento potrà essere colto e filtrare tra le sorgenti delle sue proprie intuizioni di tipo scientifico, chiudendo così il cerchio.

Infine, il computer è lo strumento con cui gli scrittori (se non tutti, quasi tutti) scrivono i loro testi. Il gesto dello scrivere manuale ha fornito, nel tempo, numerose immagini e metafore, a cominciare dal famosissimo indovinello veronese: per il computer, la metafora dell’aratro che semina un nero seme su un campo bianco non vale più, e qualcos’altro la sostituirà.

Negli anni dal 1996 al 2001, ospite di Telèma, una rivista informatica aperta ad altre discipline, il poeta Valerio Magrelli ha gettato i primi ponti tra informatica ed il mondo della letteratura, ed in particolare della poesia. Lo ha fatto da utente grato anche se all’occorrenza critico, che riconosce l’indubbia utilità ma anche i difetti di uno strumento che è diventato indispensabile per la sua attività di scrittore. Umberto Eco per primo aveva descritto l’utilità della videoscrittura, di cui Magrelli apprezza soprattutto la facilità di correzione che sottrae alla penosa corvée della trascrizione, e la comodità del comando di ricerca di parole all’interno del testo. Anche se bisognerebbe distinguere tra correzione e correzione: su carta, la cancellazione non sottrae alla memoria la versione precedente, il che può essere utile per delle varianti su cui si potrebbe tornare. Su file è invece più difficile mantenere in memoria correzioni successive dello stesso testo, per quanto esistano già dei meccanismi, detti di versioning, usati abitualmente per conservare le versioni successive del codice dei programmi. Anche se rimane (…) il dubbio che per scrivere / poesia era abbastanza l’olivetti, come scrive Fabiano Alborghetti nella poesia che apre l’antologia “Verso i bit” (Lietocolle, 2005).

Ci si può pure chiedere se scrivere elettronicamente modifica la scrittura. Ancora nel 1985 la Federazione Nazionale della Stampa aveva commissionato uno studio sui giornalisti (una delle prime categorie ad utilizzare regolarmente il computer), che a questo proposito aveva portato ad alcune interessanti indicazioni. In particolare, era stata rilevata una prevalenza delle proposizioni coordinate su quelle subordinate, e quindi periodi più semplici, una maggiore presenza di figure retoriche del gruppo metafora-similitudine-ossimoro, ed un uso abbondante di espressioni prese dal parlato corrente; ma anche un incremento nell’uso di stereotipi e frasi fatte. E’ difficile dire se e come queste conclusioni possano essere applicate anche ai narratori o ai poeti, ma senza dubbio si può dire che la videoscrittura ha influenza sullo stile.

Un’influenza collaterale certamente si rileverà nella filologia, che, abituata a ricostruire la nascita di un testo analizzando versioni successive, cancellazioni, inserti presenti nelle carte private dell’autore, si scontrerà prima o poi con testi che vivono constantemente entro l’orizzonte della bella copia, quello della pubblicazione formale. Il lavoro di preparazione sarà invece perso nei meandri elettronici di dischi rigidi, floppy disk, CD, che al momento non sono trattati dagli autori con la stessa cura dedicata a un quaderno o a un diario (per non dire della posta elettronica: addio pubblicazione postuma della corrispondenza…). Ed anche in presenza di autori particolarmente prudenti nella conservazione dei dati, in pochi anni gli archivi elettronici saranno accessibili forse solo grazie ai servigi di hacker in grado di individuare e decifrare formati obsoleti – mentre un papiro egiziano rimane tecnicamente leggibile a 5000 anni di distanza.

D’altro canto, esiste anche quella memoria capricciosa ma efficace che è Internet, in cui, nel fiorire di riviste telematiche, blog, e pagine web personali, possiamo trovare ampie tracce di letteratura, soprattutto per quel che riguarda critica e poesia. Non è insensato dire che con il Web si vive una ripresa del dibattito letterario una volta ospite esclusivo delle riviste cartacee, in quanto permette di replicarne le funzioni a costo più basso, e di aggiungere utili extra quali la discussione in tempo quasi reale, come succede nei blog, e l’accesso a materiale non stampabile come audio e video. E quel che più conta è che si azzerano i problemi di distribuzione e quindi le distanze tra le persone. Certo, facilitare la discussione significa anche ritrovarsi con una quota di pettegolezzo letterario altrimenti confinato nei salotti, dove verba volant, ma tutto sommato i vantaggi sono troppo grandi perché siano annullati da un po’ di rumore.

