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Abdul, diciannove anni

di Gianni Biondillo

Non è per le merendine. E neppure per la spranga, o il colore della pelle. È l’età. Non si può morire a diciannove anni, non c’è nessuna ragione valida, neppure fossimo in guerra. A diciannove anni sei immortale, uccidere un ragazzo è come sfidare gli dei. Temo il giudizio del cielo su tutti noi, ho paura a concepire cosa siamo diventati.

Perché quello che ha fatto Abdul, quella sera, è la classica ragazzata che tutti noi alla sua età abbiamo fatto, ma a morire sotto i colpi della spranga – parola che di suo mi ricorda l’odio scatenato fra i giovani trent’anni fa – c’era lui. Non so neppure dire se è stato, in senso stretto, un omicidio a sfondo razzista. I giudici, con la fredda tassonomia della legge, dovranno sbrogliare la matassa. Di primo acchito sembra il classico omicidio d’impulso, anche se, come è stato fatto notare, laddove il colore della pelle di Abdul fosse stato differente, siamo sicuri che la reazione dei due baristi avrebbe avuto la stessa ferina violenza?

Perché è questo il vero non detto. Il razzismo è come una punta di sale che si scioglie lentamente nel bicchiere della società. Ogni giorno i giornali, la televisione, la politica, l’economia, ne aggiunge un pizzico. Non ce ne accorgiamo ma stiamo sempre più creando l’humus affinché attecchisca del tutto, affinché tutti noi si beva acqua inquinata come fosse di fonte, intossicandoci definitivamente. La Storia non insegna nulla: quello che sta accadendo in Italia è già accaduto in altre parti del mondo, ma noi non abbiamo saputo farne esperienza. Il corpo vivo della nazione ha bisogno di queste ferite, sempre più crudeli, per trovare il modo, la maniera di cauterizzarle. Ha bisogno del veleno per immunizzarsi. Ma attenzione a non esagerare: superata la soglia non c’è ritorno, c’è solo la barbarie. Lo dico con profonda tristezza, ma so già che dovremo aspettarne altre di notizie così. Sarà terribile, sarà ingiusto, sarà crudele. Oggi, forse un po’ pelosamente, ancora ci si indigna. Ho timore di quando queste notizie passeranno in seconda categoria, di quando ci lasceranno indifferenti, quando diverranno trafiletti in fondo alla pagina.

Con Abdul il solito cinismo dei media non ha perso tempo: dopo tutti quegli extracomunitari assassini, che in fondo non sono una novità, la morte di un nero per mano di due italiani, quasi per par condicio, sembrava come quella dell’uomo che morde il cane. Una notizia. E quanto m’ha disturbato l’insistere sul fatto che Abdul fosse cittadino italiano, come a dire che che fosse stato straniero era, in fondo, meno grave. Ma il suo assassino non gli ha chiesto la carta d’identità mentre lo inseguiva, non l’ha riconosciuto come suo simile. E così avremmo fatto tutti noi: non vogliamo riconoscerli i nostri nuovi concittadini, non li vogliamo legittimare come tali. Preferiamo quasi accettare l’enormità di un omicidio per futili motivi – ché il furto in sé lo è, non solo quello di una merendina – quasi giustificandolo: i proprietari del bar credevano fosse stato rubato l’intero incasso, è stato detto. Come se questo potesse motivare la violenza cieca.

Ho pietà per i due uomini in carcere, vittime dell’odio inoculato, giorno dopo giorno sotto la pelle di tutti noi, là dove l’epidermide non ha colore e il sangue è rosso per tutti. Mi auguro che paghino, come è giusto. Ma non crediate che pagheranno anche per noi, non crediamoci immunizzati. Di Abdul, invece, non riesco neppure a parlare, ammutolisco di fronte alla sua gioventù perduta. “Mi sono sentita negra per la prima volta nella mia vita”, ha detto la sorella, in lacrime. Io, a leggere di Abdul, mi sono sentito bianco per la prima volta. Ed ho avuto paura.

[pubblicato su Grazia n. 39 del 29.09.2008]

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64 Commenti

  1. Caro Gianni, cari tutti,
    indignazione, scoraggiamento, rabbia (ma rabbia stanca, senza pulsioni, senza speranze). E’ difficile esprimere il viluppo di sensazioni, la desolazione che mi prende in questi giorni.
    Abdul : 19 anni. Daniele (credo si chiami così il ragazzino morto ieri a Sesto): 14 anni. Ma non è solo l’età, i biscotti, il colore della pelle, la spranga, il corpo bruciato di un ragazzo. Non è solo questo.
    A farmi sprofondare sono le nostre (dico nostre anche di noi illuminati progressisti) reazioni molli, inutili, futili. Sono un pendolare (due ore andata, due ore ritorno, tutti i giorni, dal lunedì al venerdì,
    su pullman, metrò, sulle vecchie nord di Milano), così sento le discussioni della gente comune (di noi tutti)
    e tremo di indignazione (ma non reagisco). Così di Abdul si dice che sì la reazione dei due è stata esagerata, che sì non è giusto ammazzare,
    ma poi, diciamocelo, cosa ci faceva quello liì in stazione centrale alle sei del mattino! già, penso io, cosa ci faceva fuori di sera a quell’ora.
    mi viene in mente Bianciardi, nella Vita Agra, arrestato (solo arrestato, erano gli anni sessanta) perchè strascicava i piedi.
    Mio caro dottore, ma anche lei, cosa ci faceva in strada a strascicare i piedi?
    Non lo sopporto e ho paura.
    Paura per mio figlio di 2 anni e mezzo (e per quello che ora porta in pancia mia moglie), ho paura per loro.
    Non voglio che debbano crescere qui e così con un cognome terrone, poi, che arriva dal nonno cilentano, che arriva da me, nato qui , nel profondo nord, in questo schifo
    (che è lo stesso schifo che trovo anche nel sud, se è per questo.)
    Pasolini nel 1961chiudeva così Alla mia nazione:” Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.” Questo verso mi torna in mente spesso in questi giorni, come un loop, come una canzone
    che vorresti scacciare ma che rimane lì, sempre, fra le tempie.
    Poi penso che il mondo in fondo non è tanto diverso da qui.

    Scusate lo sfogo.

    Caro Gianni,
    è sempre un piacere leggerti, sentirti fratello (se permetti tanta confidenza, ovviamente)

  2. Gianni ha sempre un’incredibile capacità ti togliere i veli su parti oscure della nostra anima e della realtà in cui viviamo. Curiosità e paura insieme mi prendono quando leggo i suoi articoli, sapendo che in un modo o nell’altro mi porterà al centro delle cose, là dove ogni cosa fa male e dove, a volte assopito e stanco, il nostro cuore batte ancora. A guardare la foto di Abdul, così giovane, quasi bambino, mi viene un nodo in gola. Gianni trova le parole anche per chi, come me, non riesce a fare altro che restare in imbarazzato e impotente silenzio. Grazie.

  3. Bene, Gianni, e mi pare importante che questo articolo sia stato pubblicato su una rivista come Grazia.

    Dici “Non so neppure dire se è stato, in senso stretto, un omicidio a sfondo razzista”.

    Il razzismo c’è, sicuramente, come poi tu argomenti. Ma capisco il dubbio: in effetti parlare di razzismo è qualcosa di nobile, ormai tanti gesti quotidiani non hanno nemmeno la nobiltà di una ideologia qualsiasi, ancorché la più becera. Al confronto il razzismo nazista era l’università, mentre questi sono analfabeti. Mi viene in mente l’espressione usata da “Il primo amore”: cattiveria. Che mi pare un modo per dire un degrado antropologico, la cui soluzione può essere innanzitutto culturale.

