Maschio e femmina dio li creò!? Il binarismo sessuale visto dai suoi zoccoli (2)

Pubblico la seconda parte (qui la prima parte) della lezione su transgenderismo e intersessualità che Lorenzo Bernini ha tenuto presso il corso di dottorato di ricerca in Studi Culturali dell’Università degli Studi di Palermo, corredato da fotografie scattate da Giovanni Hänninen agli ultimi gaylesbiantransgender pride. JR

di Lorenzo Bernini

6. Violenze giuridiche su corpi trans. Per affrontare la questione del transgenderismo, occorre affrontare preventivamente la questione della transessualità. I primi interventi di riassegnazione chirurgica del sesso sono stati praticati negli anni cinquanta, e infatti, come già ho ricordato, solo dagli anni cinquanta nella letteratura medica è stata operata la distinizone tra transessuale e omosessuale attraverso quelle categorie di sesso, genere e orientamento sessuale che sono oggi utilizzate anche per definire l’eterosessualità. Si tratta naturalmente di una distinzione che ha le sue ragioni pratiche oltre che teoriche, e che non ho alcuna intenzione di mettere in discussione.

Poco ragionevolmente giustificabile e molto discutibile mi sembra invece l’attuale trattamento giuridico della condizione transessuale in Italia. Un trattamento in cui appare evidente come, ancora nelle nostre società postmoderne, il binarismo sessuale mantenga pesantemente il suo carattere imperativo (il suo punto esclamativo). Come vi dicevo prima, secondo il DSM gay e lesbiche non sono persone malate – fino al 1990 sì, gay e lesbiche erano malati, ma dal 1990 sono tutti guariti! Le persone trans invece sono malate tuttora, affette da disturbo dell’identità di genere. E chi è malato deve essere curato. La cura a cui un transessuale FtM deve sottoporsi prevede assunzione di testosterone, mastectomia (asportazione del seno), isterectomia (asportazione di utero ed ovaie) ed eventualmente falloplastica (ricostruzione chirurgica di un simil-pene). La cura a cui una transessuale MtF deve sottoporsi consiste invece nell’assunzione di estrogeni e di farmaci antagonisti del testosterone, nella rimozione di pene e testicoli ed eventualmente nella mastoplastica additiva (ricostruzione chirurgica del seno) e nella vaginoplastica (ricostruzione chirurgica di una simil-vagina). Vaginoplastica e falloplastica sono interventi molto pesanti, che durano anche 10 ore, e che danno spesso scarsi risultati. La falloplastica nella maggior parte dei casi dà forti reazioni di rigetto: spesso la protesi viene rifiutata dal corpo. La vaginoplastica invece, oltre ad essere un intervento molto invasivo, talvolta va ripetuta perché la vagina artificiale tende a chiudersi (il termine medico è stenosi). Ma soprattutto la vaginoplastica spesso comporta la rinuncia al piacere sessuale.

Fortunatamente nessuno e nessuna è obbligato a sottoporsi a questi trattamenti contro la sua volontà; tuttavia in Italia è necessario sottoporvisi per chi vuole che il proprio desiderio di cambiare genere sia riconosciuto dalle istituzioni. Infatti, secondo la legge 164, del 14 aprile 1982, tuttora in vigore, questi interventi (almeno nella loro forma demolitiva) sono necessari per poter ricevere l’autorizzazione di cambiare il nome sulla carta di identità. Quindi l’identità di genere per lo stato italiano dipende non dal senso di sé di un soggetto, ma esclusivamante da ciò che un soggetto ha tra le gambe, si tratti di un organo genitale naturale o di una sua copia artificiale. Il nostro sistema giuridico risponde quindi a una logica binaria molto rigida: o sei maschio e quindi devi essere uomo, o sei femmina e quindi devi essere donna. Se sei maschio ma vuoi essere donna, il nostro sistema giuridico ti concede di diventare legislativamente donna o uomo solo a patto che tu ti faccia demolire ed evenualmente ricostruire i genitali, anche se probabilmente questo potrebbe farti rinunciare al piacere dell’orgasmo o dare forti reazioni di rigetto, e anche se l’operazione di ricostruzione genitale potrebbe non riuscire affatto.

