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Livia Candiani, “La porta” (estratti) e una segnalazione

“Tutti abbiamo una porta, non sappiamo cosa c’è dietro”
(Livia Candiani, La porta, la biblioteca di Vivarium 2006)

La porta.
A destra
e a sinistra
solo aria.
Sopra
e sotto
solo aria.
Ma alla porta
si sostava.
Dalla porta
bisognava passare.
Dietro la porta
l’assassino di fuoco.
La porta si apriva
verso l’interno.
La porta era
sbarrata.
Catenacci.
Di ferro.
Cocente.

*

La bambina.
Ogni anno una nuova cicatrice.
Le parole
nel forno
diventavano piume.
Nel forno
entrava un destino
e usciva uno spartito
musicale.

*

Al bambino
spuntavano le ali,
un po’ ogni notte.
Ogni risveglio
un po’ più spigoloso
e più toccante
il mondo.
Al bambino
mancava
il mondo.

*

Aveva dei sassi
sulle spalle
uno zaino
di sassi
il bambino.
Poi.
L’ha posato a terra
Sono diventate
piume.
Sono restate.

*

La notte
ha il pavimento.
Di legno.
Scricchiola.
O tace.
Ma si sente.
Che attende.
La notte
la porta
di ferro
ha tutto.
È ovunque.
Non c’è altrove.

*

Un albero di luce
cresce.
Dai nodi.
Della porta.
Possibilità.
Di rami.
Incurante
sbadiglia
la porta.
Si apre.
Come una gola.
L’assassino
di fuoco
fuma all’orizzonte.
Incurante.
Chiude
la porta.
Identica.
Vuota.

Mercoledì 16 maggio alle ore 18.00, alla libreria Feltrinelli di via Manzoni 12 a Milano, presentazione del libro di Livia Candiani, La porta, Vivarium 2006. Presentano Mia Wuehl e Giorgio Morale, letture di Livia Candiani.

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58 Commenti

  1. Ben tornato, Andrea.
    Che felicità leggere una poesia simple e che “bussa” al cuore.
    Mi tocca questa paura che spia il bambino e la bambina.
    Poesia che dà piume alla sofferenza, una bambina che vola via tra il cielo.
    Magnifico.
    Mi rammento anche “Io con vestito leggero”, poesia, sorgente amorosa.
    Una bella manera di iniziare la mia giornata di lavoro.

  2. Complimenti a Livia e un saluto a Raos.
    La sensibilità di questi versi penetra come una pioggia finissima….

  3. Poetichese e versicolo un’accoppiata che mi blocca la digestione ma io pure come il Lucio soffro di allergie.
    pepe

  4. ben detto, charlotte! neppure a me interessa il poetichese e neppure le poetiche, m’interessa la poesia. grazie a Raos e a Livia candiani!

  5. I testi di Livia Candiani sono scarnificati e creano immagini e visioni. Ascoltarla è un’ esperienza: il timbro della voce insieme alle parole creano visioni che ricreano una realtà parallela, estraniante rispetto al contesto.
    Per coloro che non avessero avuto ancora la fortuna di incontrarla e sentirla dal vivo, segnalo una registrazione “Sogni del fiume” del 2001 con musiche di Piero Urban. Il CD è facilmente acquistabile via internet.

  6. invece a me, (maria terza ;-) lette così, non piacciono. Non sono per partito preso contraria ai versicoli, ma se qualcosa funziona (la prima ad esempio e, tutt’al più la seconda), il resto annoia e trovo delle immagini veramente poco felici, come l’assassino di fuoco o al bambino spuntavano l’ali… sono proprio brutte brutte. Ma può darsi che all’ascolto con musica di sottofondo, facciano un altro effetto, chissà.

  7. un’operazione di desertificazione del linguaggio banale della comunicazione quotidiana ridotta a “versicoli”? a “poetichese”? a “lirismo”?

    parlate per schemi, per partito preso, per etichette scadute. inacapaci di intendere perché ogni punto fermo, oltre a sostanziare l’attimo di un fermo-immagine, è il coperchio di uno scrigno, o di un sarcofago. materia di silenzio. matrice di tutte le parole sottratte al deserto della pagina e custodite, perché comunque leggibili, anche se non più visibili.

    bene.

    livia, a questo punto prendi nota. piazza un po’ di genitali in primo piano, fighe al vento e tette trafitte, un dolore che si trascina, gridato ma innocuo, fino a che il rigo termina, e con il rigo il verso: e avrai fatto poesia d’avanguardia, poesia contro il sistema…

    ma andate a cagare.

