Su “Era mio padre”

di Francesco Marotta

Un libro splendido. E una mano sapiente a reggere e a guidare gli occhi del lettore in tragitti ora piani, ora vorticosi, in bilico tra la calma sofferta e ordinata dei mosaici finemente cesellati e il caos umbratile dei labirinti che disegna ad ogni pagina, offrendo gli uni e gli altri a una condivisione piena, mai statica, a un movimento che azzera immediatamente ogni schermo e ogni distanza. Una mano capace di destrutturare, e di riutilizzare, nello stesso tratto e con la medesima intenzione conoscitiva, quasi in un gioco di specchi rovesciati, le regole, i codici e i generi che attraversa e ingloba, e di restituirli, infine, nell’architettura complessiva di un testo unitario assolutamente refrattario a ognuno di essi, imponendo, quasi, di riguardare l’opera alla luce della specificità affatto nuova in cui ci appare e con la quale si offre al nostro ascolto.

Un libro animato da una fortissima, tangibile tensione etica, affiorante anche in quei passaggi in cui il carico emozionale sfugge ad ogni possibilità di definizione e di controllo, che utilizza lo strumento della memoria per impadronirsi, modellandolo secondo il dettato e le regole di una inquieta grammatica inconscia, di ogni minimo anfratto e reticolo scritturale, insediandosi nella carne viva dei personaggi, autore compreso, fino a farne pure rappresentazioni esemplari del suo sguardo interiore, della sua pupilla profonda: quelli di un’umanità sospesa, che si interroga senza soluzione sulla consistenza e la natura dei fili invisibili che la sorreggono e a cui, disperatamente o dolcemente, si aggrappa.

Ed è proprio il soffio di questo ethos, fraterno e dolente, ad attraversare tutte le pagine del “romanzo“, anche quelle che apparentemente sembrano più distanti e dissonanti, come un respiro carsico a stento trattenuto sotto la superficie delle parole e delle immagini. Un fiume che si trascina frammenti di volti, di voci, di ricordi e di storie che si rincorrono nell’animo di chi legge e, lentamente, si dispongono in un corpo unico, in forma di legame indissolubile, mai artefatto e mai deliberatamente consolatorio: quello che la vita stessa impone, a chi sa ascoltarla e specchiarsi a testa alta nel taglio originario di ogni ferita, col riconoscimento della sua alterità irriducibile, del suo volto segreto, oscuro: il filo invisibile tra i vivi e i morti. Un legame che ha i colori e gli echi, fieri e malinconici, mai rassegnati, di una ormai dimenticata, virgiliana pietas, prima di tutto verso se stessi e le cose del mondo, dalle più usuali, quotidiane e insignificanti, alle più grandi: strette in un abbraccio, umile e orgoglioso nello stesso tempo, capace di trasferire una vicenda personale a livelli impensabili di universale, umanissima significazione. Esattamente quello che la grande letteratura fa, o dovrebbe fare.

Franz KrauspenhaarEra mio padre – Fazi 2008 – pp.281, euri 16,50

(Dal blog La dimora del tempo sospeso)

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23 Commenti

  1. Finalmente!
    Voglio dire, al di là delle implicazioni interpersonali di questo postaggio, finalmente su NI ci si occupa del bel libro di Franz. O sono io che mi son perso qualcosa? L’entusiasmo di Francesco Marotta, comunque, è fondato.

  2. Harzman, forse non ci ha mai fatto caso, ma è regola interna evitare recensioni che parlano di libri di redattori di NI.
    Non hai mai letto e non leggerai mai nulla che parla dei miei libri finché faccio parte della redazione. Purtroppo Franz ha preferito, per ragioni sue personali, uscirne (ma io non demordo e spero in un ripensamento). Questo ci libera dal vincolo!

  3. Sono lieta di leggere.
    Ho letto due volte Era mio padre.
    La prima, ho avuto il cuore stretto, un sentimento di dolore che mi è venuto nel cuore, un viaggio nella storia di amore tra un padre e un figlio.
    Il romanzo offre una scrittura che gioca tra la violenza e la dolcezza.
    La dolcezza fa il suo cammino attravverso il ricordo, il punto di dolore che torna senza tregua nella scomparsa del padre , l’ultima vista del padre ha la stazione centrale.
    L’autore scrive con una verità sublima che va dal ricordo luminoso in un bagno con il fratello e il padre, all’urlo dell’impossibile lutto ( la morte del fratello). Una scrittura che racconta anche una storia d’amore dei radici, della terra ferita, disfatta, che parla di una manera sublime dell’amore della scrittura iniziata sotto il cielo blu americano, sotto ” Lo sguardo” di Henry Miller.
    E’ un libro splendido che è diventato il compagno della mia solitudine, si, un libro che accompagna e parla alla nostra umanità piena di pena, ma anche di amore.

