Non avere paura, sono le mani di Dio. Storie di ordinaria pedofilia

di Carmen Pellegrino

 

Quasi contemporaneamente alla visita di Ratzinger in Gran Bretagna e alle sue ammissioni sulla piaga della pedofilia nella Chiesa (“L’autorità della Chiesa non è stata sufficientemente vigilante, né sufficientemente veloce e decisa nel prendere le misure necessarie”), è uscito in Italia un libro che in maniera significativa contribuisce a rompere il muro della consegna del silenzio. Si tratta di Liberami dal male (edizioni Ad est dell’equatore, prefazione di R. Saviano), scritto senza artifici letterari da Mario Gelardi, già noto al grande pubblico come autore teatrale e regista (è suo l’adattamento teatrale di Gomorra).
Con una prosa asciutta, magistralmente intervallata da passi scelti di preghiere, Gelardi racconta la storia di Marco Marchese, un bambino siciliano entrato in seminario a 12 anni (nel 1994) per il desiderio acerbo di farsi prete, e costretto poi a subire le attenzioni morbose e gli abusi del diacono, don Sergio. In quei corridoi lunghi e stretti, in quelle stanze fredde scopre tutto sul sesso. Quello sbagliato, però, quello di un adulto con un bambino, quello di un superiore con un “sottoposto” inerme: “Non devi parlarne con nessuno”, gli ripete il diacono, “il nostro è un rapporto unico, non è peccato e quindi non lo devi neanche confessare“.
Marco è  un bambino docile, timido, timorato di quel Dio che secondo don Sergio lo accarezza attraverso le sue mani; è bello Marco, ha capelli neri e occhi verdissimi, e una fottuta paura di raccontarsi quello che gli sta accadendo (“avvicinò la sua bocca al mio viso e iniziò a baciarmi fino a sfiorarmi le labbra. Mi baciò intensamente come nessuno aveva mai fatto, come avevo visto fare solo in televisione. Non riuscivo a capire cosa stava accadendo”). Introietta tutto, e ne risente precocemente: uno stato di agitazione costante lo prende a ogni inizio di giornata; ha continui spasmi alla pancia e poi lo stomaco come stretto in pugno, respira a fatica all’avvicinarsi dell’ora in cui avvengono gli abusi, e piange da solo. Ma piangere da soli non aiuta, Marco lo sa. E allora piange di notte, e piange tanto che non si ferma più. Poi una volta ci pensa a farla finita, ingurgita medicine e certo starà meglio di prima. Solo che lo salvano. E non capiscono niente, non lo sentono il suo grido muto e disperato. Ma come potrebbero? Che ne sanno di come ci fai i conti con una vita a singhiozzi? Che ne sanno di una fede che non muore in un Dio che non scende a cercarti, che non sente, non vede quello che fanno in suo nome?
E’ stanco Marco ma don Sergio è il tramite di Dio, con lui prega e anima la messa. Tanto tra un po’ lui andrà a fare il prete in qualche parrocchia e non lo vedrà più. Sì, andrà così, tra poco tutto passerà e non ricorderà più niente
(Liberami dal male, Signore Gesù, se del male è stato fatto su di me, sulla mia anima, sul mio corpo…fa che da questo stesso momento possa ritornare in piena grazia)
Solo che non va così, e anche quando il diacono lascia il seminario non lo libera dalla voragine a cui lo ha costretto; gli si impone come padrino di cresima e anche da lontano lo cerca, lo manda a prendere, lo vuole. Tanto lui è un ponte verso Dio, no? ”e se non riuscissi a portarti più vicino a Dio, non sarei stato un vero amico”. E’ solo Marco, sull’orlo di tutti gli abissi. Ma tace e aspetta, e intanto cresce. In fondo è forte Marco, ma che può mai questa forza sua? E poi, diciamocelo, anche se un ragazzino è stato stuprato in un seminario, non c’è bisogno di alzare un polverone, certe vicende vanno taciute, sotterrate nel silenzio, che poi un ragazzino esagera sempre, si sa, s’impressiona, e certo non gli si può permettere di infangare con gli scalpitii suoi l’onorabilità di certe istituzioni. Pregasse piuttosto, o facesse discernimento. In ogni caso tacesse, per Dio.