  8. Morte a Franz, viva Oberdan!
    Morte a Franz, viva Oberdan!
    Le bombe, le bombe all’Orsini,/ il pugnale, il pugnale alla mano;/ a morte l’austriaco sovrano,/ noi vogliamo la libertà.
    Morte a Franz, viva Oberdan!
    Morte a Franz, viva Oberdan!
    Vogliamo formare una lapide/ di pietra garibaldina;/ a morte l’austriaca gallina,/ noi vogliamo la libertà.
    Morte a Franz, viva Oberdan!
    Morte a Franz, viva Oberdan!
    Vogliamo spezzar sotto i piedi/ l’austriaca odiata catena;/ a morte gli Asburgo-Lorena,/ noi vogliamo la libertà.
    Morte a Franz, viva Oberdan!
    Morte a Franz, viva Oberdan!
    Morte a Franz, viva Oberdan!

    [Scherzo, Krauspenhaar:- ) ]

  9. I versi di Livia Candiani hanno grazia del vento leggero. Respiro di cuore fanciullo. Lirismo? Credo di no. Il lirismo è soffio ampio, non una dolce musica quasi prossima alla musica di Verlaine con forza dell’evocazione, una paura che galoppa. E d’altronde perché buttare via il lirismo, per piegarsi alla modernità? Musica solo importa.
    Brutta l’infanzia in fiamme? No, è il segno del dolore,
    Il silenzio che cresce.

    Amo questi versi e grazie a Andrea ed a Livia Candiani.

  10. Angelini, visto che è allergico, starnuta come Mangiafuoco quando si commuove, si gratta e gli vengono le bolle dove so io quando legge di porte, piume e ferite, donne e poesia, si merita solo un uomo che gli scriva una prosa aguzza con muri, spilli, cilici e suture.

  11. @così&come.

    Suvvia, non se la prenda. Mi lasci così & come una cosa posata in un angolo e dimenticata. Non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo di polemiche…

    P.S. Auguri di ogni bene alla poetessa.

  12. Non comprendo tutta questa paura dell’inconscio, la porta “violata”. Non comprendo perchè non si comprenda il mito del sognare, il mito del serafino poeta profeta, dell’anima o animus che vuol esprimersi incapace d’uscire oltre la porta. Io penso che parte della razionalità, se questa vuole essere tale deve comprendere il rito ancestrale ed il suo eseguire, deve “razionalizzare” cioè comprendere portare alla luce il rito del parto e come questo era vissuto nelle prime civiltà latine (ad esempio). La preparazione a questo, il significato di porta, la congiunzione tra gli stipiti, la pulizia sotto il letto (incubo) contro gli spiriti (sogni), si dovrebbe comprendere così la fragilità dell’uomo, quando questo si dice razionale ma non vuole comprendere un bambino con le ali, o non vuol comprendere il significato di non poter (no, non voler) oltrepassare quella porta. Andrebbe rivista molta saccenza e stupida sapienza. L’uomo o la donna sono stessa cosa, hanno bisogno di intelligenza, e questa è anche senso psicologico, capacità di riconoscere meriti, difficoltà nel sapersi rapportare con il Se. (un intuizione che sia poetica o scentifica, nasce dalla congiunzione degli opposti. Gli opposti, gli stipiti della porta, sono solo apparente negazione, apparente differenza che congiunge, essi sono piantati a terra, e sono appunto di legno, albero della vita.) Mi sembra che la poesia di Livia ci racconti tutto questo.

  13. Gentilissima Eva,

    prima di mandare a cagare anche me, mi spiegherebbe che vuol dire che “ogni punto fermo, oltre a sostanziare l’attimo di un fermo-immagine, è il coperchio di uno scrigno, o di un sarcofago. materia di silenzio”? C’entra mica Blanchot?

    Una riverenza illustrissima

  14. Siamo alle solite uno non può fare delle piccole critiche che subito ti si scagliano contro! Per me questi versi rappresentano tutto ciò che la poesia non dovrebbe mai essere: immagini trite e ritrite, banali, ricercate ma prive di forza espressiva, sono una sequenza di luoghi comuni. Sarò un imbecille ma rivendico in toto il mio diritto all’imbecillità.
    Poi se volete un confronto posso mandarvi qualcosa di mio che potrete criticare in piena libertà.
    pepe

  15. Ognuno di noi “sente e vive la poesia” come meglio crede…, il problema, a mio avviso, non sussiste. Ci sono delle scritture che sono nelle nostre corde altre meno. Sarebbe “spaventoso” se a tutti piacessero tutti e tutto, saremmo degli emeriti imbecilli clonati!