  4. La vicenda di Abdul – dici proprio bene Gianni – dimostra che quella punta di sale del razzismo viene sciolta nel bicchiere della società con drammatica determinazione. Il processo di fascistizzazione cui è sottoposta la società italiana in questi mesi è allarmante. Sarei apocalittico se non fosse per quella speranza che ancora nutro in chi scrive e in chi legge.
    ps per Gianni Biondillo… bellissimo italiano puliito e antiretorico

  5. Grazie a Gianni Biondillo per queste parole che vanno dritte al cuore senza retorica, con la semplicità dei sentimenti sinceri unita la valore di una lingua italiana chiara e bellissima. Anch’io vivo queste vicende terribili con un profondo senso di dolore e di amarezza per quello che vedo e sento in giro. Il razzismo e la mancanza di solidarietà sono ormai pane quotidiano, nutriti da una mala informazione: come fa notare Biondillo l’odiosa pratica in uso in TUTTI i tg di specificare la cittadinanza, l’appartenenza di una vittima o anche di un criminale, rende ancora più osceno il modo di porre la notizia. E’ molto triste assistere a tutto questo e, purtroppo, a molto altro che avvelena la nostra società e cerca di renderla impermeabile ai sentimenti più veri. L’unica cosa che mi conforta e allevia il senso di impotenza, è vedere e soprattutto leggere l’indignazione e la volontà di non restare in silenzio davanti a cose del genere: il potere della parola, per fortuna, è ancora vivo e può colpire nel segno. Continuiamo a far sentire le nostre voci.

  6. A Primo Piano la sera stessa ho sentito un commento di un leghista che a memoria così riporto : “Il delitto non e’ a sfondo razzista perche’ si e’ dimostrato che il ragazzo era un cittadino italiano”.
    Come dire che e’ stato ammazzato non in quanto negro ma in quanto ladro di biscotti!

    Prima che anche la parola razzista perda il suo accento negativo, tocca fare qualcosa: anche solo inalberarsi a tutti i discorsi da bar che si sentono in giro, gia’ sarebbe un passo avanti.

  7. temo non c’entri il non riconoscimento dei nuovi con-cittadini.
    questo è razzismo allo stato puro.
    non c’è niente di etnico, è odio e disprezzo razziale, tipo alabama anni trenta.
    i negri (dire neri o negri è la stessa cosa, per me) sono inferiori in quanto tali.
    italiani e non.
    viviamo in un paese di destra governato da una coalizione di centro-destra che annovera un partito apertamente razzista che detiene il ministero dell’interno, dove NON ESISTE PIU’ una sinistra che lotti per i diritti dei deboli, per quelli civili, per una società più giusta (mica lenin).
    nella situazione attuale questa mancanza è la cosa più pericolosa che ci sia.
    per quanto riguarda le mie percezioni, ma non solo le mie, una nuova forma di fascismo è già qui, si sta auto-installando anche nella mente di molti intellettuali e di molti democratici.

  8. Purtroppo la differenza tra “negro” e “nero” c’è, non tanto “linguisticamente” parlando (capisco qui l’affermazione di Tashtego) quanto per l’impatto che l’uso del termine (appellativo) “negro” ha nella percezione d’esso da parte della persona di colore… si tratta quindi di “delicatezza” fare una scelta del termine da adottare.
    ma qui proprio di delicatezze non si parla neanche lontanamente, e sono amaramente d’accordo sull’analisi politico-sociale fatta da Tashtego.
    Manca, assolutamente manca una sinistra che rappresenti e dia voce alle classi deboli (che tali non vogliono sentirsi, scimmiottando a rate le abbienti = vedi rintrucillimento da trentennio pubblicitario e televisivo), che sia in grado di analizzare e proporre in modo semplice e chiaro, sbattendo sul tavolo delle trattative questioni in materia di diritto civile e morale… etc. MANCA.
    e la destra fascistoide dilaga. eccome!

  9. “E così avremmo fatto tutti noi: non vogliamo riconoscerli i nostri nuovi concittadini, non li vogliamo legittimare come tali.”

    Io no. Io sono molto curioso di conoscerli. (E non credo solo io.) Ed è qualcosa di abbastanza entusiasmante. Oggi sulla metro, due ragazze dai tratti asiatici, probabilmente di famiglia cinese. Due tipiche studentesse sui sedici anni, curate, truccate, iper vivaci. Passavano dal cinese all’italiano in continuazione. Che figata! Io che non so una parola di cinese, e che difficilmente potrei dilungarmi in una conversazione con un cinese di prima generazione dal vocabolario italiano limitato, mi potrò trovare presto a contatto con giovani, che in italiano, potranno raccontarmi del loro nonno cinese, del villaggio di provenienza dei loro genitori, delle diverse mentalità in famiglia. Ricchezza. Un nuovo pezzo di mondo annesso all’Italietta stretta: respiro.

    Sul pezzo di Gianni, d’accordo. Giustissima la notazione sul trattamento mediatico da par condicio. Per il resto però la situazione è ben più nera. E lo diciamo da tempo anche su NI: hanno fatto un lavoro sistematico e a tappeto, i politici, con piena complicità della stampa: ora il razzismo è già nella fase attiva, di presupposto ideologico che precede e legittima certi comportamenti, fino al linciaggio.

    Indignati ci siamo già indignati e ci indignamo. Quale capienza d’indignazione ha il mio senso morale? Non lo so.

    So che qui bisogna passare al contenimento attivo nel razzismo. A parteire dal proprio quotidiano. io non lascio più passare in luoghi pubblici certe frasi, sopratutto se pronunciate nelle mie vicinanze. Intervengo sempre, puntualmente, scasso il cazzo. Mi farò menare prima o poi. Non mollo l’osso.

    Infine: pietà per chi ammazza a sprangate? Io ci provo. Ma anche qui, il senso morale ha i suoi limiti…

  10. Grazie a tutti per i commenti.

    Andrea: io neppure, ovviamente. Ma il fatto che io sia l’unico padre che stringe la mano, fuori dalla scuola, ai papà srilankesi o cinesi in attesa dei figli dice qualcosa. E comunque “tirarci fuori” non basta. L’intellettuale italiano s’è sempre “tirato fuori”, distinto, dal popolino bue. Nella merda ci siamo tutti.
    Stampa, politica, televisione, economia: nessuna pietà.
    I due che hanno ucciso Abdul sono due coglioni che, come è giusto, meritano di pagare per quello che hanno fatto. Una parte di me, però, ha pena di loro. Ma soprattutto non voglio che diventino la scusa per lavare la coscienza a tutti gli altri.

    Non leggerò i commenti fino a domani pomeriggio. Ciao.

  11. Comunque Gianni qui nessuno si vuol “tirar fuori”. Anzi, ci siamo dentro. Ma esserci dentro non vuol dire né stare zitti né fare il coro. Starci dentro vuol dire anche rischiar le botte, perchè non ti fai gli affari tuoi.

  12. Ecco la sinistra italiana. (ve lo dico da uno che si reputa di sinistra). Appena uno fa un discorso più che condivisibile qualcun altro si butta più a sinistra. Biondillo fa un evidente artificio retorico, dice “NOI” non legittimiamo i nuovi cittadini e Inglese subito: “io sì!”
    Ma in quel “noi” Biondillo evitata proprio questo. Il dire: io legittimo, perché sono migliore del resto degli italiani.
    Mi pare che in posti come questo, da quel poco che conosco Nazione Indiana, non occorra dover specificare che “Starci dentro vuol dire anche rischiar le botte, perchè non ti fai gli affari tuoi”, mi pare che qui tutti si diano da fare, allora perché ribadirlo in quel modo?
    Tra l’altro ho appena finito di leggere il libro di Biondillo (sono qui sul vostro sito perché cercavo cose sue in rete) “Metropoli per principianti” e il suo viaggio nei campi rom di Milano la dice lunga di come lui si muova davvero in mezzo alle diversità, non solo a parole (a meno che non abbia inventato tutto!!!).
    Quando dice “noi” ci ricorda che se “gli altri siamo noi” lo sono non solo i marginali che più ci piacciono ma anche quelli che non ci piacciono. Ecco perché (immagino) prova pietà per quei due assassini.
    (ma quando erano i compagni a sprangare i fascisti, quelli andavano sprangati?)