Ribellarsi è dunque inutile, come è inutile scrostare muri di indifferenza o cercare di fermare la centrifuga del tempo che non riesce più a trattenere nulla. Allora meglio lasciare tutto, rinunciare ai sogni e fuggire via, tanto loro, i preti, il culo se lo parano sempre, in questa vita e in quell’altra.
Come in un film dell’orrore, quei luoghi che dovevano essere i più sicuri, al riparo da sputi e bestemmie del mondo di fuori, diventano all’improvviso la peggiore delle trappole, il teatro triste di un rituale imposto dopo la messa, protetto dal segreto della confessione; l’altra faccia della pedofilia, subdola, silenziosa, in agguato nell’oscurità di seminari, chiese, sacrestie. Un crimine odioso, “una carneficina di bambini e sogni”, un reato declassato a peccato, da assolvere e dimenticare, dopo averlo coperto di penitenze e inni. E su tutto una cortina di silenzio nero. E poi depistaggi, menzogne, pressioni delle curie sulle famiglie per metterle a tacere, e i fedeli mobilitati in massa, e le omelie e i grani dei rosari snocciolati durante qualche processo.
Era il 2009 e un’inchiesta del settimanale l’Espresso portava alla luce uno dei più tristi, gravi e inquietanti casi di abusi sessuali  praticati in Italia da preti e religiosi su bambini sordomuti. Una galleria dell’orrore scoperchiata dalle denunce di almeno 15 degli ex allievi dell’Istituto Provolo di Verona, una scuola che da un secolo accoglieva i bambini sordomuti delle famiglie più povere del Nord-est contadino, che nella più nera penuria di mezzi affidavano i loro figli alle cure pietose dei preti. Un’accusa di gruppo, sottoscritta da oltre 60 ex allievi entrati bambini lì dentro. Quasi mezzo secolo di sevizie tra le mura dell’edificio al riparo da ogni intrusione, uno stillicidio di violenze, abusi, percosse, anche in confessionale, persino sotto l’altare.
Ricorda Giuseppe: “Tre ragazzini e tre preti si masturbavano a vicenda sotto la doccia”. E Bruno, che era il ‘bello’ della sua classe, tira fuori l’incubo che lo tormenta da una vita: “Sono diventato sordo a otto anni, a nove frequentavo il Provolo che ho lasciato a 15 anni. Tre mesi dopo la mia entrata in istituto e fino al quindicesimo anno sono stato oggetto di attenzioni sessuali, sono stato sodomizzato e costretto a rapporti di ogni tipo dai preti e fratelli”.
Padroni di un universo apparente, ripetono un rituale che è sempre lo stesso: una stanza scarna con il Cristo in croce appeso, un ragazzino nudo, carezze: “Non avere paura, sono le mani di Dio”. Sullo sfondo il pianto soffocato di un bambino che diventa adulto così, senza averne sospetto.
Eppure il cattolicesimo, fra tutte le religioni, è quella con il maggior numero di simboli infantili,  e forse per questo, come si fa con i bambini, continuamente dispensa premi e punizioni. Il buon cattolico è colui che osserva, crede, obbedisce, confessa ogni sorta di prurigine e si pente prima di fare la comunione, meglio se tutte le domeniche, con l’ostia somministrata dal sacerdote. Una ideologia potente, che prevede tappe di controllo continuato dalla nascita (battesimo) alla morte (estrema unzione); una ideologia del sacrificio perpetuato in ogni celebrazione liturgica, con un rischio ben segnalato dalla psicoterapia: inculcare il sacrificio di vittime innocenti come un rituale sacro, espiatorio, purificatore può confondere, in più di qualche caso, le menti.
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53 Commenti