  4. Scrivere spesso significa liberare, non solo raccontare.
    I primi due terzi circa del libro sono quelli che mi sono piaciuti di più, quelli in cui FK libera i propri ricordi, tramite una prosa fluida e piacevole, vivacizzata da cambi di registro linguistico e priva di futili leziosismi.
    Il mordente sulla lettura è costante, quasi tignoso, anche quando l’oggetto del narrare si mette in movimento come una farfalla, spostandosi dal padre ad una donna, alla propria città, alle presenze in Rete, addirittura al proprio libro. Un gioco di specchi in cui l’Autore prova a riconoscersi, a misurare le proprie diverse espressioni vitali di fronte alla scrittura, alla propria città, alle proprie donne, alla morte.
    Il lavoro introspettivo è a “livelli impensabili di umanissima significazione”, vero, è toccante, sincero e coinvolgente, quasi da ispirare tenerezza. Per le pulsioni che trasmette sembra un testo scritto di testa, di torace e di pancia e di fegato. Necessario comunicarle, liberarle.
    L’esposizione, a mio modestissimo avviso, molla un po’ la presa sul lettore nelle ultime pagine, quando FK ha già dato molto. I contenuti non perdono pathos ma la prosa si fa un po’ stanca, meno vivace, forse meno riflessiva. Sembra caracollare verso una conclusione che sia di pari livello contenutivo, di pari spessore emozionale delle pagine che la precedono.
    Ma sono solo opinabili impressioni.
    Il libro si fa amare, eccome.

  5. Non capisco la regola su Ni, perché penso che è ” un peccato di modestia”. Ci sono libri splendidi scritti da redattori e avrei voluto leggere di più sulle opere di Gianni Biondillo, Francesco Forlani, Franz Krauspenhaar, Andrea Raos, Andrea Inglese…
    Penso che un articolo su un libro postato da un altro redattore è una bella idea. Passare sotto silenzio un libro magnifico è triste, anchese è una prova di eleganza, di nobiltà.
    Perché tacere, nascondere une bella opera?

  6. Ci vuole tanto ma tanto pelo sullo stomaco per riuscire ad arrivare alla fine di questo diario senza capo né coda; bisogna essere disposti ad affrontare ore di noia; e non da ultimo bisogna essere in una disposizione d’animo gentile sin dall’inizio nei confronti dell’autore, perché una volta giunti all’ultima pagina la tentazione forte è quella di scagliarglielo addosso il libro, in piena faccia.

  7. Grazie a Marco Rovelli e a tutti voi per il contributo e la condivisione.

    Al simpatico nickname che firma il civilissimo commento n.7, oltre al mio grazie anche una adeguata dose di pietas. Non virgiliana.

    fm

  8. La recensione nella sua interezza:

    http://biogiannozzi.splinder.com/post/18076446/Franz+Krauspenhaar+%C3%A8+un%27altra

    La civiltà di Franz Krauspenhaar:

    http://biogiannozzi.splinder.com/post/18083221/krauspenhaar+ringrazia+Iannozz

    Ed ancora… questa poi è una chicca… che vi lascio scoprire da soli:

    http://biogiannozzi.splinder.com/post/18103248/Franz+Krauspenhaar+nel+fuoco+d

    Me ne frega un piffero della pietas, in qualsiasi declinazione forma modo.
    E non sono disposto a concederne a chicchessia per nessun motivo al mondo.

    Iannozzi

  9. Caro dottor Iannozzi, mi permetto di prescrivere quello che ho già prescritto privatamente al dottor Krauspenhaar, al quale auguro uno stato psichico semiatarassico perlomeno per due giorni a settimana. La cura, caro dottore, consiste in 200 mg di Cadaverilene Malmostato; al quale vanno aggiunti 60 mg di Rododur in 2 compresse da 30 mg. Questo due volte al dia, sempre dopo i pasti.

    Invece di una psicoterapia le consiglio caro dottore una cura disintossicante da web in una clinica convenzionata con la mutua. Posso vedere di trovarle posto all’Istituto Peter Kuerten di Duesseldorf, all’avanguardia per il trattamento di ogni tipo di disturbo, anche il più fastidioso per la collettività.

    A ogni modo, se vuole, può scrivermi alla mia mail karotene@gmail.com
    Potremmo concordare un appuntamento nel mio studio di Perugia. Sarebbe anche una buona occasione per fare la sua conoscenza reale.