  13. A Tashtego una domanda: non capisco cosa vuoi dire… ti è sembrato che qualcuno abbia inneggiato alla spranga rossa?

  14. @vito, inutilmente
    spostare il discorso sempre su altri piani mi sembra sciocco e improduttivo: non si tratta di diversità, ne di alterità, né di antagonismo politico.
    si parla invece di razzismo, che è cosa a sé, profonda, infida, pervasiva, da cui nessuno è esente, verso la quale occorre un lavorio culturale, politico e oppositivo incessante.
    gli scontri tra estremisti non c’entrano nulla.
    secondo me.

  15. a Piero
    non riesco a capire il riferimento alle sprangate dei fascisti. Non mi appartiene. O per artificio retorico, devo accollarmi le sprangate dei fascisti e anche le torture dei carcerieri stalinisti solo perchè mi ritengo di sinistra?

    Sul “noi” e sull'”io”. Conosco abbastanza bene Gianni Biondillo per sapere che non è certo lui che non legittima i nuovi cittadini italiani. Ma sono anche stufo di quel “noi” retorico, che diventa anche fatalistico. Dell’antropologia del razzismo possiamo anche parlare per ore, e non sarà certo inutile. Ma qui, in Italia, abbiamo parti di governo che legittimano il razzismo più bieco. E rispetto a questo qualsiasi cosa noi si faccia, per ora, non sarà ancora abbastanza. Oggi tocca al nero e all’omosessuale, domani a me per le mie idee, o a un persona qualsiasi che cerca di difendere il posto di lavoro. Per me non si tratta di essere migliore, si tratta di non essere complice. E’ la decenza. E neanche questa oggi è facile.

  16. Un bell’articolo, come sempre con Blondel.

    Ma il razzismo qui c’è sempre stato. Mi ricordo alle elementari. Il mio maestro, di origine pugliese, mi umiliava di fronte alla classe per il mio accento – leggermente meridionale, ebbene sì, perchè vivendo con mia madre, calabrese, era inevitabile; e mi dava del terrone con gusto, proprio lui.

    I kapo erano ebrei servi dei nazisti. In Nigeria pare esista un razzismo terrificante non solo verso gli altri africani, ma anche verso noi bianchi.

    Sono eccezioni, certo.

    Però basta con parole deficienti come “fascistizzazione”: viviamo nel mondo, non esiste solo l’Italia. Vediamo di rendercene conto; perchè se un Tashtego – Pecoraro dà del fascista a uno a caso (a me) perchè usa espressioni colorite di uso comune, io, a questo punto, affermo che chi usa continuamente la parola “fascista” e “fascistizzazione” come minimo è fuori dalla storia.

    Perchè il Fascismo è cosa d’Italia, della nostra storia. Perchè il Fascismo, come movimento politico-ideologico è quasi morto; diciamo che è in coma.

    Il razzismo è cosa che coinvolge tutti: quando il sig. Pecoraro mi dà del Fascista qui, su queste colonne, si comporta da razzista. Fatto e finito. La cosa, come potete notare, per me non è finita qui e non finirà qui. Sono uscito da Nazione Indiana anche per questo: perchè stufo di buoni predicatori che razzolano maledettamente male.

  17. Quando una posizione politica non condivisa da tutti diventa politica?
    Attraverso che cosa può pretendere di diventare egemone?
    Come può delegittimare le posizioni avverse?

    Non si tratta soltanto di coltivare una “cultura”, anche.
    Si tratta di liberarsi dal “buonismo” e, con la politica e
    con le leggi – che già ci sono, oltre tutto – sancire che
    il razzismo è reato perché va contro i fondamenti della
    Costituzione.

    Ma la Costituzione riconosceva la necessità dei “partiti”
    per la dialettica democratica.
    Ora, l’attuale catastrofe democratica sta nell’inesistenza dei partiti: neanche il PD lo è.
    Sostituiti da artificiose macchine per il marketing, non permettono che
    la posizione individuale dei singoli si aggreghi con altre e diventi norma,
    sanzionando il contrario.

    Posso, forse, provare, pietà per gli assassini, ma non lo direi mai, e lo negherei a me stesso se voglio fare azione politica.
    E’ lì che inizia il buonismo, si inizia a confondere la politica con altro, perchè la politica è tutt’altro che buona.
    Perchè ha a che vedere con la formazione e l’esercizio delle legge.
    E la legge è forza.

    La sinistra dal cuore debole ha fatto di se stessa un catasfascio di sentimenti.

    Almeno avesse vinto!

    La cultura appartiene all’individuo, la poltica al cittadino.
    A ognuno di noi conciliare le due cose, senza confonderle.

  18. Quanta misura, temperamento e profondità nelle parole di Biondillo, davvero.
    Qui ci sarebbe stata bene (…) anche un’invettiva.
    Rancorosa e bastarda come gli stronzi che hanno ammazzato Abdul.
    Che, oltre ad essere feccia della peggior specie a carico di una società da rieducare, sono pure stupidi. Stupidi e perdenti. Non si rendono conto che la mescolanza delle razze, la contaminazione delle culture e l’affievolimento dei confini sono dei processi inarrestabili che stanno segnando e segneranno profondamente il cammino dell’umanità sul nostro pianeta.
    Sul destino della quale (umanità) sono ottimista.
    Sul destino del quale (pianeta) mi ritengo oscurantista.
    Cordiali saluti e scusate la solita retorica.

  19. vorrei aggiungere una cosa, sempre meditando le osservazioni di Piero sull’articolo di Gianni. Provo a dirla cosi. E mi piacerebbe sapere anche cosa ne pensa Gianni.

    A forza di riflettere sull’antropologia dell’italiano medio, a forza di volerci guardare nella nostra dimensione più reale, comune, volendo essere consapevoli delle nostre debolezze, stiamo semplicemente diventando incapaci di immaginare che possono esserci altri modeli, altre antropologie, altre forme di essere persone che quelle dell’italiano medio, che certo ci è più facilmente familiare di qualsiasi altra. Possiamo ipotizzare che l’uomo, pur avendo istinti distruttivi, difensivi, razzisti – e qui ha ragione franz: istinti che si manifestano ovunque – possiamo ipotizzare che non è solo questo, che non è solo persona ripiegata, in difesa, diffidente, impaurita, aggressiva? Siamo a una censura dell’immaginazione fondamentale dell’essere uomo, l’immaginazione che ci permette di essere non solo questo nucleo di affetti ciechi. Non si osa nemmeno più pensare che c’è un’alternativa alla xenofobia di base, e questo proprio a fronte di un secolo che ha comunque conosciuto importantissimi fenomeni sociali e politici di internazionalismo. Perchè il meglio deve essere irrimediabilmente alle spalle, e di fronte dobbiamo raccogliere solo il peggio? Beandoci che il razzismo leghista si fermi quasi sempre alle parole, senza riuscire a mettere in atto in forma sistematica le sue minacce di discriminazione istituzionalizzata. Poco importa se Borghezio, deputato di governo, partecipa a raduni dove sono presenti anche gruppi neonazisti, oltre al meglio della destra xenofoba e razzista di tutta europa. Certo, se il modello egemone è questo, il fatto che alcuni osino ipotizzare che lo straniero non è solo un inevitabile jack nickolson negli ultimi 15 minuti di Shinning, ebbene è certo visto come un’arrogante forma di snobismo della solita sinistra.