  1. Una storia raccapricciante. Come tante, come troppe. Ottima recensione, sembra scritta anch’essa da uno scrittore. Comprerò il libro.

  2. Bravissima Carmen, una penna tagliente che non si smentisce mai. Bravo Mario Gelardi a rompere il muro del silenzio su uno schifo che è la pedofilia già di per sè, se è poi praticata sudbolamente in nome di dio allora siamo alla piaga purulenta. Grazie a chi ne parla.

  3. Bellissimo quest’articolo di Carmen Pellegrino! Ci restituisce lo spaccato di un mondo orrendo, fatto di soprusi abominevoli compiuti in un luogo dove i soprusi non dovrebbero mai essere compiuti. Ci parla di una rete – estesa! – di complicità e reticenze da parte dell’autorità ecclesiastica (si cerca sempre di sottovalutare il fenomeno, che è molto esteso e, anche quando i casi vengono denunciati all’opinione pubblica ed alla giustizia, da parte della Chiesa cattolica c’è una immorale connivenza, comprovata dal fatto che molti dei preti già condannati definitivamente per questi reati orrendi non vengono espulsi dal sacerdozio, ma soltanto allontanati o, al limite, sospesi) che cerca in ogni modo possibile di negare l’evidenza, di sminuire, di far dimenticare. Che dire altro? la bellissima recensione del libro di Gelardi scritta da Carmen Pellegrino mi invoglia a leggerlo senz’altro. E posso dire che l’autore, ancor prima di leggere il testo, ha il mio plauso per il coraggio dimostrato nell’affrontare un tema così delicato e “politicamente scorretto”!

  4. Bello l’articolo, davvero. Senz’altro interessante il libro, che leggerò al più presto. Io però vorrei lanciare una provocazione, che ovviamente non alleggerisce di un millesimo la responsabilità dei mostri che si rendono colpevoli di queste abiezioni: ma questo celibato dei preti cattolici ( e chi conosce la vita dei conventi, delle chiese e dei seminari sa bene che in realtà esso ha ben poco di concreto ) non è ormai da considerarsi antistorico, e controproducente? Oltretutto, il celibato è una invenzione medioevale, non è fra gli insegnamenti dei Padri della Chiesa.

  5. Non so…ho alcune perplessità sul nesso celibato-pedofilia. Allora tutti i singles sarebbero a rischio di pedofilia? Purtroppo credo che certe tendenze uno le abbia già dentro e non c’è repressione nè solitudine che possa portare a fare cose che alla maggioranza delle persone, per fortuna, ripugnano. Essere pedofili non è una colpa, ma lo è cercare di concretizzare questo desiderio. Esiste anche la rinuncia, no?

  6. Niente di contemporaneo, purtroppo. E’ una lunga e sporca storia, taciuta dai libri di testo e dai pulpiti. Mi chiedo dov’è il coraggio, quello che abbiamo per rompere con un amico che ci ha offeso o una cognata invidiosa, dove diavolo si nasconde la lealtà per decidere, non mi sposo là dentro e non faccio battezzare mio figlio da un’acqua ipocrita. Quando si troverà la forza di vivere una religiosità non farisea, allora, aiuteremo altri Marco, altri figli a riconoscere le vere mani di Dio.

  7. “Il buon cattolico è colui che osserva, crede, obbedisce, confessa ogni sorta di prurigine e si pente prima di fare la comunione, meglio se tutte le domeniche, con l’ostia somministrata dal sacerdote”

    … dopo questo articolo così superficiale toglierò il link di Nazione Indiana dai preferiti e non leggerò più nulla degli autori che ricorderò aver visto in queste pagine. Complimenti.

  8. @ vito, io invece, piuttosto che togliere link dai miei preferiti, sto pensando di chiedere una volta per tutte di essere sbattezzata, che quando mi hanno sputacchiato quell’acqua fredda e fetente in testa bofonchiando quattro cazzate non ero davvero in grado di risputargliela in faccia quell’acqua stantia e neanche le loro pagliacciate.
    per fortuna dopo il battesimo l’autorità genitoriatorale non mi ha inflitto uteriori supplizi, e i ha tenuta lontana dall’odore di muffa sporcizia e broccoletti che hanno sempre emanato i collegi, le parrocchie, le sacrestie e i seminari.
    sempre siano lodati i miei laici genitori!

    @carmen, brava!