Non vorrei che le mie parole venissero fraintese: io difendo fermamente il principio secondo cui le persone trans debbano avere il diritto di autodeterminare i propri corpi, anche intervenendo chirurgicamente su di essi se lo desiderano. Ma credo anche che il diritto di autodeterminazione debba includere un’informazione completa e dettagliata sui risultati realmente possibili e soprattutto un contesto istituzionale e legislativo che renda la scelta realmente libera. Le mie critiche non sono quindi in alcun modo rivolte alle persone transessuali, ma sono rivolte alla legge secondo cui il riconoscimento giuridico dell’identità di una persona transessuale deve passare dall’intervento chirurgico. Non è così in tutta Europa: ad esempio in Spagna nel 2007 è stata approvata una legge che afferma il principio secondo cui “il riconoscimento giuridico dell’identità di genere non deve necessariamente dipendere dall’intervento chirurgico di riattribuzione dei genitali”. E già dal 1980 in Germania è prevista quella che vien chiamata “piccola soluzione” (kleine Lösung), cioè il cambiamento dei dati anagrafici senza alcun intervento né chirurgico, né ormonale. La legge italiana, rendendo obbligatoria l‘operazione genitale per il cambio dei documenti, a mio avviso è una legge violenta, che induce le persone ad operarsi per normalizzarle secondo i criteri del binarismo. Un uomo con ovaie, utero e vagina o una donna con testicoli e pene per la legislazione italiana sono soggetti intrattabili.

7. Soggetti intrattabili (1). Il fatto è che questi soggetti intrattabili in realtà esistono, si autodefiniscono transgender, e a mio avviso possono essere assunti come figure esemplari di possibili pratiche di riappropriazione creativa del binarismo sessuale. “Transgender” è un termine polisemico che si è diffuso nel movimento lesbico gay trans in seguito alla pubblicazione, nel 1992, di un libro di Leslie Feinberg intitolato Transgender Liberation. In senso stretto, si definiscono transgender le persone che si identificano con il genere opposto al sesso di nascita ma che scelgono di non sottoporsi alla riassegnazione chirurgica del sesso: si può essere transgender ad esempio vestendo i panni del genere desiderato, scegliendo per sé un nome proprio del genere desiderato, assumendo eventualmente ormoni e modificando alcuni tratti del proprio corpo, ma senza intervenire chirurgicamente, o intervenendo solo parzialmente, sui propri genitali. In senso lato, la categoria può essere estesa anche alle persone transessuali, che sono invece quelle persone che desiderano modificare anche i propri genitali per diventare il più possibile simili al “sesso” di elezione: secondo questa interpretazione “transgender” è un termine di ampio significato che contiene al suo interno tanto il concetto di transessuale, quanto quello di transgender in senso stretto. Ma si definiscono transgender anche persone come Leslie Feinberg, l’autrice/autore di Transgender Liberation, e anche di altri saggi come Transgender Warriors (1996); Trans Liberation (1998), e dei romanzi Stone Butch Blues (1993) e Drag King Dreams (2006) (http://www.transgenderwarrior.org/). Feinberg è nata con corpo femminile e ha avuto in sorte un nome, Leslie, che in inglese è sia maschile sia femminile. Nel tempo ha reso il suo corpo parzialmente somigliante a un corpo maschile, ma non ha voluto completare la transizione verso il sesso maschile, e ha poi scelto per sé un genere intermedio come il suo nome. Oggi lascia ai suoi commentatori la libertà di scegliere il pronome con cui sostituire il suo nome, e al tempo stesso insiste sulla necessità di introdurre nel vocabolario pronomi personali intermedi come “s/he” (she/he) e aggettivi possessivi come “hir” (her/his). “Transgender” indica quindi anche quei soggetti che nel corso della vita hanno sperimentato differenti ruoli di genere, e che collocano la propria identità tra il maschile e il femminile. Un esempio italiano è Porpora Marcasciano, militante del Movimento Identità Transessuale (http://www.mit-italia.it/) e autrice/autore di libri come Tra le rose e le viole (manifestolibri, 2002), Antologaia (Il dito e la luna, 2007), e Favolose narranti (manifestolibri, 2008): Porpora è nata con un corpo maschile che ha in parte modificato per renderlo somigliante a un corpo femminile, e oggi, come Feinberg, usa per sé indifferentemente il genere maschile e femminile.