Da La Provincia, 30 gennaio 2006

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30 Commenti

  1. Non solo non c’è più: fino a non troppo tempo fa esisteva tutto l’archivio online, poi hanno tolto pure quello (come se alla Fondazione Bordoni non avessero spazio web). Io ho quasi tutti gli articoli di Magrelli salvati per conto mio.

  2. basta…
    non se ne può più di queste cose!
    Homo technologicus!!
    ma come parlate?!!
    ve lo meritate Alberto Sordi, ve lo meritate!

    ancora impantanati nella melma… ditemi un solo scrittore che meriti di essere chiamato così. Oggi… chi è?
    Ma veramente pensate che sia Leonardo Colombati?
    Forse Mario Desiati?
    nè a mano nè col computer.
    e su…

  3. trovo ci sia molto di vero in questo articolo.
    a parte la bruttura di “homo technologicus” il gesto della scrittura è diventato un processo molto meno sequenziale e ponderato.
    puoi metterti davanti ad un pc e, letteralmente, rigurgitare tutto.
    in un secondo momento riorganizzare, editare, riscrivere.
    mai come oggi la riscrittura è il processo fondamentale per distaccare i meno bravi. mai come oggi l’occhio trasversale dei pensieri ha valore.
    ci stiamo abituando sempre di più a creazioni deframmentate, riuscendo cmq a tenere il segno, a seguirne il passo, a non perderci.
    le narrazioni “e poi e poi e poi” diventano sempre più noiose.
    i dvd permettono di dividere i film in capitoli e saltare dove ci pare.
    i link nei siti web, idem.
    e tornare alla vecchia solfa diventa noioso.

  4. Chi ha avuto in mano un manoscritto autografo, un inedito di uno scrittore, non si è potuto certo sottrarre all’emozione intrinseca all’oggetto cartaceo in se, prima ancora di accingersi a decifrarne le parole. Ha una consistenza, una fragilità, un odore anche, la carta assorbe, odori, DNA, impronte digitali, umori del tempo che vi ha depositato sopra il suo trascorrere. Pollini di giardini trasformati in asfalto e ipermercati, polveri di case che non ci sono più. E poi la traccia della scrittura a colpo d’occhio, come una specie di elettro cardiogramma del preciso momento in cui è stato scritto. Ritratto calligrafico di quell’essere umano, unico. Le cancellature, certo, le postille a bordo pagina che ti fanno girare il foglio di sbieco. Un frase che la decifri tutta, ma ti manca una parola, che magari per giorni resta solo quell’agglomerato di segni che non si vogliono disporre ad un significato. E poi di colpo, tac, escono dalla nebbia e ti danno il tassello mancante. Cari scrittori di file scorrendo i font Times New Roman, Garamond, Verdana o Courier New si proveranno le stesse emozioni? Ma non si può star a struggersi di rimpianto e di nostalgia per le cose che cambiano. Tant’è. E chiedersi se si scrive peggio perchè si scrive sullo schermo di un file aperto e come porsi la questione dell’uovo e della gallina Si scrive democraticamente tutti e si scrive peggio? Ma forse anche il contrario: scrivendo in di più, qualcosa che non sarebbe mai stato scritto raggiunge il suo diritto di esistenza. Chissà. Certo che il tasto CANC si inghiotte tutto, il cestino si fagocita ogni dubbio. Ma dove vanno a finire? Mica spariscono subito come per magia, permangono per un po’ nella zona grigia di ogni hard disk, gli errori d’ortografia, le parole con le doppie sbagliate insieme alle metafore scartate senza pietà, se ne stanno lì ha sbiadire nel limbo fino a corrompersi del tutto. Triste un po’.
    Ma forse, bando alle malinconie bisognerebbe indagare su una cosa di non minore importanza, se scrivere per internet è diverso che scrivere per un articolo di giornale, o un supporto cartaceo. Riportare un capitolo di un libro, un articolo di giornale ha una funzione “di servizio”. Certo. Ma la lettura è spesso faticosa. Soprattuto se sono “lunghi”. O lo molli subito, o ti viene voglia di stamparlo e di rileggertelo seduto ad una scrivania non virtuale, appoggiato orizzontale sul piano del tavolo, spargendo i fogli, sottolinendo con la matita, senza fare infiniti scrolling. Insomma penso che il mezzo in realtà condizioni e non poco anche il processo creativo. Alcuni dicono di no, ma è difficile da credere. Basta vedere la differenza intrinseca fra una lettera cartacea ed una mail.
    Inoltre la pagina web, per sua natura offre delle possibilità in più, quello che si chiama ipertesto, multimedialità, che dir si voglia, rende possibili rimandi, link, immagini, suoni anche, filmati, possibilità grafiche infinite. Formattazioni sperimentali. Dovrebbe naturalmente indurre e ad uno stile diverso. Ecco credo che questo non lo si debba applicare solo al sito raffinato commerciale, pubblicitario ma anche ad una nuova dimensione letteraria. Con un piccolissimo sforzo di istruzione informatica minima.