  9. Il cattolicesimo non ha in sè solo l’ubbidienza e il sacrificio, non è vero, e non tutti i preti sono pedofili o stupratori come non lo sono tutti gli adulti non preti (e di pedofili mi risulta ce ne siano anche lì molti, ma anche picchiatori e stupratori). E lo dico da non battezzata (ma non atea anche se di nessuna religione codificata) che ha cantato a un bellissimo matrimonio tra un ateo e una cattolica pieno del rispetto verso le rispettive convinzioni e che non si è sottomessa alla volontà di conversione di vari insegnanti di religione che ha avuto discussioni preziose con un prete gesuita, che ha amici profondamente e liberamente cattolici. Chiediamoci invece della stortura di situazioni in cui il controllo è limitato dalla natura stessa delle strutture, come ogni struttura chiusa come gli ospedali e le carceri e certe scuole. Non sarà che il meccanismo di controllo faciliti il perpetrarsi di abusi? Certo è raccapricciante, in più se si pensa a un prete, ma basta pensare a un adulto che dovrebbe naturalmente sentire la cura che si deve ai cuccioli per trovarlo raccapricciante in sè.

  10. Complimenti a te, Vito, per la tolleranza. Seguendo il tuo esempio non parlerò mai più con chiunque si chiami Vito, a prescindere.

  11. @stalker

    non son poi stati tanto laici i tuoi genitori se ti hanno fatto battezzare.
    A me non è successo.
    E per non credere ai preti,non c’è bisogno di prendersela con l’acqua in perfetto linguaggio oxfordiano..,,prenditela con i tuoi.

  12. caro il mio oxofordiano, vista la mia non giovine età, quando venni al mondo, non fu facile per la genitorialità non battezzarmi, e si dovettero battere anche per chiamarmi con un nome che non trovavano allora sul calendario di frate indovino.
    poi lottarono per non farmi diventare sposa di dio (credo che sia quella roba della comunione), una cosa oscena dove un carnevale impazzito trasforma e traveste ragazzine ignavie in spose di cristo.
    spiace dire che a volte questo fanatismo raggiunge livelli di esibizionismo fino ad arrivare ad indebitarsi per dargli lo splendore che la lobotomia socilale richiede.

    poi ognuno ha il suo linguaggio.

    amen

    ps ciò non toglie che in questo post si dovrebbe sottolineare che si sta parlando di crimini contro l’umanità

  13. E’ difficile sostenere che vi sia un nesso tra celibato dei preti cattolici e pedofilia, se si considera che nelle chiese protestanti – dove i pastori e le pastore non si impegnano al celibato, e normalmente si sposano – il problema è dal punto di vista quantitativo identico. Vedi gli studi di Philip Jenkins (che non è cattolico), ad esempio Pedophiles and Priests. In Nazione indiana si è già parlato di questo, qui.

  14. Sarebbe più ragionevole sostenere che vi sia un nesso tra appartenenza a un qualunque clero cristiano e pedofilia, se risultasse che tra gli appartenenti a un qualunque clero cristiano la pedofilia è più diffusa che nell’intera popolazione. Risulta?

  15. Però, Giulio, non risulta nemmeno il contrario. Ma soprattutto, poiché la classe sacerdotale ha un accesso privilegiato alla “gestione” dell’infanzia e dell’adolescenza è chiaro che la presenza consistente e documentata di pedofili tra le sue fila risulta particolarmente pericolosa, piu’, per dire, di quella dei biscazzieri o dei lattai pedofili, che hanno occasioni assai piu’ rade di accedere al corpo e prima ancora all’affettività di un ragazzino – che dal prete viene costruita e indirizzata, e “giocata”. E ancora, è altrettanto documentato come la struttura ecclesiastica – come ogni “Chiesa”, ogni macrostruttura ideologica tende a fare – ha sempre scelto di “lavare i (tanti, troppi) panni sporchi in famiglia”. E non mi pare che questo sia rispettare la parola di quell’uomo sul di cui esempio questa Chiesa ha scelto di formarsi.