In un testo del 2004, La disfatta del genere, Butler utilizza il termine transgender per contestare il senso comune (che, come vi ho mostrato, è anche senso medico e giuridico) secondo cui il genere è una conseguenza del sesso. Assumendo la prospettiva genealogica di Foucault, Butler opera un interessante rovesciamento di prospettiva e sostiene che sono le norme di genere a rendere culturalmente significative le differenze sessuali dei corpi, anche le differenze genitali: è il sesso che deriva dal genere, e non il genere dal sesso. Butler si spinge ancora oltre: fin da Scambi di genere (1989) ha sostenuto infatti che nell’ordine simbolico tradizionale il genere è un epifenomeno dell’orientamento sessuale. Al cuore del binarismo sessuale si troverebbe cioè il dogma dell’eterosessualità obbligatoria: sarebbe il dovere dell’eterosessualità a rendere culturalmente significativa le differenze tra i generi, e sarebbe poi l’importanza culturalmente attribuita alle differenze tra i generi a rendere culturalmente significative anche le differenze corporee tra i sessi. Una legge che impone con nettezza il binarismo sessuale, come la legge italiana, rendendo giuridicamente intrattabili i soggetti transgender, secondo Butler sarebbe quindi in ultima istanza riconducibile a una rigida interpretazione del dogma dell’eterosessualità obbligatoria: poiché la norma eterossessista impone che gli uomini debbano desiderare le donne e viceversa, allora è fondamentale che non esistano ambiguità nello stabilire chi è uomo e chi è donna. E affinché non ci siano ambiguità, la norma stabilisce che a decidere siano i genitali: naturali o chirurgicamente ricostruiti. Il fatto è che, in realtà, non è affatto detto che i genitali siano il modo migliore per disambiguare le identità sessuali, e ora vorrei dirvi perché. Vorrei infatti concludere sulla questione dell’intersessualismo, l’altra condizione a cui allude il punto interrogativo del mio titolo, l’altro zoccolo piantato negli ingranaggi della fabbrica moderna della sessualità.

8. Soggetti intrattabili (2). Come ho anticipato, il DSM non comprende l’intersessualismo tra i disturbi mentali, perché l’intersessualismo è una condizione fisica prima che psicologica. Intersessuale è infatti un individuo il cui corpo presenta caratteri intermedi tra quelli maschili e quelli femminili. Secondo le stime statistiche dell’Intersex Society of North America (http://www.isna.org/), nasce intersessuale un bambino ogni duemila. Questo significa che, se la popolazione italiana è stimabile attorno ai 60 milioni di abitanti, le persone intersessuali in Italia sono probabilmente attorno alle 30 mila unità. Ma naturalmente anche se fossero meno, quello che vi dirò non sarebbe meno valido, perché abbiamo detto che gli zoccoli di cui abbiamo assunto il punto di vista, vorrebbero essere trattati secondo la massima di Clemenceau e di Arendt: “l’affare di uno è affare di tutti”. Al di là dei dati statistici, mi sembra infatti che l’intersessualismo, al pari del transgenderismo, possa valere come cartina tornasole per comprendere la violenza insita nel binarismo tradizionale così com’è stato interpretato nelle società tradizionali, e come ancora è interpretato nel nostro ordinamento giuridico. Come le persone transgender, infatti, anche le persone intersessuali sono considerate intrattabili dal nostro sistema giuridico e simbolico, e per questa ragione vengono “trattate” dal nostro sistema sanitario.

Un esempio di intersessualismo, è la sindrome di Klinefelter (cfr. wikipedia), che è l’esito di una variazione genetica: chi ne è affetto non ha due cromosomi sessuali (i canonici XX delle femmine, e XY dei maschi), ma tre: due cromosomi X e un cromosoma Y. Per la presenza del cromosoma Y, i portatori della sindrome, o meglio le persone XXY – come loro preferiscono chiamarsi – sono classificati dalla medicina come maschi. Alla nascita, in effetti, appaiono maschi, ma quando giunge la pubertà non sviluppano i caratteri secondari maschili: non hanno barba, né pomo d’adamo, né spalle larghe, né voce profonda, non sviluppano pene e testicoli di dimensioni “normali”. Hanno invece voce sottile, fianchi arrotondati, spalle spioventi, e spesso sviluppano il seno. Un altro esempio di intersessualismo è la sindrome di Morris (http://www.sindromedimorris.org/): le persone che ne sono affette, geneticamente sono uomini XY, ma, per una incapacità di razione agli ormoni maschili durante la gravidanza, nascono come bambini micropenici con testicoli introflessi. Hanno quindi genitali ambigui: il loro pene assomiglia a una clitoride, ma lo scroto introflesso forma una piccola cavità cieca, che non sfocia in una vagina. Non avendo i testicoli non produrranno mai testosterone, e quindi non potranno in adolescenza acquisire i caratteri secondari maschili. Un altro caso che può essere associato all’intersessualismo è quella che una volta veniva chiamata sindrome adrenogenitale, e che ora si preferisce chiamare iperplasia surrenale congenita (http://www.adrenogenitale.it/): può colpire sia uomini, sia donne, e consiste in un malfunzionamento delle ghiandole surrenali che producono poco cortisolo e poco aldosterone. La conseguenza è un aumento di testosterone, che nelle donne provoca la comparsa di caratteri secondari maschili: peli, barba, voce profonda. Il testosterone agisce anche sulla conformazione dei genitali: le donne affette da iperplasia surrenale congenita presentano spesso una clitoride ipertrofica, simile a un pene, e in alcuni casi una vagina poco profonda e la fusione delle grandi labbra.