    Con l’occasione le auguro ogni bene, sperando di averla presto tra i miei pazienti.

    Dott. Gerardo Carotenuto – Medico Psichiatra

  10. Uffa! Un altro medico della mutua con la laurea comprata a forza di bottarelle/bustarelle a destra e a sinistra. Si curi da solo, poi casomai osserverò gli effetti su di lei delle sue cure e riderò.

  11. Gianni, vuoi dire che non leggeremo mai su NI una recensione del tuo ottimo “Metropoli per principianti” (Guanda, 2008)? Peccato, perché è veramente interessante…

  12. Se sapessi che questo libro ha avuto il successo che merita, forse potrei riconciliarmi con il lettore italiano medio, mediamente beota.
    E’ un libro che avvince scatenando livelli di identificazione insospettabili di primo acchito, travestito com’è da biografia di un padre altrui.
    La cognizione del dolore che sovrasta narrazione e stile, e svela la metafisica parentela delle anime.
    Quanto a Iannozzi, che sciocco e insensibile non è, ha però un’ostinazione tutta sua nel cercarsi bersagli su cui scatenare il suo furore. Però non ti capisco, Iannox: questo per me è un libro che dovrebbe riconciliare tutti.

  13. Concordo pienamente con quanto scritto da Marotta; non credo ci sia altro da aggiungere.
    Ritengo comunque interessanti, dal punto di vista patologico, alcuni attacchi al romanzo. Sarebbero veramente degni di entrare in certa letteratura medica.
    Come dire, fossi io l’autore, mi darebbero l’affascinante certezza di aver colpito nervi sciatici, per esempio.

  14. Valter, il libro è brutto. Molto brutto. E’ slegato. E’ un diario, forse anche meno, perché davvero troppo slegato, buffonesco, fintamente beat *: è una babele di pensieri, di urla, su dei fogli rilegati e con una copertina. Fossi stato in Fazi l’avrei seppellito nel cestino della carta straccia.

    Ecco, così Franz adesso avrà l’opportunità di estrapolare questo commento e di decontestualizzarlo sul suo blog e così continuare a dire carognate contro in sottoscritto, come se non ne avesse dette abbastanza. Ma neanche questo è un fatto personale: mi fa ridere Franz, ad un certo punto, per forza di cose, perché un simile comportamento non l’ho mai incontrato in nessuno. E dire che di libri ne ho stroncati. E’ un triste mondo malato, rubando una battuta a Daria Morgendorffer.

    Nessun furore. Ne ho le palline piene di chi pensa che abbia dei bersagli o che altro. Ma d’altro canto bisogna pur lasciar vivere gli idioti che lo pensano. C’è ancora una parvenza di democrazia nell’aria, poi tasseranno anche l’ossigeno e vedrai che forse la si smetterà di fare inutili chiacchiere da bar proiettandolo nel ridicolo.

    Poi voi potete difendere a oltranza Franz e buttare merda addosso a chi ha criticato il libro senza tesserne le lodi. C’è anche questa libertà. Ma credo che un simile comportamento non aiuti proprio l’autore, semmai lo danneggia e in maniera più che forte.

    Passo e chiudo su questo post!

    Buon divertimento.

    * Allen Ginsberg scrisse parecchi diari, celebre “Diario indiano”, “Parigi Roma Tangeri. Diari degli anni ’50”, saggi anche “Facile come respirare. Appunti, lezioni, Facile come respirare. Appunti, lezioni, conversazioni”, con la sua tecnica, diaristica, di presa diretta. Una quantità sconfinata di lettere, molte delle quali riunite in volumi, non tutte tradotte in italiano.

  15. Nessuna acrimonia. Nessuna antipatia: anzi.

    Però penso che se un critico scrive delle enormità, esprime dei giudizi senza capo nè coda un autore ha il diritto (siamo in democrazia) di rispondere anche duramente. Tutto qui.

  16. Le uniche enormità le hai sparate tu. Poi ti sei tappato gli orecchi e hai continuato imperterrito a gridare, senza voler sentire ragioni. Perlomeno adesso, grossomodo, sai perché ho citato Ginsberg.

    L’opportunità di spiegarti te l’ho offerta, nonostante le tue calunnie gridate. E mi hai sputato prima in un occhio e poi nell’altro, facendomi perdere tempo prezioso. Non hai fatto però una bella figura, su nessun fronte e con nessuno. Sappilo.

    La memoria ti è corta?

    http://biogiannozzi.splinder.com/post/18083221/krauspenhaar+ringrazia+Iannozz

    Rinfrescatela.