  20. Eccomi finalmente di ritorno. Molte cose sono state dette e ora non so se riuscirò a tessere un filo che le tiene assieme.
    Allora: Andrea dice: “Ma sono anche stufo di quel “noi” retorico, che diventa anche fatalistico.”
    No, se così t’è parso me ne dispiaccio non c’è alcun fatalismo. In fondo ha già detto bene Tash: “si parla invece di razzismo, che è cosa a sé, profonda, infida, pervasiva, da cui nessuno è esente, verso la quale occorre un lavorio culturale, politico e oppositivo incessante.”
    In quel “noi” c’è il mio ricordarmi che NESSUNO ha il diritto di sentirsene esente. Che se il razzismo dilaga, IO per primo devo chiedermi se, comunque -come cittadino prima ancora che come “intellettuale”- ho fatto abbastanza (anche, come dici tu, rischiando le botte) per “invertire la rotta”. In modo fattivo.
    Non perdere di vista che questo è un pezzo che è stato scritto per un settimanale di larga diffusione. Quando dico “noi” il lettore DEVE accettare di fare parte di una maggioranza che è fin troppo silenziosa. Voglio che si senta “colpevole”. Non voglio che risolva la questione dicendo: “erano due pregiudicati (e terroni), io sono migliore, io non sono razzista”.
    Io non sono cattolico, diceva Pasolini, ma i miei padri hanno costruito le chiese romaniche, le chiese barocche. Sono un mio patrimonio (“che mi piaccia o no” mi viene da aggiungere).
    Certo che bisogna proporre e opporre un nuovo modello comportamentale a quello egemone. E lo si fa, appunto, vivendo nei corpi queste esperienze. Invitando alle feste dei bambini i figli, andando ai giardinetti con le madri, andando al cinema con i padri. Parlando di soldi, di lavoro, di sogni, etc. etc. Ammettendo, anche e soprattutto, non solo la loro ma la nostra inadeguatezza, i nostri (volontari o meno) pregiudizi. Riconoscendo i loro. Scoprire che quello è antipatico e quell’altra simpatica. Non ragionare per categorie salvifiche, ma per singoli, per persone. (ma sono cose che tu hai scritto benissimo in alcuni tuoi pezzi a suo tempo).
    Queste sono cose “che si fanno”, non si dicono.
    Una delle poche sicurezze che ho sul futuro è che questa mescolanza di culture è INEVITABILE. Non solo: che a me non interessa AFFATTO che si eviti. Che non me ne frega una cippa di preservare chissà quale atavica illusione di razza padana e/o europea etc.
    E so anche che tutto ciò porta con sé conflitto. Ed è – sotto le comode spoglie del razzismo (perché di più facile accesso mediatico e simbolico) – soprattutto un conflitto di classe.

  21. Grazie Gianni per la bella risposta. E mi ricredo su quell’uso del “noi”. Ora ne ho capito appieno il senso.

  22. una maggioranza fin troppo silenziosa e che sempre più a fatica arriva a fine mese. questa che stiamo vivendo è una guerra tra poveracci, difficile in questo contesto imporre modelli comportamentali.
    Quando sono arrivato in Italia ero un “extra”,argentino e anche mancino.
    A scuola la maestra, per questa mia diversità, mi puniva mettendomi in un angolo e i compagnucci mi tiravano le noccioline come se fossi una bestia. Questo paese, Gianni e Andrea è una merda da sempre, anche quando pontificava il Grande Pasolini, e questa maggioranza silenziosa da più di quarant’anni ora “dorme sepolta”.

    Marco

  23. no, non ci sto, marco,è un atto di uguale razzismo alla rovescia dire “questo paese è una merda da sempre”, un altro” ragionare per categorie” come dice gianni, e finché non si riesce a considerare veramente il singolo e partire da lì, guardare in faccia il mio prossimo e decidere a prescindere della sua appartenenza nazionale se mi intriga o meno, allora non ci si muove da questo attuale pantano!

  24. doubt

    ma se uno, a quello che ha detto pasolini, citato sopra: “Io non sono cattolico ma i miei padri hanno costruito le chiese romaniche, le chiese barocche”, aggiunge “che mi piaccia o no”, come suggerisce di fare biondillo, non significa forse che costui non ha affatto superato la prospettiva individualistica (sfera del gusto) che l’osservazione di pasolini invita a superare (e.g., usando la parola “patrimonio”) mantenendo intatta – anzi rendendo possibile – la scelta, la responsabilità, l’etica: “Io non sono cattolico”?

    lorenzo

  25. @ Marco Saya,
    sicuramente l’Italia non è mai stata un bel paese, però adesso rischiamo davvero di precipitare e questo perché probabilmente, essendo da noi l’immigrazione, in forma così massiccia, fenomeno recente, si creano profondi squilibri, per molti può essere destabilizzante, la prima reazione di fronte al nuovo è più frequentemente di chiusura, solo la consuetudine può attenuare l’ostilità derivante dall’insicurezza.
    Io stessa mi sono (felicemente) meravigliata l’altr’anno di scoprire quanto siano distanti due città come Roma e Napoli: non ho stime, sondaggi, ma ad occhio nudo: mentre a Napoli, vedi la maggior parte degli stranieri come venditori ambulanti, e per dire, nessun ragazzo di bottega o cameriere o garzone straniero, a Roma in una sola giornata, vidi numerosi chioschi, fiorai, giornalai…non so se indiani o pakistani…insomma da qui, da una situazione di, diciamo, livello zero, ad avere anche noi il nostro premier di colore ( e magari pure donna) la strada è lunga. (ma non impossibile).

    Il vero scandalo sono i politici e la campagna mediatica messa in atto, (come dice anche Biondillo).
    Io ancor più categoricamente:
    Nessuna attenuante: è stato un omicidio a sfondo razzista di cui la nostra classe dirigente deve assumersi la piena responsabilità.

    Io accuso questo governo e i suoi pacchetti- sicurezza di avere armato le mani degli assassini.
    (ma accuso anche l’opposizione che in campagna elettorale non fu da meno)

    Li accuso essersi inventati di sana pianta un reato come quello di clandestinità, che considera la clandestinità come aggravante e per una perversa, ma quanto mai facile semplificazione, il colore della pelle come aggravante di un reato.
    Equazione che gli assassini non hanno fatto altro che mettere in pratica, rispettando alla lettera le nuove disposizioni.

    Io accuso questo governo di aver, deliberatamente, creato un ordigno esplosivo che masse di esasperati possono far saltare in aria in ogni momento facendovi confluire, (cioé opportunamnete defluire) il proprio malcontento.

    Della morte di Abdul il primo, vero imputato non verrà condannato.
    E’ questo lo scandalo.

  26. Gianni Biondillo, dici: “Voglio che il lettore si senta colpevole”. Nella fattispecie, razzista. Con me non attacca. Io non sono razzista e non mi sento minimamente colpevole per la morte di quel ragazzo. Basta leggere l’imputazione per vedere che il movente razzista è stato escluso. Basta guardarsi intorno per accorgersi che la società italiana non è razzista, e che nemmeno Milano è una città razzista. Chi la mette su questo piano è totalmente fuori strada. Il ricatto morale funziona solo se uno è ricattabile, se no è solo un’offesa gratuita.