Nella storia dell’umanità le persone intersessuali sono state celebrate da miti e leggende (pensate a Ermafrodito e a Tiresia), ma sono anche state ampiamente perseguitate. Nel 1978 Foucault ha curato la pubblicazione delle memorie di Herculine Barbin, detta Alexina B., un intersessuale francese vissuto nell’Ottocento. Nelle memorie si legge che ad Herculine Barbin, soprannominata Alexina, alla nascita fu attribuito il sesso femminile. Fu quindi educata come una bambina, in un convento. Con l’adolescenza scoprì di essere attratta dalle compagne, si innamorò di una di esse e ne divenne amante. Per questo fu processata, e la sentenza decretò la sua trasformazione legale in uomo, stabilendo che il suo vero sesso fosse quello maschile, e che i medici che l’avevano visitata da neonata avessero commesso un errore: in una società dominata dal dogma dell’eterosessualità obbligatoria, se un soggetto si innamora delle donne, allora è un uomo. E se è un uomo, allora deve essere anche biologicamente maschio. Così Alexina fu costretta a indossare abiti maschili – e si suicidò.

9. Violenze chirurgiche su corpi intersessuali. Nel caso ottocentesco preso in esame da Foucault, quindi, le autorità mediche cercarono nel corpo intersessuale di Alexina, e soprattutto nella sua biografia, i segni del suo “vero sesso”. Invece a partire dalla metà del Novecento, da quando si è iniziato a praticare interventi di riassegnazione genitale, negli Stati Uniti e in Europa, e in buona parte del mondo, i medici hanno iniziato a intervenire direttamente sul corpo delle persone intersessuali, normalizzando chirurgicamente poco dopo la nascita l’aspetto dei genitali ambigui, e in seguito modificando i caratteri sessuali secondari con terapie ormonali. Questo avviene abitualmente anche in Italia. Anche in questo caso, la mia intenzione non è di negare, ma al contrario di difendere il diritto delle persone intersessuali a modificare chirurgicamente il proprio corpo e ad assumere ormoni in modo da adeguare il proprio corpo alla propria identità. Ma la mia intenzione è anche quella di contestare la normalizzazione forzata delle persone intersessuali, denunciando il fatto che il sistema giuridico italiano da un lato impedisce a persone transgender maggiorenni di cambiare genere sui documenti a meno che non si sottopongano a un intervento chirurgico, e dall’altro permette a genitori e medici di intervenire chirurgicamente sul corpo di minorenni o peggio ancora di infanti per “normalizzarli” secondo i dettami del binarismo sessuale. Non è così in tutto il mondo: in Colombia è vietato intervenire sui genitali ambigui di persone che non abbiano ancora raggiunto l’età del consenso. E a me sembra una legge giusta: perché questi interventi chirurgici e queste prescrizioni di ormoni, se sono praticati su neonati incapaci di scegliere sulla propria identità e il proprio corpo, oppure se sono presentati come cure necessarie o come unica scelta possibile a degli adolescenti in situazione di grave disagio emotivo, altro non sono se non mutilazioni genitali e corporee dettate dal dogma del binarismo sessuale. L’occidente grida giustamente allo scandalo di fronte all’infibulazione che viene praticata in alcuni paesi islamici africani; ma farebbe bene a farsi un esame di coscienza e a proibire una volta per tutte le mutilazioni genitali che vengono praticate nei propri ospedali.