    Quelle sono diffamazioni bell’e buone, per giunta in un linguaggio altamente scurrile, che nessun altro ti avrebbe perdonato. Io ci sono passato sopra, che è diverso dal dimenticare. Molto diverso.

    Prima di parlare, lavati la bocca. Prima o poi incontrerai chi non buono come me – perché io sono un buono alla fin dei conti -, e se gli spari una sola, dico una sola delle offese che hai sparato a me, prima ti sega le gambe e le braccia e poi visto che c’è ti taglia la testa e la espone in salotto come trofeo.

    Franz, a me non me ne frega di quello che caghi in giro: dimmi come parli e ti dirò chi sei. Valeva ieri, vale ancora oggi.

    Speriamo in futuro, per te, che saprai anche ragionare invece di raccogliere solo i commenti positivi… diciamoli così.

    Auguri in ogni caso.

  17. Per Giuseppe,

    Sarebbe bene che tutto questo litigo trovi un termine. Giuseppe, non sei cattivo, lo so benissimo; ma nella faccenda non sei giusto. Non ami il libro, posso concepire ( anche se ho molto amato il libro di Franz), ma non riesco a afferrare l’accanimento. Dai, fare la pace.
    Guarda, Giuseppe, il libro è scritto da un anima in lutto; ci sono molte pagine superbe su il sentimento di sgobimento, di angoscia, ma anche è un dialogo commovente con il padre, anche una pagina di storia ( storia di radici, di esilio) e soprattutto una meditazione sulla scrittura, lo slancio verso la vita nonstante il dolore: LA RABBIA DI VIVERE.
    Penso che tu puoi trovare matiera da nutrire, da pensare.
    La scrittura è limpida, con metafore. Ho letto una descrizione di assoluta bellezza di Milano.

    véronique ( dai, fammi un sorriso!)

  18. @ VERONIQUE

    Io non devo fare la pace proprio con nessuno perché non ho litigato con nessuno, men che meno con Franz. Molto semplicemente il suo libro non mi è piaciuto, morta lì.

    Franz ha avuto l’ardire di insultare, calunniare e diffamare e di farlo in maniera ripetuta e ostinata: direi che sono stato fin troppo buono a lasciar cadere la cosa. Il minimo che si potesse aspettare dopo tutte le calunnie pesantissime che ha sparato è che le raccogliessi in un post a futura memoria. Sono buono, ma non sono un coglione.

    L’ho già detto: chiunque altro al mio posto, trattato così da Franz, avrebbe voluto la sua testa. Io no. La testa di Franz non mi piace, in nessun senso.

    Lo ripeto, per i duri d’orecchi: non ho litigato con Franz.
    Non mi è simpatico e tutto quello che volete. Ma se il libro fosse stato valido, secondo il mio metro di giudizio, l’avrei detto. Non ho problemi in tal senso.

    Ciao

  19. Come si fa a ragionare con uno che parla a vanvera? Io, per tua norma, rispondo a chiunque; per te nutro una sincera simpatia – che ti piaccia o no; prova a immaginare come avrei risposto a uno che mi stava, per qualsiasi ragione, antipatico.

    Qua si tiene la barra a dritta, caro mio.

  20. @ FRANZ

    Si può dissentire da una recensione, sia essa bella o brutta. Si può dissentire per diversi motivi. Però da qui all’insultare ce ne vuole e tanto.
    Ti ho offerto la possibilità di spiegare le tue ragioni. Hai detto sì e no niente, però sei riuscito a far sì che la gente non ti prendesse in considerazione: forse per tutti gli insulti che hai sparato? Avevano ragione di non interrogarti: erano terrorizzati dal tuo comportamento.

    Comunque, te l’ho detto: buone cose, con sincerità, al di là del mio giudizio che non ti è piaciuto e che non è quello di dio. Spero però, soprattutto per te, che tu sappia in futuro comportarti meglio: senza stendere tappeti rossi, ma anche senza sputare in entrambi gli occhi a chi ti sta davanti.

    Ciao

  21. Ho letto il libro su consiglio di un amico… l’ho divorato… mi ha commosso… mi ha fatto ridere… mi ha fatto incazzare…. sono qui perchè ho trovato l’indicazione del blog…. ed in parte, leggendo i commenti, mi pare che l’ambiente sia esattamente quello descritto dall’autore nel romanzo.
    Sono un lettore qualunque, senza alcuna specifica preparazione letteraria… cerco colori e sensazioni…. e nel romanzo le ho trovate…. ho trovato un mare di vita….

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Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.
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