  16. caro o.c., io non ho mandato a cagare le persone, che non conosco, ma le ‘formulette’ che ho trovate scritte. cos’è il ‘poetichese’? cosa si intende per ‘lirismo’? lo si spieghi. se qualcosa non mi piace, o scelgo di non intervenire, oppure cerco, qualora mi vada di farlo, di argomentare il senso del mio rifiuto e della mia critica. in questo caso, forse, potrei anche contribuire a che il poeta si interroghi su alcuni aspetti del suo lavoro che, magari, non aveva considerato. almeno, si spera, si interrogherà sull’effetto che la lettura-fruizione può provocare. in leopardi e in celan, ad esempio, ma solo per indicare l’apertura e la chiusura del ‘moderno’ poetico, la lirica è la materia che connota la genesi e la fine della poesia: cos’è quello, lirismo? poetichese? e se i termini qui sono usati nella loro accezione negativa, si sentirebbe, chi li utilizza, di applicarli anche ai due autori sunnominati, ambedue presenti, anche se ben dissimulati, in questi testi? e, in ultimo: chi è che decide cos’è che separa, a livello di ricezione e di utilizzo, il senso positivo e quello negativo dei termini? il gusto del lettore? e, di grazia, su cosa si fonda? quali ne sono le strutture teoriche di riferimento? e si potrebbe continuare, ad oltranza.

    immagino che qui siate tutti poeti, e allora vi chiedo: anteporre ai versi che leggete la vostra concezione del testo poetico, quella che praticate, vi sembra un approccio plausibile alla comprensione della specificità dell’oggetto che avete davanti? che senso ha tutto questo, se del testo in questione non vi portate via niente e lasciate soltanto la traccia, sgradevole, di chi gioca, passando, al tiro al bersaglio?

    la poesia va criticata e demolita (o elogiata, se è il caso) per il bene di chi la scrive, ma con ‘argomenti’ seri e motivati, non con quelle formulette che denunciano unicamente l’attività più frequentata dal novanta per cento dei ‘poeti’ (sic!) italioti: masturbare i grilli calzando i guanti; oppure, nella sua variante à la page (déjà vu, ma sempre trendy): affilare spilli per inculare mosche.

    sì, o.c., blanchot; e, a furia di scavare in posti diversi del testo, anche lacan. e non solo.

    addio. corro a verificare che in casa non siano rimaste tracce di libri di poesia italiana. l’ultima volta, dieci anni fa, dovrei aver spazzato via tutto, ma non si sa mai: alcuni sono come gli scarafaggi, resistono anche al ddt.

    (ri)scopare necesse est. semper.

  17. Tranquilli non invio niente di mio era solo un modo per dire che se uno si espone al pubblico si espone pure al libero commento altrui. Poetichese per me significa usare tutto un armamentario che assomiglia alla poesia ma che a ben vedere ne è solo una sbiadita imitazione. In primis la poesia è ritmo e struttura e l’importante non è ciò che si scrive ma il come si scrive e questo penso valga anche per la narrativa. Ognuno può conoscere una bellissima ed entusiasmante storia ma è come questa storia viene scritta che fa la differenza. Così ognuno può mettere in fila parole bellissime, esprimere concetti profondi, esibire grande sentimento, ma da questo farne poesia è tutta un’altra storia.
    pepe

  18. Cara Eva,

    grazie per la risposta calzante. A dire la verità la poesia in oggetto non l’avevo neppure letta (da un po’ mi concentro unicamente sui commenti); m’interessava invece che dispiegassi meglio quella frase un po’ criptica.
    L’hai fatto e ti ringrazio, senza dimenticare Blanchot.

    Un saluto

  19. ecco un paio di esempi di ‘poetichese’, di ‘sbiadita imitazione’ della poesia.

    cresce
    frammezzo
    l’aiuto
    gradinato,

    cessa
    la creazione
    di nomi

    il latte dei ghiacciai
    convoglia
    i massicci
    attraverso
    la flottante meta
    dei loro inesorabili
    incendi

    //

    la verità,
    legata con fune
    ai relitti di sogno
    ceduti,
    sorpassa
    come un bambino
    la cresta

    la gruccia nella valle
    cui ronzano
    intorno
    grumi di terra,
    detriti,
    semi d’occhi,
    getta foglie
    nell’alto-
    fiorente
    no – nella
    corona

    buon ferragosto a tutti.