  16. @marco rovelli
    “poiché la classe sacerdotale ha un accesso privilegiato alla “gestione” dell’infanzia e dell’adolescenza è chiaro che la presenza consistente e documentata di pedofili tra le sue fila risulta particolarmente pericolosa, piu’, per dire, di quella dei biscazzieri o dei lattai pedofili, che hanno occasioni assai piu’ rade di accedere al corpo e prima ancora all’affettività di un ragazzino”

    ineccepibile

  17. Marco: se ci sono tanti pedofili tra i preti, che sono sempre in mezzo ai bambini, quanti tra i biscazzieri e i lattai, che non li frequentano quasi mai, ciò può significare al massimo che tra l’esser prete e l’esser pedofilo non c’è alcuna relazione, come non c’è nessuna relazione tra l’essere biscazziere o lattaio e l’esser pedofilo.

    D’accordo (ovviamente) sul resto.

  18. Mozzi perdonami mi sembra che al tuo ragionamento manchi “l’intenzione”. Il pedofilo non è che cade fra i biscazzieri, i lattai o i preti. Magari sceglie di fare il prete perché ha più opportunità e più copertura. Quindi sicuramente non è che fare il prete ti fa commettere più abusi, ma chi vuole commettere abusi sui minori magari sceglie di fare il prete. O al limite ripiega nella famiglia. Ci vorrebbero le mura trasparenti come in dogville di von trier per l’umanità.

  19. In molti casi la religione è uno strumento di terrore quando e nelle mani di cattivi. Avete visto la male educazione di Aldomovar? E’ terribile perché il bambino non puo niente contro il potere spirituale della chiesa. Il silenzio è la più terribile tortura: subire e fare come si niente accade, volere ribellarsi e non potere. Mi dà la nausea.
    Potrei aggiungere ogni potere nelle mani di maschi cattivi è una catastrofe.

  20. Credo che la maggiore pericolosità sociale, in sé, non deponga né a favore né contro la sussistenza di un legame necessario tra l’essere prete o pedofilo. Ma (tralasciando la questione, che sarebbe però decisiva: se qualcuno si erge a difensore delle verità morali, che pretende di amministrare e “somministrare”, è tanto più tenuto a rispettarle) la questione allora diventa: perché in un settore così delicato, in cui la cura dell’infanzia è così centrale, si continua da tempo immemorabile a far allignare la pratica della pedofilia? Basta a spiegare il fenomeno quello cui accennavo sopra, la tendenza delle chiese a lavare i panni sporchi in famiglia? O forse sarà, come direbbe Zizek, un supplemento osceno di quella struttura? E’ un’ipotesi quantomeno da analizzare e verificare, allora, quella di una relazione causale tra la “cura delle anime” e la “cura del corpo” (che non riguarda secondo me la semplice questione del celibato, è troppo semplicistico): magari è proprio per questo che le gerarchie hanno sempre scelto di tacere, perché andare a toccare quel tasto avrebbe significato mettere in questione l’intera struttura del sacerdozio, delle “vocazioni”, della trasmissione gerarchica del sapere, la questione del potere – il pastore e il gregge, il “padre” e i figli, la colpa-espiazione…Ipotesi.

  21. @ansuini

    “Quindi sicuramente non è che fare il prete ti fa commettere più abusi, ma chi vuole commettere abusi sui minori magari sceglie di fare il prete. O al limite ripiega nella famiglia”.

    Scusi,ma questa affermazione mi pare alquanto azzardata e anche ingenerosa,per non dir altro,come dire che la vocazione al sacerdozio sia solo un sottoptodotto di un’originale vocazione alla pedofilia e la famiglia un rifugio,un ripiego per abusi già programmati in partenza.

    Sono le parole “sceglie” e “ripiega” da lei usate che suffragano una intenzione preordinata,che ritengo un po’ squallido attribuire a queste istituzioni.

  22. “Ci vorrebbero le mura trasparenti come in dogville di von trier per l’umanità”.

    Pedofilia a parte,allora si che ci sarebbe da divertirsi per tutti!

  23. Ansuini, scrivi: “sicuramente non è che fare il prete ti fa commettere più abusi, ma chi vuole commettere abusi sui minori magari sceglie di fare il prete”. Se così fosse, ci sarebbero più pedofili tra i preti che tra i biscazzieri e i lattai (professioni che, non mettendo l’adulto in una relazione particolare col bambino, sarebbero schifate dai pedofili). Giusto?