Vorrei farvi un esempio: la storia di Cheryl Chase, la fondatrice (nel 1993) dell’Intersex Society of North America. Nata con genitali ambigui, fino a 18 mesi è stata cresciuta come un bambino. Poi i medici hanno detto ai suoi genitori che si trattava in realtà di una bambina, e che bisognava quindi procedere all’asportazione della pronunciata clitoride. A 8 anni è stata operata di nuovo per rimuovere ciò che in seguito ha saputo essere la porzione testicolare delle sue ovaie-testicoli. Oggi vive come una donna lesbica, ma le operazioni subite l’hanno privata della sensibilità clitoridea e della risposta orgasmica, proprio come succede alle donne infibulate in Africa. Il caso di Cheryl Chase dimostra quindi che la logica con cui questi interventi vengono praticati spesso non è il rispetto degli interessi soggettivi, come il mantenimento della possibilità di provare piacere, ma l’obbedienza a un imperativo di normalizzazione.

Secondo questo imperativo, alla nascita un pene non deve misurare meno di 2,5 cm; e una clitoride non deve essere più grande di 0,9 cm. Bambini con membri tra 0,9 e 2,5 cm sono quindi considerati inaccettabili e bisognosi d’intervento chirurgico. La maggior parte degli intersessuali viene fatta diventare donna semplicemente perchè è più facile costruire una simil-vagina piuttosto che allungare un micropene. Così ad esempio, le donne affette da sindrome adrenogenitale subiscono un intervento di “apertura” della vagina e di “accorciamento” della clitoride, anche a costo di perdere la sensibilità clitoridea. Ma anche chi ha la sindrome di Morris, pur essendo genotipicamente maschio (XY), a causa della micropenia e dei testicoli introflessi viene ricondotto al genere femminile: si accorcia il pene, si pratica una vaginoplastica, si prescrivono estrogeni. Un uomo diventa così una donna dotata di una similvagina a rischio di stenosi, che spesso va rioperata nel corso degli anni. Sembra che i medici non abbiano dubbi: è meglio essere una femmina imperfetta piuttosto che un maschio imperfetto – forse perché il regime del binarismo sessuale è un regime maschilista, in cui le donne sono considerate imperfette per natura.

A chi è affetto da sindrome di Klinefelter, invece, una volta giunto all’età dell’adolescenza, i medici “prescrivono” la mastectomia (l’asportazione del seno) e la somministrazione di testosterone. L’assunzione dell’ormone provoca la comparsa di caratteri secondari maschili (barba, peli, voce profonda) ma provoca anche cambiamenti caratteriali nella sfera della libido e dell’aggresività che in alcuni casi possono produrre profondo turbamento e perdita del senso di sé. Non sono poche nel mondo le persone XXY che rifiutano questo trattamento forzato: alcune scelgono la strada della femminilizzazione, altre rivendicano per sé il diritto di essere semplicemente quelle che sono – di mantenere il proprio corpo intersessuale e la propria personalità ipodesiderante – (si veda, a questo proposito, la testimonianza di Michael Noble), ma tale diritto, di solito, viene loro riconosciuto con grande fatica dai medici con cui hanno a che fare.

10. Il sabotaggio del binarismo: le teorie transgender. Di fronte a questi fatti, credo che sia facile intuire come le teorie transgender, che mettono in discussione la rigidità del binarismo sessuale dichiarando la possibilità che un’identità abiti uno spazio intermedio tra il genere maschile e quello femminile, possono diventare uno strumento prezioso per rinnovare il nostro ordinamento giuridico, per rendere più vivibile la vita delle persone intersessuali e trans (transessuali o transgender), e per allargare la gamma delle definizioni identitarie disponibili per tutti.