  20. beh eva risto è stato bello tagliente.
    quello che dico è che le poche poesie, davvero poesie, hanno sempre vissuto in mezzo a tante non poesie.
    e il mondo solo di belle poesie sarebbe troppo noioso. senza senso.
    ci vuole calma. e eva risto è una furia. (però serve).

  21. Io ci sono stato, ho ascoltato, ed acquistato.
    E mi è pure piaciuto, e del perché mi sia piaciuto davvero non me ne importa.

    Amen.

    @ eva risto

    “(ri)scopare necesse est. semper.”

    … e avresti anche ragione!
    purtroppo, data l’età, sono impotente (prima o poi capita)

    Ancora amen, con rimpianto.

  22. “(ri)scopare necesse est. semper.” = tenere pulita la casa, lavorare di ramazza. non ha altro significato.

    ragazzi, siete perversamente maliziosi… nel campo a cui, forse, alludete, io non ho voce in capitolo, essendo ancora sicut mater fecit.

    @ elena rosa

    ti ringrazio cara, ma ti pregherei di essere un po’ più attenta al genere degli aggettivi: non ‘bello tagliente’, semmai ‘bella tagliente’. abbiamo già concesso abbastanza al maschile nel corso della storia, teniamoci stretto l’orgoglio della nostra femminilità anche negli scritti.

  23. Quelle che, dopo averle sentite o lette, senti il bisogno di rileggerle o di risentirle due o tre volte almeno. Anche più in rari casi speciali.

  24. francamente non ho alcuna voglia di discutere in questi giorni, ma mi rifiuto di ricevere insulti e chiose di supponenza per avere espresso un semplice dissenso al plauso generale; non ho mica detto, come avrei potuto, che il bambino cui spuntano le piume ha la forza evocativa di uno spot della redbull? o che l’assassino di fuoco mi pare un tentativo maldestro di evitare il luogo comune del ladro di fuoco, talmente poco riuscito da indurre a ipotizzare quanto meno uno scarso labor limae, se non un’eclatante dimostrazione di un difetto di stile? Eva Risto, con tutto il rispetto, le sue chiacchiere non sono meno vacue delle definizioni sommarie di cui voleva far giustizia. Non è venuto da lei l’invito ad attenersi al testo?

  25. scusi, maria valente, ma lei è un po’ distratta, se mi permette. per caso, lei aveva parlato di ‘poetichese’? di ‘lirismo’? mi sembra di no. e allora? perché mi rimprovera, e si sente chiamata in causa, se io ho risposto in merito a queste due ridicole etichette? lei per caso fa l’avvocato? ha tra i suoi clienti il dott. angelini? no? e allora, si rilassi. sapessi io quante cose non vorrei fare, e non solo in questi giorni…
    si stia bene, figliola.

  26. che dire eva risto, l’orgoglio della femminilità per quanto mi riguarda non lo metto in prima linea, e nemmeno in seconda, se è per quello.
    può confondere. e fa male. un saluto.

  27. @ così&come

    ti assicuro (libero/a di non credermi) che mai, ‘denunciando’ una (eventuale) stronzata sotto forma di ‘formuletta’, nemmeno per un secondo, è venuta meno, in me, la coscienza di quelle che dico e scrivo io.

  28. sottotitoli per ogni verso se i versi – tranne pochi per me – non nascondessero l’alberatura ossessiva e pregnante che
    invece sottostante pulsa e s’imprime a punti alti. per inabissarsi troppo presto.
    l’esasperata e forzata marca stilistica in costruire che tenta di essenziare e esitenziare uno scontroso ma personalissimo animismo, smorza di tensione quando ai nervi tra(-i-)versi si contrappongono formule integrali di parole che compongono frasi senza autonomia e che perdono flessuosità e sensualità dove invece andrebbe osata un’usura di esse più originale date comunque le interessanti alte referenze anche simboliche che l’autrice lascia intravedere.
    un saluto
    paola

    ps:albero di luce?
    la porta che sbadiglia?
    al bambino spuntano le ali?
    ( e alla salamandra per davvero ricrescono le zampe)
    l’assassino di fuoco fuma all’orizzonte?
    e altre metafore a mio sentire un po’ infelici.
    infelici nel senso che non trovano quello che annunciano.
    a mio sentire, sia chiaro.

    belli questi :

    Un albero (di luce)
    cresce.
    Dai nodi.
    Della porta.
    Possibilità.
    Di rami.