  5. il fascino cartaceo è insostituibile.
    l’utilità della rete è sostanziale.
    l’importante è non esagerare.

  6. @così&come

    Scrivere per il blog, o un commento sotto un post, è estremamente diverso, ci ho riflettuto parecchio anch’io. Ma è una modalità di scrittura che si è aggiunta, e non ha sottratto niente a quelle tradizionali, non destinate a un uso immediato.
    Ma ai nostalgici (quelli tanto vecchi da esserlo) volevo ricordare quale paradisiaco cambiamento sia stata la tastiera, quando è apparsa, rispetto alla penna e ai durissimi tasti della macchina da scrivere, per le nostre povere dita, e quanti minori mal di schiena, per chi ci doveva stare parecchio, ha portato la morbidezza del tasto del computer, e quanta minor necessità di copiare.
    La vita è decisamente migliorata. (CANC a parte, che vada all’inferno e ci resti, lui e tutti i collassi dell’hard-disk)
    Solo la memoria ne ha risentito, ché allora, chi scriveva direttamente a macchina come facevo io, pensava necessariamente per periodi compiuti, mentre adesso la possibilità di correggere la frase in corso d’opera non mi obbliga e sapere che verbo, secondaria, ausiliare, giro di blues della frase userò, tanto posso tornarci sopra senza che mi vengano le ragadi alle dita.
    Adieu

  7. Non mi riconosco nel filone apocalittico che attribuisce alla rivoluzione informatica tutti i mali del mondo, impostazione di derivazione adorniana che, sulla terra “totalmente illuminata” dalla Tecnica, vede brillare “un sole di trionfale sventura”. Ma se penso che all’avvento della videoscrittura corrisponde il tramonto della “critica delle varianti” di continiana memoria, (decisiva com’era a stabilire la posizione dello scrittore di fronte alle possibilità del linguaggio) devo reagire al veemente senso di malinconia che m’assale. Ma tant’è. Ad ogni perdita corrisponde un guadagno. Forse…
    Trovo assai interessante, e degno di uno sguardo più approfondito, il discorso sui modi in cui la videoscrittura influenza lo stile.

  8. @alcor dice: “solo la memoria ne ha risentito”.

    Se ridai mano o leggi quello che ha scritto Ivan Illich sulla scrittura, direu che cambia scrivendo al computer proprio tutto il nostro modo di pensare, l’habitu percettivo. Credo si trovano queste considerazioni in Nello Specchio del Passato, Red edizioni. Da Illich c’è molto da imparare su molti fronti ancora oggi. Cmq La rivista del CNR Tecnologia didattica e un’altra rivista molto antica Multimedia che era edita dalla edizioni Sonda, come la stessa Telema hanno sviluppato questo tema.
    In quanto all’homo homo technologicus, l’uomo è tale sin dalle origini.
    Lo statuto attuale rispetto all’homo sapiens indica a mio parere solo una pervasività della Tecnica che era rimasto impensato. Ed entro 50 anni con i materiali quantico-dimensionali se ne vedranno delle belle!

  9. Metto qui questa frase dell’intervista fatta a Primo Levi da Catherine Petitjean, riguarda anche lo scrivere a “macchina”:

    P.L: …….. La tregua l’ho corretto abbastanza poco e anche gli altri dopo. Adesso, ho imparato a scrivere con la macchina, io scrivo alla macchina direttamente. Ne ho comprata una. Non correggo quasi più. È un mestiere questo, è veramente un mestiere. Si impara con l’esperienza. È molto più economico scrivere una sola volta invece di due. Conviene imparare come s’impara ad andare in bicicletta (ride).