    Quanto alle mura trasparenti, il sistema di spie della Ddr era riuscito a realizzare qualcosa di simile. Ma mi pare che nessuno lo rimpianga.

    Marco: se la pedofilia è diffusa tra i preti quanto tra i biscazzieri e i lattai, non dovremmo forse anche domandarci perché in settori così poco delicati come la biscazzeria e la latteria, in cui la cura dell’infanzia è così marginale, si continua da tempo immemorabile a far allignare la pratica della pedofilia? Dovremmo analizzare e verificare l’ipotesi di una relazione compensativa, per cui l’assenza di “cura delle anime” è compensata dalla “cura del corpo”? (Ecc.).

    Risulta che ci siano più pedofili tra i preti che tra i biscazzieri e i lattai? Risulta o no? Qualcuno lo sa?

  24. Johnny Doe: Purtroppo non ho fiducia nelle istituzione menzionate, famiglia e chiesa necessiterebbero di un umanità buona visto la pratica difensivista che tendono ad avere, e io questa fiducia nell’umanità non ce l’ho.

    Giulio Mozzi: temo, così a occhio, che ci siano più casi di pedofilia nella chiesa (e nella famiglia, anche se è una macrocategoria, che potrebbe comprendere sia i lattai che i biscazzieri) che nelle latterie e nelle bische. Ma posso sempre sbagliarmi. Questa ipotesi l’avanzo perché di latterie, intese come negozi che vendono latte ce ne sono pochi, di bische forse qualcuna in più, di chiese certamente moltissime. Mi affido alla statistica, diciamo. E all’intenzionalità del pedofilo che, da cacciatore, sceglie gli habitat che gli sono più congeniali.

  25. se anche ci fossero più pedofili tra i lattai, non mi risulta che i lattai abbiano scuole in cui accolgono i bambini, non mi risultano seminari di lattai, oratori di lattai, né mi risulta che ai lattai i genitori affidino i bambini, né che i lattai abbiano istituzioni che si chiudono a riccio per negare che nelle loro associazioni, scuole, asili, seminari venga praticata la pedofilia né che i lattai si ergano a difensori della morale e della sua custodia

    santa pace

    quando l’amore per la precisione prende questa strada ci mette poco a trasformarsi in formalismo giustificazionista e difensivo

  26. Alcor, ma si tratta semplicemente di questo: quando si parla della pedofilia come di una pratica che alligna particolarmente tra i preti cattolici, varrà la pena di domandarsi se è vero o no che la pedofilia è una pratica che alligna particolarmente tra i preti cattolici (più che tra il clero cristiano non cattolico, tra il clero di altre religioni, tra altre categorie di persone che hanno che fare professionalmente con i bambini, ecc.). O no?

    Ansuini: dici che ti affidi alla statistica, ma evidentemente confondi il numero assoluto con la frequenza.

  27. Mozzi: la frequenza è data dall’incontro di domanda e offerta. A parità di condizione, mettendola come dici tu, non dovremmo avere differenze sostanziali fra, diciamo maestri d’asilo e preti. Invece, a occhio, una differenza c’è. Poi ti ripeto, può darsi che mi sbagli, numeri esatti non ne avremo mai. Ma la chiesa storicamente difende e lava in casa i suoi panni sporchi, motivo per cui sono portato a pensare che di casi ce ne siano molti di più, aggiungendo la variabile che l’uomo non è buono secondo me, e il pedofilo, microcategoria deviata della macrocategoria umana non è scemo, si apposta dove ha maggiori garanzie di non essere smascherato. Se “vuoi” prendere l’influenza ti bagni e esci fuori in balcone d’inverno nudo, non ti chiudi in casa sotto una coperta calda. Tu mi pare che sostieni invece che non è detto che se ti bagni e vai fuori nudo in balcone ti prenderai un’influenza, dici che se ci mettiamo a contare magari sono più quelli che si sono ammalati restando in casa. Ti ripeto, mi sembra che nei tuoi ragionamenti puntigliosi manchi sempre l’intenzionalità dei soggetti, che è presunta, mai accertata. Non vorrei andare troppo OT ma è la stessa cosa che ti fa presumere che marina berlusconi non evada le tasse, perché non hai prove. Ogni volta che mi trovo a confronto con un tuo ragionamento mi sembra sempre viziato da troppa parzialità. Per te magari i miei sono viziati da troppa pregiudizialità. Non credo ne usciremo mai fuori.