Transgenderismo e intersessualismo sono condizioni psicologiche e fisiche prodotte dalla logica binaria del dispositivo moderno della sessualità e rese intelligibili dalle sue categorie. Non rappresentano pertanto un “oltre” del binarismo, perché non negano il fatto che la sessualità degli umani, così come riusciamo a pensarla oggi, si dia tra gli estremi del maschile e del femminile. Però la presa di parola di soggetti transgender e intersessuali, la loro rivendicazione di una piena umanità, può provocare un dislocamento del binarismo sessuale, un suo sabotaggio che potrebbe portare a un suo migliore funzionamento. Dare ascolto ai soggetti transgender e intersessuali significa infatti disporsi ad accettare che la sessualità non si esaurisce in un’alternativa rigida e netta tra il maschile e il femminile, ma si configura come una gradazione tra il maschile e il femminile ricca di sfumature. Guardare alla fabbrica moderna della sessualità assumendo il punto di vista di quegli zoccoli difettosi che si trovano piantati e stritolati tra i suoi ingranaggi, induce a concludere che all’interno di quel continuum tra maschile e femminile che è la sessualità umana, ogni essere umano dovrebbe avere il diritto di scegliere dove collocare il proprio corpo e la propria identità. Senza condizionamenti e pregiudizi, ognuno dovrebbe avere il diritto di sperimentare quale sia la collocazione che più gli risponde – quella da cui potrà trarre maggior piacere.

Testo di Lorenzo Bernini (lorenzo.bernini@unimi.it)
Foto: © Giovanni Hänninen< 2008 all rights reserved.

leggi anche la prima parte

Link:

1. Istituzioni accademiche e associazioni politiche:

http://www.unipa.it/~articom/html/dottorato/dott_quadro.html

http://www.isna.org/

http://isole.ecn.org/agaybologna/modules.php?name=News&file=article&sid=167

2. Gruppi di supporto

http://www.mit-italia.it/

http://www.sindromedimorris.org/

http://www.adrenogenitale.it/

http://www.malattie-rare.org/arfsag.htm

3. Persone e testimonianze:

http://www.transgenderwarrior.org/

http://en.wikipedia.org/wiki/Cheryl_Chase_(activist)

http://www.ukia.co.uk/voices/mnoble.htm

http://www.dellagracevolcano.com/

http://www.liberazione.it/a_giornale_index.php?DataPubb=14/02/2008

http://www.liberazione.it/a_giornale_index.php?DataPubb=15/08/2008

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7 Commenti

  1. Forse per mia esclusiva ignoranza, ma trovo questa lezione assolutamente illuminante. L’adeguamento delle forme sociali, dalle istituzioni giuridiche alle relazioni interpersonali, a una realtà che finalmente si scopre complessa passa innanzitutto attraverso il riconoscimento e l’acquisizione di un lessico. “Binarismo sessuale” e suo possibile “sabotaggio” sono locuzioni che aprono il campo a un ampliamento del modo di essere e di pensare, ma soprattutto alla necessità di una battaglia per l’attribuzione di diritti “nuovi”, nel senso comune e nel sentire normativo. Stando le cose come stanno oggi in Italia, sarà una battaglia estenuante, ma perché abbia fine (positivamente) occorre che incominci.

  2. Conoscere una sola di queste storie di sofferenza dovrebbe farci riflettere su quanta delicatezza bisogna usare con la sfera privata di ogni essere umano. E fare di tutto perché nessuno debba soffrire oltre per la stupida ignoranza di chi ci governa.

  3. Articolo molto bello e importante. Concordo in pieno e calorosamente sulla violenza normativa della norma bipolare, di cui non siamo sufficientemente coscienti. Sono scettico però di fronte alla tiepida conclusione, che riconduce i buoi in un tacito (ma perché mai?) essenzialismo della polarità uomo/donna. “Transgenderismo e intersessualismo sono condizioni psicologiche e fisiche prodotte dalla logica binaria del dispositivo moderno della sessualità e rese intelligibili dalle sue categorie”: perché mai questo dispositivo (che è performativo, se seguiamo Butler) non dovrebbe essere esso stesso decostruito (non sabotato, che è ancora un modo di dire che c’è una norma e un’antinorma), giacché è storicizzabile: lo mostra il ruolo ben diverso assunto dall’ermafroditismo in altre epoche e in altre culture! Il fatto stesso che si parli di “Sindrome di Klinefelter” indica già una medicalizzazione, pesantemente sostenuta proprio dalla ISNA (Intersex Society of North America) che ha militato – sicuramente in buona fede – affinché al concetto di intersessualismo si sostituisse il quello di “Disorder of Sex Developement”. La patologizzazione è un gesto culturale (cfr. Devreux) con ricadute politiche (medico-legali, lo si vede bene dall’articolo) e dovrebbe spaventarci in un’epoca di velato eugenetismo. Forse esagero: ma, senza voler essere nominalista, mi dico che le parole producono segregazione, tracciano limiti tra sano e malato, savio e folle, interno e esterno…. L’affermazione che chi si colloca in un altrove psicofisico sia uno “zoccolo difettoso” significa che di lui.lei possono “essere corretti”, visto che l’anomalia è riscontrabile in un esame del DNA pre-natale: la testimonianza di un intersex – in un recente numero del semestrale “Nouvelles questions féministes” (n. 1, 2008) dedicato all’intersessualismo – mi ha messo in brividi: “siamo una specie in via di estinzione” dice l’autore.trice di questa testimonianza (pensando agli esami genetici prenatali). Quando un essere umano deve parlare delle propria identità come specie, mi sento mancare l’umanità sotto i piedi. Un giorno abortiremo la differenza in nome della felicità (quella stabilita per norma culturale)? E’ tardi, scusate, forse mi esprimo in modo confuso… ma quello della depolarizzazione (non solo uomo/donna, ma anche omo/etero, penentrante/penetrato.a, ecc.) è una questione veramente cruciale. Sono molto grato a Bernini per la forza, completezza e pertinenza del suo intervento, ma sarei più radicale nelle conclusioni. P.S. piccola nota tecnica: se l’intersessualismo è fisicamente attestato in un bambino su 2000, il cromosoma XXY è presente in un bambino su 600…