    Però come accenna il post sono pure interessanti i testi dattiloscritti con la macchina da scrivere:
    si ritrovano quelle pagine ingiallite di carta vergatina
    o extra strong costellate, a volte, di postille a matita o a penna, cancellature, pecette incollate, inbiancchettature.
    Tutto un fascino dell’oggetto travagliato da visibili ripensamenti che ne fanno un articolo da collezione, una memoria/testimonianza quasi carnale della scrittura.
    Quando scrivevo a macchina ci pensavo due volte a buttar giù,
    anche tre o quattro, e la mente era costrettta a lavorare ed a distillare ben prima su contenuti parole giri di frasi punteggiatura e varie.
    Si acquisiva la “forma mentis” del dattilografo che può permettersi poche palle svarioni etc, diventava un mestiere, come diceva Primo Levi.

  10. Ormai riesco scrivere solo al pc. E’ tutta un’altra storia e condivido con chi dice che scrivere al computer comporta un infinito lavoro di riscrittura, un incessante labor limae. Ogni scritto per quanto stupendo è sempre perfettibile. Il pensiero lavora a velocità superiori, elabora e rielabora quasi in simbiosi col cervello elettronico. Le differenze delle scritture partorite post avvento videoscrittura sono evidenti.
    pepe

  11. Ho appena chiesto a ventitrè neolaureate in materie umanistiche se sapevano cos’è la blogosfera.
    Lo sapeva solo una, che ha un blog.
    Dei miei coetanei alcuni scrivono ancora a macchina (libri). La maggior parte odia internet e non lo usa. Parecchi non hanno una mail.
    Della generazione precedente la mia praticamente nessuno ha un computer, scrivono a macchina, se non a mano, e fanno copiare ad altri.
    Sono d’accordo con te sul fatto che se ne vedranno delle belle, ma sarà molto più lento di quanto non sembri qui.
    La scrittura formata fuori da internet è rimasta uguale, sta cambiando per le nuove generazioni.
    Non tutto è come sembra.
    E anche a proposito delle varianti, chi è abituato alla vecchia maniera stampa sempre molte versioni.
    E’ vero che molto viene cambiato molto di più, ma il residuo di varianti che resta è quantitativamente lo stesso, perchè a macchina o a mano a un certo punto ci si ferma.
    Credo che il vero cambiamento stia nel fatto che la scrittura a mano o a macchina, molto più lenta, portava a stendere pensieri relativamente compiuti, mentre la correggibilità infinita porta a pensare in modo più frammentario e alla correzione in corso d’opera.
    Forse voi vedrete come va a finire. Io fra 50 anni non ci sarò più.

  12. Leggendo Alcor mi vien da pensare che oltre al mezzo usato per la scrittura (e qui avete in molti sviscerato la penna la macchina da scrivere il bianchetto etc) c’è anche il fine per cui si scrive, la versione e destinazione finale. Un conto è scrivere un saggio per una rivista, un conto un articolo per un settimanale, scrivere per il web, scrivere un post per il proprio blog o un commento in NI: sono scopi con esigenze differenti (poi non ho mai capito quelli che commentano per correggere i refusi dei propri commenti, ma è un’altra storia).
    Forse c’entra anche il concetto di scadenza? Propongo un incontro di pugilato: Il Dattiloscritto contro Un Attimino.
    Tornando a noi, la scrittura digitale offre possibilità di accurate ricostruzioni di versione, ben oltre il bianchetto e la nota a margine: riusciamo a creare qualcosa di nuovo, e a renderlo altrettanto significante di un foglio di carta?