    Nella nostra società è in atto qualcosa di più grande di noi, cioè l’inevitabile mescolanza di culture e di razze, ebbene, prendiamo finalmente atto che anche l'”internazionalismo” ricordato da Andrea Inglese sta fallendo. Perché sta fallendo? La classica risposta della cultura politica di sinistra è che la politica di destra sobilla le naturali pulsioni di difesa insite nell’uomo. Peccato che poi questa analisi preveda anche il rifiuto della propria identità in nome di un astratto egualitarismo, e che questo a sua volta alimenti l’irrigidimento della destra. Invece, la vera responsabilità è di chi (intellettuali e politici in primis) queste pulsioni naturali non riesce a inibirle e a orientarle, incanalandole dentro un modello di civiltà. Un modello basato su un’identità. Sì, un’identità. Fa ancora troppa paura, a sinistra, la parola identità. E questo è un male. Perché conoscere la propria identità è l’unico modo per capire davvero quella dell’altro, nella sua differenza irriducibile e nella sua convergenza di fondo: l’essere uomini. Giustamente tu proponi di invitare a feste, coinvolgere, stringere mani. Perfetto. Ma io devo sapere che sto stringendo la mano a qualcuno che in comune con me ha una sola cosa: è un uomo. Per il resto è molto diverso da me, e non ci dev’essere nessun senso di colpa nell’ammetterlo. “Buon giorno signore, io e lei siamo diversi, lo sa?” “Ma si figuri che stavo pensando anch’io la stessa cosa”.

    Chiudo sull’evidente cinismo di chi è stato capace di strumentalizzare a fini politici un caso come quello di Abdul, e sull’orrore che provo nel leggere espressioni aberranti tipo quella di Giorgio: “Al confronto il razzismo nazista era l’università, mentre questi sono analfabeti”.

  27. “L’astratto egualitarismo” scatta automaticamente appena finito il dialogo che citi tu, secondo me incompleto. Provo a completarlo per sommi capi:
    “Buon giorno signore, io e lei siamo diversi, lo sa?”
    “Ma si figuri che stavo pensando anch’io la stessa cosa”.
    “Già”.
    “Eh”.
    “Peccato che lei sia molto più ricco di me”.
    “Non è mica una colpa”.
    “No, però io qui ci sono venuto per fame, ha presente…”
    “No”.
    “Buon per lei”.
    “Me ne vuol fare una colpa? Sarà mica un egualitarista trito-e-ritrito?!”
    eccetera
    Qualosa di simile, da maestro, lo diceva Gaber nei suoi dialoghi del signor G e il Non so (vado a memoria)

  28. vincenzillo,
    sulla strumentalizzazione (se diretta a me) rispedisco al mittente:
    rileggere:

    Io accuso governo (e opposizione).

    resta il fatto che i colpevoli, in tutta questa storia, me li figuro come cittadini “troppo zelanti”.
    resto del mio parere.

  29. Senti, ho cercato di raccogliere il più possibile informazioni certe su questo omicidio, dopo aver scritto una cosa piuttosto a caldo.
    E, per quel che ho capito, il punto critico sta proprio negli insulti stile “sporchi negri” che sembrano aver fatto sì che i ragazzi si fermassero, lanciassero qualcosa ai baristi e questi cominciassero poi ad usare spranga e bastone. Avrebbero ammazzato con sei colpi in testa anche un bianco? Magari no, magari sì.
    Hanno gridato “sporchi negri” e se i ragazzi fossero stati bianchi si sarebbero limitati a urlare “pezzi di merda” o qualcosa di simile, nel senso che gli veniva così, nella foga dell’incazzatura, senza che l’insulto rispecchiasse un’ideologia né magari un sentimento di fondo particolarmente razzista? Può darsi.
    Così sembra essere parso al pm, ma il pm era tenuto a decidere se si trattava di un delitto di stampo inequivocabilmente razzista e qui le cose sono più complicate. Del resto gli stessi pm e gip non hanno dato credito neanche alle spiegazioni degli imputati di aver creduto che i ragazzi avessero rubato non solo le merendine, ma anche la cassa, perché sono usciti dal bar armati e di corsa, senza essersi appurati che la busta coi soldi fosse ancora sul bancone. E io su questo non me la sento di dire che quelli mentono, ma capisco che per giustiza se uno dice qualcosa di indimostrabile, non ne tiene conto.
    Ma torniamo al punto, da nessuno contestato, in cui i baristi tirano fuori nei confronti dei ragazzi gli insulti razzisti. Il problema è che “negro di merda” (ebreo, frocio, zingaro fai un pò tu) non è la stessa cosa per chi ne è oggetto che “ladro di merda, pezzo di merda” ecc. Perché va a sommarsi a tutte le esperienze di razzismo già subite, perché iscrive la sua ombra sul passato anche collettivo di discriminazioni e sofferenze.
    Proprio in questo caso si vede, forse tragicamente, che non si tratta soltanto di mantenersi a un galateo formale di correttezza politica.
    Insomma, io mi sono fatta l’idea che se non ci fossero stati gli insulti razzisti, i ragazzi sarebbero scappati e basta. Abdul sarebbe ancora vivo e i baristi non rischierebbero l’ergastolo.
    Per cui – per me- esiste un problema di razzismo, ma proprio di quello che si fa moneta comune spicciola, di quello che crea- sommandosi in tanti fatti e fatterelli – un certo clima.

  30. Vincenzillo, dimenticavo. Pure “terroni di merda” urlato in un certo contesto non mi pare piacevolissimo:-))

  31. Vincenzillo, caschi male. Io credo alle identità.
    Ma so anche che sono un processo storico, non immutabile mitico-fondativo.
    Cioè sono mutevoli, modificabili, integrabili. Fatte di esclusioni ma anche di implementazioni. Fattelo dire da uno che ha nel sangue i normanni, i borbone, gli arabi, i longobardi, etc. etc. (come la maggior parte di questa terra meticcia che è l’Italia).
    In ogni caso l’indoeuropeo è un fenotipo in regressione, mettiti il cuore in pace.

  32. farò un gran miscuglio e una gran confusione di pensieri, ma mi esprimo da semplice cittadina, quella della porta accanto.
    quello che a me sembra è che qui il problema sia sociale, culturale ed economico, il razzismo ne è la risultanza, la punta dell’iceberg.
    se è vero che il comunismo ha fallito, è altrettanto vero che stiamo vivendo l’aspetto più squallido dell’imperversare del capitalismo bieco e disumanante.
    abbiamo un nord industrializzato e pullulante di piccoli e medi imprenditori con la loro bella fabbrichetta che guarda al profitto ed alla manodopera a basso costo con l’appoggio del governo ed un sud sempre più povero che funziona solo come macchina porta voti, un sud in cui ci si vende l’anima per un posto di lavoro in un call center (il massimo cui possa aspirare un giovane laureato).
    la casa è un bene di lusso, sia a nord che a sud, gli affitti hanno cifre impensabili paragonati allo stipendio medio non di un operaio, ma anche della classe impiegatizia. I beni di consumo divengono prepotentemente beni primari e lo scontento dilaga, non si arriva a fine mese.
    in tutto questo quadro di malcontento e sudore, è facile, molto facile rievocare paure arcane, “l’uomo nero”… si sposta l’attenzione sulle mancanze della nazione indirizzando più o meno consciamente l’attenzione delle masse contro il mostro di turno… lo straniero, quello sporco, quello nero, quello che viene a rubarci il pane, a noi che già stiamo male…
    e questo è un problema di razzismo, sì, ma è un problema prima di tutto sociale e culturale di questa povera Italia.
    Ferdinando Martini nel 1896 diceva “fatta l’Italia bisogna fare gli italiani”, ma gli italiani non sono ancora stati fatti… e no.