  4. ringrazio tutti per i generosi commenti, soprattutto pierre che mi consente di fare qualche precisazione.
    non ho affatto inteso difendere una posizione essenzialista né medicalizzante. ho usato il termine “zoccoli difettosi” non per alludere a un difetto genetico o ontologico o morale, ma solo per indicare delle identità che vengono prodotte dal dispositivo binario della sessualità (che è culturale, non essenziale) per essere scartate – il difetto è solo inteso dal punto di vista di quella cultura che intendo contestare.
    se conoscete il pensiero di Mario Mieli, che ha avuto una certa importanza nel movimento gay antagonista italiano, ricorderete che – richiamandosi a Marcuse – Mieli propagandava una rivoluzione sessuale che avrebbe avuto come esito la liberazione di quella che chiamava “transessualità originaria” (reinterpretando a suo modo il concetto già presente in Freud di polimorfismo perverso come forma originaria della sessualità). L’esito della rivoluzione sessuale, insomma, per Mieli sarebbe un ritorno all’origine – la fine della storia sarebbe già scritta nel suo inizio: e questo inizio sarebbe costituito da una forma della sessualità non determinata dal binarismo e uguale per tutti.
    seguendo tutt’altri sentieri teorici, una certa vulgata queer contemporanea oggi propaganda un superamento radicale del binarismo sessuale che avrebbe come esito l’acquisizione per ogni essere umano di una sessualità queer, cioè mobile, indefinita, instabile.
    Nel mio intervento, quelle che possono sembrare posizione “tiepide” sono volte a contrastare proposte teoriche di questo tipo, che finiscono per imporre una soluzione universale che dovrebbe essere valida per tutti. Proprio perché non sono essenzialista, proprio perché non credo nell’esistenza di una natura sessuata umana uguale per tutti, proprio perché credo che il desiderio e l’identità si sviluppino in relazione a significanti culturali che vengono interpretati in modo personale da ogni individuo – proprio per queste ragioni ho difeso la possibilità di mobilitare le categorie del binarismo sessuale in modo liberatorio senza imporre un loro superamento. intendo dire: il fatto che oggi interpretiamo quello che siamo attraverso quelle categorie, non è meno reale del fatto che quelle categorie agiscano su una presunta natura umana che nessuno conosce. il fatto che una persona transgender si collochi in una posizione intermedia tra il maschile e il femminile, o che una persona queer possa definirsi né maschio né femmina, né etero né omosessuale, è comunque un fatto reso pensabile attraverso quelle categorie, seppur utilizzate attraverso la loro negazione.
    Piuttosto che immaginare un “oltre” uguale per tutti, prefrisco difendere qui ed ora la possibilità per tutti di essere rispettati nella loro dignità umana: queer, trans, omo, etero, intersex…
    Ad esempio: io non ho alcun problema di fronte a un mio amico che mi dica “io sono un uomo eterosessuale”, e credo di non aver alcun diritto di pretendere da lui un’abiura del suo desiderio (!): però da lui pretendo che rispetti le donne e le minoranze sessuali, che per lui essere uomo non equivalga a essere maschilista.
    Credo che sia possibile essere libertari e tolleranti anche senza dover rinunciare alla proprie identità, vivendo qui e ora la contraddizione di quello che siamo, accettando la dipendenza dei nostri desideri dalla cultura in cui siamo inseriti. Chi è queer e non sente il bisogno di definire la propria identità, chi può scegliere ogni mattina di vestire indifferentemente abiti maschili o femminili, chi desidera indifferentemente uomini e donne, ecc. dovrebbe avere tutto il diritto di farlo: ma non imponga il suo desiderio come quello che tutti dovrebbero seguire in nome di un’ideologia decostruzionista!
    A dire il vero non credo che la mia sia una posizione moderata conservatrice, e credo anzi che sia l’esito più sensato e radicale del decostruttivismo inteso in senso non assolutizzante né ideologico. Per fare un altro esempio: non vedo nulla di scandaloso in una coppia gay in cui uno dei partner è prevelentemente attivo e l’altro passivo, purchè sia una “scelta” che rispetti il desiderio di entrambi. Come non sono affatto turbato da quelle coppie lesbiche in cui vige una polarità butch-femme: che diritto avrei di dire loro “siete sbagliate! state ricalcando un modello binario!”. Se quello è il loro modo di essere coppia, se stanno bene così e si sono trovate, perché dovrei essere io a imporre loro una decostruzione? Lo scopo delle lotte di liberazione non credo debba essere l’imposizione di una nuova norma morale, seppur fondata su un’ideologia decostruttiva, ma la possibilità di ricercare piacere e felicità nel modo più consono al proprio desiderio (anche nella consapevolezza che il desiderio è culturalmente costruito, e che quindi può sempre essere messo in discussione).