  13. Ha ragione alcor a dire che il cambiamento è più lento di quanto non sembri, ma ad un occhio allenato non sfuggono, come scrive Gabriele, “le differenze delle scritture partorite post avvento videoscrittura”.
    Mi lasciano sempre un po’ perplesso, invece, coloro che sostengono che, in definitiva, non cambierà niente. Le tecnologie non sono mai semplici aiuti esterni dal valore neutro, innocenti referenti operativi privi di effetti sui modi e le forme della conoscenza. Al contrario, è noto come la natura umana si sia sempre modificata in base alla sua declinazione tecnica. E in questo caso non si farà eccezione. All’avvento della scrittura su video corrisponderà il costituirsi di nuove forme di organizzazione mentale e conoscitiva.
    A questo proposito la tentazione di arrivare a vedere ‘sti materiali quantico-dimensionali ce l’avrei, eh. Chissà, io tra 50 anni non dovrei essermi ancora unito al coro degli angeli; magari con uno stile di vita un po’ più regolare…

  14. Infatti, il Pezzo Da Blog è una forma di scrittura molto diversa da quella destinata a un’altra fruizione, sul mio (di blog) ne ho anche scritto, perchè lo trovo interessante.
    Credo che c’entri molto quello che jan chiama “scadenza” e che ha a che fare con la consapevolezza che qualcuno verrà subito lì a leggere e a “parlare” con te, che potrai anche completarlo seguendo il filo dei commenti. e nel pezzo successivo passerai ad altro. Il PDB ha molto della comunicazione immediata e ne tiene conto, lunghezza, rapidità, linguaggio molto vicino al parlato.
    Qui su NI si postano molti pezzi già usciti su carta, in quel caso non c’è PDB, che si sposta nei commenti.
    Ma questa rapidità, leggerezza, fruizione immediata si trasferisce anche sulla carta, quando chi scrive scrive anche, poi, per la carta?
    Non lo so.
    Forse non per una come me, che è arrivata sulla rete già allevata alla scrittura pre-rete. Qui io non scrivo esattamente come parlo, ma in modo molto simile, do più spazio alla mia capacità retorica che a quella stilistica, sempre che ce l’abbia, parlo ad altri commentatori che in parte “conosco”. Tutto questo informa il modo della scrittura. Anche se torno a rileggere, dopo aver scritto – e lo faccio solo nei commenti più lunghi – è per controllare il filo logico, non altro, che sia chiaro a quelli a cui mi rivolgo.
    Ma se per ipotesi scrivessi un racconto, lo scriverei diverso, dopo un paio d’anni di rete?
    Non so.
    Ma leggendo chi in rete scrive racconti o pezzi di natura comunque narrativa o più genericamente letteraria, vedo ancora la vecchia impronta, l’influenza è ancora quella degli scrittori che ognuno si sceglie come modello o sparring partner.
    Il solo luogo dove noto vere differenze di scrittura, nel mio caso, sono le mail, all’inizio le scrivevo come lettere, adesso le scrivo come telefonate.

  15. Maurice Merleau-Ponty: “Nell’ideologia cibernetica le creazioni umane vengono fatte derivare da un processo naturale d’informazione, a sua volta concepito sul modello delle macchine umane”.

    Entro questa matrice mentale la scienza sogna finendo per costruire (l’uomo e la storia) a partire da qualche indice astratto, e per coloro che sono immersi in questo sogno l’uomo diviene sul serio il manipolandum che pensa di essere.

    Io sono un po’ luna e un po’ commesso viaggiatore- / e la mia specialità è trovare quelle ore che hanno perduto il loro orologio. / Ci sono ore che sono affogate – les heures qui sont noyées -/ e io conosco anche un uccello che le beve./ Altre sono state trasformate in motivetti commerciali./ Ma io sono un po’ luna e un po’ commesso viaggiatore/ e cerco quelli che hanno perduto il loro orologio (Vicent Hiudobro, Tout à coup, Editions au Sans Pareil, Parigi, 1925)

  16. riusciamo a creare qualcosa di nuovo, e a renderlo altrettanto significante di un foglio di carta?

    Questo è il punto.
    Ci si dovrebbe provare.
    Ma deve assolutamente essere negli intenti iniziali.
    Per chi scrivo, dove, come.
    Anche se ogni notte ti visita in sogno la Musa inquietante della Letteratura, la Sacra ispirazione del Nume dei puntini di sopensione, un minimo di sano artigianato non guasta.

    @alcor

    adieu?

    [che su di una lettera di carta sarebbe assai proccupante…]

    meno male che no!