  33. “ma è un problema prima di tutto sociale e culturale di questa povera Italia.
    Ferdinando Martini nel 1896 diceva “fatta l’Italia bisogna fare gli italiani”, ma gli italiani non sono ancora stati fatti… e no.”

    Sante parole che sottoscrivo.
    Marco

  34. A me piace il “noi” di Biondillo, la volontà di non sentirsi e non farci sentire esenti dall’accusa di razzismo. I grandi artisti hanno questo in comune, di mettersi sempre dalla parte del torto, di identificarsi col peggiore, se non altro per cercare di capirne le ragioni. Caravaggio si ritrae in Golia, non in Davide; oppure nello spettatore vigliacco, pavido (vedi il martirio di San Matteo), che assiste all’assassinio dell’innocente senza intervenire. Esattamente il contrario di quanto fa Moresco in “Patrie impure”, quando si identifica col piccolo Alfredino di contro ai maiali guardoni.

  35. non esistono quei grandi artisti, oggi gli artisti riconosciuti da questa merda ( e lo ribadisco) di italietta sono le veline, le miss, Totti, la Prestigiacomo, Ignazio che sembra una caricatura fumettistica del tracorso ventennio, gli isolani della Ventura, insomma un’arca composta dalla peggiore feccia umana. Non sono il solo a pensarla così, se guardiamo il popolo dei grillini al loro confronto sono un’educanda. Solo le caste e le castine si dissociano, ovvero quasi tutti e allora a chi gliene frega di quel “noi” che si assume delle responsabilità per alcuni fatti che succedono? come mai quel “noi”, vox populi, non si preoccupa di altri problemi gravissimi di questo paese?

    Marco

  36. mauro pianesi, si stava parlando di razzismo, non di ricchezza e povertà. O vogliamo appiccicare le solite etichette surreali: ricco = razzista, povero = vittima di razzismo?

    maria(v), in realtà io pensavo più che altro a tutti quei signori, capitanati da Dario Fo e Moni Ovadia, che costruiscono le loro fortune su accuse al governo francamente fuori dal mondo, tipo “totalitarismo”, “fascismo” e simili corbellerie, e sfruttando cinicamente il dolore per la morte di quel povero ragazzo.
    (poi, se rileggo il suo intervento, parole come “Equazione che gli assassini non hanno fatto altro che mettere in pratica, rispettando alla lettera le nuove disposizioni.” mi sembrano molto in linea con quell’atteggiamento).

    helena janeczek, “negro di merda” e “terrone di merda” sono espressioni che non vanno nemmeno commentate. Il ruolo che possono avere nel determinare tragedie e crimini orribili come quello di Abdoul non va certamente sottovalutato, caso per caso. Ciò che io trovo profondamente sbagliato è però il passo successivo, cioè tentare di fare sentire tutti noi in colpa (come fa biondillo, ma non è l’unico), o fare di Abdoul il simbolo di qualcosa che non esiste: “deriva antropologica” o simili (come fanno i Dario Fo, i Moni Ovadia, gli Umberto Eco e tanti altri). Ai miei occhi, chi discetta amabilmente di “deriva antropologica” su giornali, blog etc. dà un contributo al dibattito pari a quello di chi grida “negro di merda”. Dare del subumano sarà anche molto chic, ma è altrettanto offensivo.
    Facciamo qualcosa di meglio, invece. Cominciamo finalmente a prendere atto che mancano modelli di riferimento, sia culturali sia politici, con cui mediare questa nuova realtà sociale. In assenza di tali modelli, la difesa della razza è altrettanto irragionevole e dannosa dell’apertura incondizionata, e ti lascio indovinare chi sono gli alfieri di questa apertura incondizionata, talmente incondizionata che contempla perfino la giustificazione del crimine, nonché dell’assoluta ignoranza della lingua e della storia italiana.
    Che ne pensi?

    gianni biondillo, scusa ma chi ha parlato di “fenotipo indoeuropeo”? Io no di certo.

  37. Quanto si assomigliano…
    http://viaggidellamente.splinder.com/post/18473752/Un+attimo+prima.

    Il pantalone mi si è rotto scavalcando un cancello stamattina. L’accesso al cantiere era chiuso, chiuso per gli occhi di altri, per i curiosi, non per chi qui ci lavora e butta il sangue. Per entrare ogni volta devi fare un percorso come in una guerra, un sentiero abbandonato che porta ad una palazzina in costruzione. Quando pensi di esserti perso, allora sei quasi arrivato.

    Come quando sono venuto qui, giorni interi senza mangiare, a piedi nel deserto che è come camminare al buio, speri sempre che quando poi la luce si accende sei esattamente dove immaginavi. Ma non è mai così.

    Quando pensavo di non arrivare più, quando la voglia di arrendersi si era già impadronita delle mie forze, allora un sospiro e le luci della terra difronte a noi.

    Qui mi riconoscono dal colore della mia pelle. Prima di parlarmi per loro sono già assassino, spacciatore, pappone. Rubo il lavoro che non vogliono fare, mi pagano per pulirsi la coscienza come quando danno da mangiare ad un cane randagio. Quando mi parlano non si rivolgono mai a me, mai a me solamente, ma a quelli come me, i negri, la mia gente, le donne della mia terra. Per loro non esisto, non sono una persona. Sono io stesso un popolo per loro, non un nome nè un cognome.

    Mi sfruttano di nascosto, mi considerano un problema quando stanno davanti agli altri.

    La sartoria chiude tardi stasera, mi hanno detto che per il mio pantalone devo aspettare.

    Ho fame e sonno, stasera tornerò tardi.

    _________________________________________________________

    Eric lavorava in un’ impresa edile come piastrellista. Giovedì 18 Settembre era andato alla sartoria Ob Ob exotic fashions per farsi rattoppare il pantalone che aveva addosso. Nella sartoria gli hanno detto che avrebbero pensato a lui soltanto prima della chiusura, alle “nove”. è andato a sedersi in macchina. Era stanco o forse si vergognava a farsi vedere con quello strappo nei calzoni. Con altri cinque immigrati è stato ammazzato dalla mano armata della camorra.

  38. senta vincenzillo,

    Io attribuisco precise responsabilità a chi ha creato questo clima, a chi ci ha gettato di proposito il giocattolino perché ci scannassimo tra di noi.
    Che un fatto del genere sia accaduto proprio adesso, dopo un buon numero di bombardamenti mediatici, non mi sembra per niente una coincidenza.
    Per il resto, con tutto il rispetto,
    mi fa piuttosto schifo litigare con lei, qui sotto, in questa circostanza.
    non ho più intenzione di commentare oltre.
    io e lei siamo diversi sa? e non ho nessunissima intenzione di stringerle la mano. La lascio volentieri alla sua identità, se la tenga stretta e cara.

  39. “mauro pianesi, si stava parlando di razzismo, non di ricchezza e povertà. O vogliamo appiccicare le solite etichette surreali: ricco = razzista, povero = vittima di razzismo?”

    Io di etichette surreali ne immaginerei anche di più, cioè anche “povero=razzista” o “ricco=vittima di razzismo” (come mi pare furono gli ebrei nella Germania nazista)
    “parlare di razzismo” così… “sui generis” non credo porti molto lontano. Nel caso italiano, gli immigrati sono tali per motivi di povertà. Nella maggiorparte dei casi. O di non sufficiente agiatezza, se “povertà” non è abbastanza à la page. Altrimenti credo che se ne sarebbero rimasti volentieri a casa loro. Questo è uno dei presupposti che,in determinati casi (come quello nostro italiano), contribuiscono a fare scattare la molla del razzismo.

  40. @ helena.

    due cose.