    un saluto
    paola

  29. sottotitoli per ogni verso se i versi – tranne pochi per me – non nascondessero molta dell’alberatura ossessiva e pregnante che
    invece sottostante pulsa e s’imprime a punti alti. per inabissarsi troppo presto.
    l’esasperata e forzata marca stilistica in costruire che tenta di essenziare e esitenziare uno scontroso ma personalissimo animismo, smorza di tensione quando ai nervi tra(-i-)versi si contrappongono formule integrali di parole che compongono frasi senza autonomia e che perdono flessuosità e sensualità dove invece andrebbe osata un’usura di esse più originale date comunque le interessanti alte referenze anche simboliche che l’autrice lascia intravedere.
    un saluto
    paola

    albero di luce?
    la porta che sbadiglia?
    al bambino spuntano le ali?
    ( e alla salamandra per davvero ricrescono le zampe)
    l’assassino di fuoco fuma all’orizzonte?
    e altre metafore a mio sentire un po’ infelici.
    infelici nel senso che non trovano quello che annunciano.
    a mio sentire, sia chiaro.

    belli questi :

    Un albero (di luce)
    cresce.
    Dai nodi.
    Della porta.
    Possibilità.
    Di rami.

    un saluto
    paola

  30. Qualche considerazione sulla condizione della cultura poetica attuale e prevalente in questo sito:

    1) ogni tentativo di discussione costruttiva sul testo poetico degenera in conflitti fra dogmi e partiti presi, e insulti.
    2) le critiche ad una autrice-donna vengono subito prese come un tentativo di escludere quella poetessa dalla casta dei poeti. Il femminismo si sente in dovere di abbattersi prepotentemente contro questi “scogli duri”. Spero che la mia condizione di ermafroditismo mi metta nella condizione di osservatore/osservatrice super partes.
    3) non penso che Livia Candiani ne abbia a male se una manciata di lettori trovi banale il suo stile poetico, ma anzi credo che le critiche si inseriscano in modo costruttivo nel percorso artistico di ogni autore/autrice; il che non significa affatto che un poeta debba arrivare a scrivere la pappina per la maggioranza dei suoi fan. Diceva bene Eva Risto quando invitava ad una riflessione che non esulasse dal testo: la Candiani non ha bisogno di paladini difensori.
    4) credo che il senso di questo sito non sia quello di addobbare i post sciorinando una serie di convenevoli e applausi a scena aperta. Si accettino dunque le critiche, sempre in un clima costruttivo di discussione.

  31. é l’impossibilità due volte dettata. Negata, è questo che trovo interessante, -il negato- dichiarare il negato e rappresentare financo alcune immagini trappola. Troppo facili sembrano queste immagini, pare, ma il perchè del “troppo” facile che salta agli occhi e dovrebbe far pensare. Una negazione alla porta, ella non riesce a passare, perchè?

  32. la porta. una degli anelli della spina.
    la porta come una bocca che accoglie o rifiuta o s’inzuppa delle conseguenze di ciò che dai suoi nodi cresce.
    entrata. uscita.
    tutto dipende. tutto si estende su un pavimento battuto da entrambe le parti.
    le storie i terreni i sentieri
    la festa continua
    poi ci sono le porte alchemiche che scompaiono dopo avere inghiottito il bambino di fango.
    [continua]

  33. chi nega la funzione della porta
    è già nella sua masticazione.
    ha il bambino di fango nel suo corpo
    ha in sè il padre di fango
    e il vino agitato
    che non è sperma o qualsivoglia altro liquido
    o almeno non solo quello
    ma la negazione dal di dentro
    altro non è che affermazione.
    alas
    p.

  34. e poi ci sono le modifiche alla porta.
    o alla bocca. da sopportare. quelle che di taglio puoi vedere il male tra gli anelli di cartilagine. poi ci sono i vari tipi di legno.
    o di bocca.
    c’è lo stato di salute della porta. noi che non sappiamo mai dove siamo
    ci esauriamo a decifrare i nodi e le loro serrature.
    la porta amore. ciò che dall’amore non si può avere.
    resta fuori il quadrato del corpo delle gambe dei corpi perchè nessuno
    sa cosa farsene di ciò che non si può avere e cancella i giorni in cui ha lottato per esso.
    ma va bene così.
    p.

  35. che bello il male tra gli anelli di cartilagine. volevo scrivere mare.
    invece se ne sta lì, il male. come un’animalità, uno stupro cupo tra la bocca e l’ano della porta.
    fine.
    un saluto
    p.

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