    Il mutamento della scrittura quando si scrive per la rete è impercettible ma continuo, gutta cavat lapidem. Nei blog personali ci si fa condizionare da molti fattori, dai commenti in primo luogo, se noti in certi è tutto un chiuderli e riaprirli. Cogli l’Attimino! Non gioco più ridatemi il pallone che è mio. Si insinua anche una specie di inconsapevole autocensura, di captatio benevolentiae, o simmetricamente una mancanza totale di essa per cui puoi arrivare a raccontare le costellazioni di macchie sul lenzuolo sotto del tuo letto. O ad insultare il tuo interlocutore come mai ti sogneresti vis a vis. In genere sono le prime quattro o cinque righe a far emettere la sentenza: continuo a leggere/clikko via.
    Non trovo sia poi così negativo, se se ne è consapevoli.
    In NI c’è una mescolanza di generi. Ed è il suo lato più interessante.
    Aurevoir.

  17. continuo a pensare alla vecchia macchina da scrivere olivetti di mio padre, che quando schiacciavi i tasti sembrava di immergere i polpastrelli in morbide conche accoglienti,
    e il rumore….
    così energetico nello scatto impellente del dito sul tasto….

  18. c&c

    Anch’io ho sempre trovato interessante in NI la mescolanza di generi, e anche di alto e basso.

    Adieu da blog, certo, un addio a scadenza oraria.

  19. [Nell’epoca di crisi della civiltà orale, dopo l’introduzione dei caratteri fenici in Grecia, Omero -quello dell’Iliade, non il suo emulo, Deuteromero, dell’Odissea-: “Eh, i cantori non sono più quelli di una volta: facciamo un’antologia scritta dei canti della guerra di Troia raccolti magari intorno all’ira di Achille, così ‘sti cantastorie da due soldi vedono un esempio decente di aoidè e capiscono come lavora un VERO aedo!]

    Platone: “Inventando la scrittura si attenta alla memoria…”

    (Altri mezzi, altre innovazioni, stessi dubbi… Discorso vecchio, dunque…)

    A parte tutte le analogie che si possono fare, da un’èra geologica a un’altra -anche perché l’homo postmodernus… (ma ssì, homo più homo meno, homeggio anch’io!)… l’homo postmodernus, dicevo, è partito pensando per ère geologiche -un certo Calvino, dopo aver ascoltato De Santillana- ed è finito col non ricordare manco il Tiggì dell’altro ieri, o il dirimpettaio più ricco e aggiornato-, a prescindere da tutti i possibili raffronti con dimensioni culturali umane note e ignote, passate, presenti & future… siamo certi di non star rimestando un dibattito già fatto altrove (nelle aree trainanti dell’èra dell’informazione, cioè NON da noi), con minor rhetoreia e più oculata attenzione alle dinamiche profonde dei fatti?

    Considerando inoltre che:

    1) visto come scrivono ab aeterno certi giornalisti e pseudosaggisti da istant-book, non credo che un’indagine condotta su di loro nel 1985 possa dirci alcunché sulla letteratura (e d’altro canto, un buon giornalista che scriva anche bene, segue ex professo dei precisi dettami comunicativi, la cui formalizzazione risale alle artes retoricae greco-latine da Aristotele ad Ermogene di Tarso);

    2) una certa koinè diàlectos da bieta lessa, tanto più ipocritamente snob, perché tanto più infarcita di colloquialismi e putidi ammiccamenti, è presente fra noi da prima dell’èra internet (una sorta di Arcadia selvaggia di malscriventi esiste da tempo);

    3) la volgarità di molta produzione della grande editoria contribuisce ulteriormente alla diffusione di un non-stile;

    tenendo presente tutto questo, sembra piuttosto evidente che certi fenomeni di degrado stilistico siano da ricercarsi altrove, che non nei programmi di videoscrittura.

    Chiedo scusa se ho espresso in modo pesante i miei dubbi, dettati dall’impressione che, in un’epoca di reazione culturale, in cui un nostro ministro dell’istruzione ha cercato di cancellare Darwin dai programmi per far piacere a mamma chiesa e papà Bush, e in cui fior di filosofi dànno voce a un ciarlatano che -senza saper distinguere fra radice e desinenza -mette in discussione le scoperte della linguistica comparata, qui da noi sia nata la moda dei Retrodibattiti Ritardati.

    Cerchiamo, in poche parole, di non essere come bambini, per giunta chiusi nel cortile dietro casa (quando le possibilità concrete di spaziare, virtualmente e non, sono matter-of-factly infinite).

  20. Non è nel commento a margine di un intervento su un blog che ci si dia precisamente alla ricerca del più terso callimachismo.

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