    1.”il pm era tenuto a decidere se si trattava di un delitto di stampo inequivocabilmente razzista e qui le cose sono più complicate.”

    credo che su questo punto ci sia stata un po’ di cattiva informazione su cosa sia o non sia un delitto razzista per la giustizia italiana. in realtà, dal punto di vista giuridico, la decisione del pm è del tutto condivisibile. l’aggravante per fini di odio razziale viene comminata quando l’atto è compiuto con un determinato obiettivo, riconoscibile e passibile di influenza su terzi. se io brucio un campo rom e nel frattempo inneggio al nazismo, il mio delitto è sicuramente aggravato da fini di odio razziale. se a me stanno antipatici i rom e finisce che ne picchio uno per strada, le aggravanti non ci sono.
    questo solo per fare chiarezza.

    2. “io mi sono fatta l’idea che se non ci fossero stati gli insulti razzisti, i ragazzi sarebbero scappati e basta. Abdul sarebbe ancora vivo e i baristi non rischierebbero l’ergastolo.”

    probabilmente è vero. il problema è che il gioco dei “probabilmente” e dei “se” rischia di cadere addosso al “se” iniziale: se abdul e i suoi amici non avessero rubato quelle due merendine, non sarebbe successo niente. e nessuno, ovviamente, vuole sentirsi dire questo.
    in sostanza: SENZ’ALTRO c’è un’atmosfera di accanimento diffuso verso l’altro, prodotto di una politica fondata sulla paura e la sicurezza; MOLTO PROBABILMENTE il fatto che abdul fosse nero ha fatto da “disinibitore” alle pulsioni peggiori; PROBABILMENTE se i due non avessero gridato “sporco negro” abdul non sarebbe rimasto.
    ma.
    in tutto questo proliferare di ipotesi e opinioni, la cosa che a me continua a sembrare più assurda di tutte è proprio il fatto nudo e crudo. la sprangata in testa. che si possa ammazzare un ragazzo con una sprangata in testa. di insulti razzisti se ne sentono quotidianamente. sono cose spaventose e segno di un crollo totale di etica civile. ma una sprangata in testa per due biscotti, in qualunque quantità c’entri il fattore razzismo, è qualcosa che mi lascia senza parole.

    giorgio

  41. mauro piranesi,
    nessun problema a parlare di povertà come possibile causa di emarginazione e alla ine di razzismo. E’ solo quando la povertà viene trattata come un alibi che giustifica il crimine, che per me nasce il problema. Ma non è il caso di Abdoul.
    Il caso di Abdoul è pazzesco per l’evidente sproporzione tra crimine e reazione. E qui allora il problema è: questo caso è davvero il simbolo di uno strisciante razzismo (come ci vuol far credere tanta parte della sinistra politica e culturale), o è semplicemente stato strumentalizzato? Io naturalmente propendo per la seconda.
    Altro problema: come si risolve il razzismo, quello vero: creando un modello di convivenza pacifica tra razze, religioni, costumi ADATTO ALL’ITALIA, oppure limitandosi a gridare al fascista? Perché c’è un dato di fatto: questo benedetto modello, la sinistra pur essendo egemone nella cultura, non l’ha mai creato. Io spero che lo crei finalmente la destra, oggi politicamnte egemone.

    @giorgio fontana, “segno di un crollo totale di etica civile”. Va bene che qui i toni sono un po’ quelli, ma non esageriamo, dai. Sono orribili, certo, ma c’è un limite a tutto.

  42. Giorgio e Vincenzillo,

    quel che ho cercato di fare è cercare di spezzare la solita logica degli opposti schieramenti dell’opinione pubblica che arrivano solo a giustapporre, appunto, delle opinioni. Quelli che sono convinti che si sia trattato senz’ombra di dubbio di un omicidio razzista, quelli che – come riporta Vincenzillo – sostengono che qui il razzismo non c’entra nulla e tirarlo fuori è solo una strumentalizzazione.
    La cosa grave, orrenda, e siamo d’accordo credo, è che due tizi abbiano ammazzato a sprangate un ragazzo che, di più, già stava a terra. Ma episodi di violenza cieca ci sono sempre stata e mi sentirei un po’ vecchia zia a vederci un segno dell’imbarbarimento dei tempi. Quei due avevano precedenti mica da ridere – rissa, RAPINA A MANO ARMATA e altro- ma questo diciamolo piuttosto en passant. E di certo questo caso avrebbe fatto molto meno notizia se vittima e assassini fossero stato dello stesso colore della pelle, bianco o nero che sia.
    Ma a me ha interessato da subito proprio perché la questione del razzismo, a naso, mi sembrava che c’entrasse, però in modi più complessi, da verificare.
    E torno a ripetermi. I baristi hanno urlato “sporchi negri, vi ammazziamo tutti!”. Ed è stato quell’insulto intollerabile a far fermare i ragazzi.
    Vorrei avere un rapporto di polizia o magistratura per verificare meglio, ma confrontando varie fonti a me accessibili ho ricostruito che è andata così.
    Quindi che dire? L’omicidio è stato razzista in senso stretto? Non lo è stato, perché quelli urlavano negri in quanto accidentamente si trovano ad inseguire dei negri e sarebbero stati ugualmente violenti se non fosse stato così? Ripeto, questo non lo possiamo sapere.
    Ma possiamo sapere che all’interno di quel fatto un elemento di razzismo ci sia stato e che abbia avuto delle conseguenze tragiche.
    Non ho mai creduto che si possa combattere il razzismo o altre forme di discriminazione con la nomenclatura lessicale del politically correct. Se uno dice “negro” o “giudeo” senza ostilità – e vi assicuro che un negro o giudeo questo lo percepisce – non c’è problema. Ma se invece non è così, quelle parole sono pesantissime. Le parole di cui si dice che uccidono, ma non è vero, a volte sono prodromi di morte.
    Il problema non è il razzismo consapevole, ammesso praticamente da nessuno, tranne che in un primo momento dalla signora Cristofoli. Il problema è l’humus, il sostrato di razzismo che non andrebbe preso sottogamba.
    E aggiungo, per Vincenzillo che mi pare grosso modo di destra: per me l’antirazzismo non dovrebbe essere di destra o di sinistra. Si può fare una politica di centro destra, anche di destra, decisamente law & order che non sia in odore di alimentare un clima di xenofobia come alcune cose che questo governo ha provato a fare.
    Credo che dovresti chiederlo a quelli che voti. (se non faccio esempi è solo per stanchezza)
    Ultima domanda: d’accordo che ti stanno antipatici Fo, Ovadia e compagnia, ma ti pare così illeggittimo cogliere un’occasione per accendere l’attenzione su un problema che esiste? ( e non in sé per colpa di Berlusconi, se ti fa piacere che lo aggiunga). O non esiste, secondo te?

  43. helena janeczec, dici: “Il problema è l’humus”.
    Condivido in pieno. Ed è proprio in questa ottica (per rispondere alla tua domanda) che io considero il presunto razzismo strisciante come un “derivato” dell’ignoranza e dell’indebolirsi del freno inibitorio della violenza. Non è razzismo perché semplicemente non sanno quello che dicono. Non hanno testa. Non gli va bene qualcosa e allora si scagliano contro il più debole, e oggi il più debole è lo straniero.