  28. io non sostengo che alligni particolarmente tra i preti cattolici perché non lo so

    so però che l’istituzione ecclesiastica, che da noi è quella cattolica, ha sempre taciuto, coperto, tollerato i pedofili al suo interno, questa mi pare fosse qui la questione, perché l’istituzione ha potere, e se il bambino non parla e non può difendersi di fronte all’adulto che teme in quanto adulto perché ha più potere di lui, tanto più lo teme se questo adulto è il suo parroco, il suo prete, il suo insegnante, e lo teme la sua famiglia con lui, se è socialmente debole, e peggio ancora, rischia di non credergli perché l’autorità parte in vantaggio

    questo è orrendo anche nell’eventuale parità numerica tra preti e lattai, e ai miei occhi rende meno importante l’eventuale luogo comune che attribuisce all’istituzione cattolica un numero più alto di pedofili, perché se anche nei numeri possono essere pari, è la qualità di educatori e custodi dell’infanzia alla quale la chiesa si richiama che li rende dispari in gravità

    cioè, per essere ancora più chiara, non mi interessa sapere se ci sono più pedofili tra i preti o tra i lattai, ma le colpe dei preti sono enormemente maggiori, più devastanti e più oscene

  29. In effetti, se non ci sono le prove, non si può condannare Marina Berlusconi per evasione fiscale. Se un tribunale lo facesse, sarebbe scandaloso. O no?

    E, scusa, Ansuini, ma dove sarebbe la mia parzialità? Per quale parte io terrei, secondo te?

    Qualche tempo fa, qui in Nazione indiana, ferveva una grande discussione attorno al tema: “I preti cattolici diventano pedofili perché non hanno di che sfogarsi sessualmente, quindi bisogna togliere il celibato ai preti cattolici”. Discussione che, non appena ci si è accorti che tra i pastori protestanti, che si sposano eccetera, ci sono (negli Stati uniti d’America) almeno altrettanti casi di pedofilia che tra i preti cattolici, ha rivelata tutta la sua natura di chiacchiera da bar.

    Tutto qui. Se proprio devo stare da una parte, non vorrei stare dalla parte delle chiacchiere da par.

  30. Alcor, ora scrivi: “io non sostengo che [la pedofilia] alligni particolarmente tra i preti cattolici perché non lo so”.

    E non lo so neanch’io.

    Poi scrivi: “So però che l’istituzione ecclesiastica, che da noi è quella cattolica, ha sempre taciuto, coperto, tollerato i pedofili al suo interno, questa mi pare fosse qui la questione”. No, non è qui la questione. Questa parte di discussione si è avviata dopo questo mio intervento, che si riferiva a quest’altro.

  31. non «ora» scrivo, non l’ho scritto né ora né mai

    Quanto al resto, la questione sarà quella che indichi per te, non per me, io ho letto il post, e poi ho visto che la discussione andava a parare in un (a mio parere) vuoto formalismo, senza badare a quella che a mio avviso è la sostanza, anzi deviandola

  32. oh madonna!

    ti contestavo l’uso di ora, più precisamente, intendevo: non lo scrivo “soltanto” ora, non l’ho mai sostenuto [né mi interessa l’argomento]

    nel succo, io sono d’accordo nell’evitare le generalizzazioni che portano a valutazioni erronee e a pregiudizi, non solo sono un brutto vizio, ma sono anche dannose, ma qui onestamente spendersi contro la generalizzazione, lasciando perdere il resto mi appare capzioso, ci sarà pure, almeno in alcune occasioni, una gerarchia nell’importanza dei problemi

  33. ammetto di essere ellittica, a volte, ma l’ellissi si usa quando si ha una certa fiducia nella capacità di comprensione dell’altro, o la devo perdere?