    Lo stesso ordine di argomenti mi conduce anche a rispettare le associazioni trans e intersex quando scelgono di non contestare ma di accettare la medicalizzazione dei propri corpi. Quando non vengono imposte, ma vengono scelte, credo che l’operazione di riassegnazione chirugica del sesso e le operazioni plastiche per modificare i tratti sessuali secondari dovrebbero essere un diritto. Un diritto che però ha dei costi medici elevati, che in america le assicurazioni sono disposte a pagare solo nel caso in cui si tratti di interventi motivati da una “malattia”. Qualcosa di simile accade per il nostro sitema sanitario nazionale… Quindi andiamoci piano con il giudicare, e prima ascoltiamo la voce dei diretti interessati, e cerchiamo di interpretarla nel contesto in cui viene espressa: non sovradeterminiamo i soggetti con l’ideologia, e lasciamo loro la parola. tenete anche presente che in alcune delle sindromi a cui è associata l’intersessualità, la mancata o scarsa produzione di ormoni comporta problemi di salute gravi. Un soggetto che non produce ormoni rischia un invechiamento precoce degli organi, e quindi una vita molto breve. Il fatto è che, se una persona volesse mantenere il proprio corpo intersessuale, potrebbe far richiesta di assumere ormoni sa maschili sia femminili – ma questa è una scelta generalmente non contemplata dai medici “curanti”…

  5. Grazie Lorenzo, mi sembra molto chiaro. E’ probabilmente anche la prospettiva decostruzionista – che prima era implicita nel tuo articolo – è in questo orizzonte utile per evitare di ideologizzare il relativismo (o di universalizzare il particolare, come diceva già Bourdieu nel suo annesso omo alla “Domination masculine”). In fondo è un modo per “pensare la genealogia strutturata dei suoi concetti nella maniera più fedele e interna possibile, ma anche da un certo al di fuori, che essa non può più qualificare e nominare, [che] diventa un determinare ciò che tale storia ha potuto dissimulare o interdire, quando si è fatta storia” (Culler). Direi dunque che gli zoccoli, più che essere “difettosi” sono “differenziali” (con la a;-) o magari – visto che sei dichiaratamente un foucaultiano – eterotopici. Ma questo lo lascio a te che sei un filosofo! Grazie per la bella discussione, ciao!

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jan reister
jan reisterhttps://www.nazioneindiana.com/author/jan-reister
Mi occupo dell'infrastruttura digitale di Nazione Indiana dal 2005. Amo parlare di alpinismo, privacy, anonimato, mobilità intelligente. Per vivere progetto reti wi-fi. Scrivimi su questi argomenti a jan@nazioneindiana.com Qui sotto trovi gli articoli (miei e altrui) che ho pubblicato su Nazione Indiana.
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