    Guardiamo all’humus della nostra società. Il rapporto tra cultura, leggi, politica, è quanto di più complesso da analizzare, quindi non mi ci metto neanche. Quello che però mi sembra di vedere molto chiaramente è che politicamente e culturalmente, manca un progetto. Anzi, manca anche una riflessione preliminare che parta da dati di fatto. Perché, per esempio, se l’idea di base è “solidarietà”, va bene, benissimo, ma ci deve essere un limite, un limite direi fisiologico, all’ingresso degli immigrati. Altrimenti è chiaro che tutti gli immigrati che il mondo del lavoro non può assorbire saranno portati a delinquere. E questo, in un paese dove la giustizia è oggettivamente al collasso, diventa spunto per la violenza-vendetta. Mi sembra puro buon senso. Tolti gli esponenti più “coloriti”, è quello che dice il centro-destra. Eppure chiunque parla di limiti viene accusato da sinistra di razzismo e fascismo. Perché?

    Inoltre, manca una riflessione su due concetti fondamentali: integrazione e senso della patria. Che vuol dire integrare? A me sfugge. E’ forse un rapporto tra identità diverse che devono condividere un unico spazio? Bene. Io però vedo che chi arriva da fuori ha un’identità, noi invece no. L’identità di chi arriva c’è. E non è solo di razza, ma anche culturale, religiosa e a volte politica. Noi, invece, abbiamo rinunciato alla nostra identità, intesa non solo in senso razziale (che è un bene), ma soprattutto spirituale. La patria fa ridere, da noi. Invece secondo me potrebbe essere il vero punto di partenza per capire e accogliere l’altro. Tipo: obbligare chi arriva da fuori a imparare la nostra lingua, la nostra letteratura e la nostra storia. Farebbe capire che siamo qualcosa con cui “fare i conti”, cioè condividere la città, e non il nulla. Che non siamo solo i ricchi belli e felici che vedono sui canali televisivi e che li attirano qui. Che siamo carne, sangue, spirito, una storia. Cosa dice Fo su questo? Cosa dice Ovadia su questo?

    (Tanto per capirci, prendo Fo come emblema di quella cultura ormai invecchiata, tesa a distruggere il principio stesso di autorità e a deridere il senso della patria identificandolo col fascismo).

  44. non so cosa dicano in merito Fo ed Ovadia, riporto cosa dicono Deleuze – Guattari (parole che condivido a pieno, perchè sono totalmente allergica alla parola identità:

    “Siamo stanchi dell’albero. Non dobbiamo più credere agli alberi, alle radici, alle radicelle, ci hanno già creato abbastanza problemi.
    Tutta la cultura arborescente è fondata su di essi, dalla biologia alla linguistica.
    Invece niente è bello, niente è innamorato, niente è politico, al di fuori degli steli sotterranei e delle radici aeree, il selvatico e il rizoma […]
    molta gente ha un albero piantato nella testa, ma il cervello stesso è più erba che albero […]
    il pensiero non è arborescente e il cervello non è una materia radicata o ramificata […]
    la discontinuità delle cellule, il ruolo degli assoni, l’esistenza di micro-fessure fanno del cervello una molteplicità che irrora nel suo piano di consistenza o nel suo flusso un sistema probabilistico incerto…”

  45. maria(v), rinuncia pure alla tua identità. Ciascuno ha i suoi riferimenti culturali, per carità. Io mi trovo più d’accordo con quel gruppo di studenti che accolsero a Roma il francese Guattari con questo slogan: “Guattari / Guattarà / Che ce sei venuto a fà?”
    Detto in altri termini, per me è chiaro che nella nostra epoca e in riferimento alla costruzione di una società futura, pensieri come quelli da te riportati equivalgono a un suicidio culturale di massa. Di conseguenza, dopo averlo studiato, lo si può mettere tranquillamente da parte.

    Io invece ritengo che l’uomo abbia in sé una duplice natura, è contadino e nomade, è albero e vento, vegetale e animale, radicamento e libertà. Tutta la grande letteratura del passato lo descrive così, e a me basta per credere che sia ancora così, e che lo sarà anche domani.

    himmler, sì, ho detto sangue: sai quella cosa che scorre nelle mie vene e nelle tue, e che scorreva nelle vene di Abdoul? Lo ripeto: “carne, sangue, spirito, una storia”. (un po’ sincopato, ma mi è uscito pure un endecasillabo, pensa…).

  46. “siamo carne, sangue, spirito, una storia”. Se ne deduce che se il nostro Spirito (Geist!) è differente dagli altri, caratterizzato da e caratterizzante la Storia (una) che lo/ne segue – differente è anche il sangue. (Del resto, se fosse stato il medesimo per tutti – per Noi e per gli Abdul – non se ne sarebbe dovuta fare menzione).
    Vincenzillo non conosce la logica.
    E’ davvero dei nostri.
    Blut und Boden!

  47. himmler, proverò a spiegarti una semplice verità nel modo più semplice, a prova di nazista: pur mantenendo tutte le differenze di carne, di sangue, di spirito e di storia, ciascuna civiltà, ciascun popolo, ciascuna religione, ciascuna forza politica, ciascuno di noi 7 miliardi di individui, abitanti della terra, si può riconoscere nella mia espressione: “Carne, sangue, spirito, una storia”.
    E’ chiaro o hai bisogno dell’approvazione del Führer? Se vuoi ho degli agganci per fartela avere.

  48. Non dubito che tu abbia agganci col Fuhrer. Si vede benissimo dalle tue parole.
    Il Sangue è un elemento biologico e razziale. Nessun popolo parla di sangue come elemento di continuità culturale. Lo si fa solo dall’ottocento, dal buon vecchio Gobineau in avanti. Questo è. Forse dovresti essere un po’ più consapevole delle parole che usi.
    Le tue, caro Vincenzillo, sono nostre.
    Blut und Hoden.

  49. marco rovelli, liberissimo.

    himmler, la tua polemica è pretestuosa. Hai preso una parola usata per dire una cosa e l’hai stravolta inserendola nel vocabolario del Führer. Mezzucci di chi non ha nulla da dire.
    Se ti può interessare, il senso del mio discorso era in queste altre parole: “Noi, invece, abbiamo rinunciato alla nostra identità, intesa non solo in senso razziale (che è un bene), ma soprattutto spirituale”.

  50. che cosa centrano le identità e li ntegrazione con : “se ne devono andare a calci nel culo”(Santanchè) o “vadano a pregare nel deserto facce quelle faccie di merda”(Borghezio) ecc….o ( per non soffermarci su un singolo episodio,se volete) “i gay stanno tutti dall’ altra parte”(Berlusconi?)…frasi degne del miglior (neo)fascismo che hanno legittimato veri e propri tentativi di repressione anche se arbitrari? ma ancor più grave è che queste persone “colorite” sono legittimate(democraticamente si intende) dalla maggioranza dei cittadini e da un sentimento di PAURA dell’ Altro e del diverso che possa contaminare la propria Identità. Dire democrazia non basta. Vogli ricordare la democratica America e una canzone do BoB DYLAN che più la rappresenta. THE HURRICANE
    PS. liberi perchè diversi

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Apnea

di Alessandro Gorza
Era stata una giornata particolarmente faticosa, il tribunale di Pavia l’aveva chiamata per una consulenza su un brutto caso. Non aveva più voglia di quegli incontri la dottoressa Statuto, psicologa infantile: la bambina abusata coi suoi giochi, i disegni, gli assistenti sociali e il PM, tutti assieme ad aspettare che lei confermasse quello che già si sapeva.

Spatriati

Gianni Biondillo intervista Mario Desiati
Leggevo "Spatriati" e pensavo al dittico di Boccioni: "Quelli che vanno", "Quelli che restano". Il tuo è un romanzo di stati d'animo?

La fuga di Anna

Gianni Biondillo intervista Mattia Corrente
Mi affascinava la vecchiaia, per antonomasia considerata il tramonto della vita, un tempo governato da reminiscenze, nostalgie e rimorsi. E se invece diventasse un momento di riscatto?
gianni biondillo
gianni biondillo
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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