  34. Evitiamo dunque le generalizzazioni che portano a valutazioni erronee e a pregiudizi: non solo sono un brutto vizio, ma sono anche dannose. Punto.

    Se al mio invito di ieri a evitare tali dannose generalizzazioni non fossero seguite alcune difese delle generalizzazioni stesse, la discussione non sarebbe stata così lunga.

  35. “Non l’ho scritto né ora né mai” non mi sembra una frase “ellittica”. Mi sembra molto precisa. Ora ho capito che il mio “ora”, che era un’espressione ellittica per dire “in quest’ultimo momento”, è stato frainteso. Eviterò dunque di usare, in futuro, espressioni ellittiche.

  36. eh no, Mozzi, questi sono giochetti, se tu dici: «Alcor, ora scrivi: …» capisco perfettamente che intendi “in quest’ultimo intervento”, non c’è niente di ellittico, ma per il solo fatto di dire «ora» o «in quest’ultimo intervento» apri la possibilità che in altri interventi io mi sia espressa diversamente, il che io nego.

    E ora basta, nel senso di “da questo momento in poi”.

  37. “In effetti, se non ci sono le prove, non si può condannare Marina Berlusconi per evasione fiscale. Se un tribunale lo facesse, sarebbe scandaloso. O no?”

    parafrasando

    “In effetti, se non ci sono le prove, non si può condannare un prete per pedofilia. Se un tribunale lo facesse, sarebbe scandoloso. o no?”

    Il punto è che in entrambe le questioni le regole del gioco sono falsate. Nel caso di marina b ci sono leggi e leggine che fanno sparire reati che prima erano reati e adesso non lo sono più.

    Nel caso dei preti addirittura la chiesa non divulga il reato quindi non esisterà mai.

    A questo gioco vincono sempre loro, ma non è che non ho il diritto di presumere che il reato ci sia.

    Sulla questione dei preti che sfogherebbero impulsi che con il celibato gli sono preclusi mi sembra una sciocchezza.

  38. Chiedo venia per l’ultima frase che ha una costruzione strampalata. Spero il senso si capisca. Vado a dormire.

  39. Vedi, Alcor, scrivendo “questi sono giochetti”, tu mi attribuisci un’intenzione che non ho. Trovo piuttosto futile discutere sulla base di ciò che si suppone avesse in mente o in intenzione l’altra persona, anziché sulla base di ciò che la persona ha scritto.

    Gibril, cosa c’è di “grottesco” nei commenti firmati giuliomozzi?

  40. Ansuini, scrivi: “Sulla questione dei preti che sfogherebbero impulsi che con il celibato gli sono preclusi mi sembra una sciocchezza”. Che è appunto quanto suggerivo qui, nel mio primo intervento in questa discussione.

  41. questa discussione è la dimostrazione più efficace di come un post, un libro, una discussione che ne consegue siano per molti mero pretesto per mettersi in mostra, per sfogare la propria vanità lessicale, per poter dire al mondo ci sono anch’io… i blog dovrebbero chiudere i commenti, non servono a nulla

  42. Ma non perdiamo di vista il nodo cruciale del problema: qui si parla di abusi gravissimi commessi contro bambini da preti, che dovrebbero avere insita nella loro missione la cura delle anime, di tutti, dei bambini in particolare (“lasciate che i bambini vengano a me” ricordate?), non dei loro esili corpi. Negli Stati Uniti sono stati riconosciuti risarcimenti milionari. Qui sopra leggo una recensione splendida, scritta empaticamente, a un libro che si annuncia forte e toccante. Non c’è posto in tutto questo per la querelle.

  43. Algabor, chi sono i “molti” dei quali parli? Sei in grado di dire i loro nomi – o i nomignoli con i quali appaiono in questa discussione?

    Così almeno si capisce di che cosa e di chi stai parlando.

  44. dal commento 12 in poi, tutti. Poi tu credi che bisogna fare nome e cognome, perché le cose non sufficientemente chiare? Mah!

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marco rovelli
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Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.
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