Ineditudini: Giacomo Sandron

Poesie 1

di
Giacomo Sandron

cinque minuti prima dell’inizio
bisogna stare già al proprio posto
aspettando che suoni la sirena
marchiato il cartellino con i tappi nelle orecchie
ci si mette il cuore in pace e si comincia

otto ore filate più una per il pranzo per contratto
ci dovrebbero dare un paio di scarpe antinfortunistica
e dei guanti ma niente allora le mani
cominciano a tagliarsi dal primo mattino
si ricuciono e riaprono conficcate dai cartoni
la lentezza con cui si cicatrizzano
sta lì a significare la pazienza che ci vuole
questa lotta si vince al collasso di una delle parti
allo stesso tempo diventare il loro tempo e combatterlo
ritagliarselo chiudersi nel bagno come scampo tenere duro
arrotolarsi le cicche prendersi un caffé senza timbrare
ingoiare arrotondare la mezzora de scondiòn

A linea xe come ‘na mama
che sempre te rompe i cojoni,
mai te mola, mai te lassa star,
no se stanca, no sta ferma, no sta sita
ta i nidi dee recie se rabalta
un casin sensa fin, sensa pase,
un martel inciodà inte ‘l ciaf
che no ‘l tase, e paroe e sbrissia in goa
e se stua scafoiando, i denti
deventa daduti da oto, da strenser,
che no le scampi besteme de fora
‘l col come quel de un muss che ‘l tira
i polmoni s-gionfi de spussa
sacheti onti dee scovasse
i nervi o tendini rusine
de fero stendi pani par picar i
strassi de quel che vansa de a creansa.
Tute ‘ste monae davanti ai oci,
pensavo, tute ‘ste monae davanti,
tuti i giorni santi, i oci par primi
i se suga, i se mastrussa, i se fissa
orbi come dentro un specio che no specia.

la benedizione quotidiana dell’assegnazione del reparto
deciderà del tuo supplizio se sarà lombare o più su dorsale
se ti tireranno i tendini lungo le braccia o perderai
la sensibilità dei polpastrelli se ti sveglierai
nel cuore della notte continuamente informicolato
da quando ho cominciato a lavorare non cago più come prima
dal naso mi escono solo bruni pezzetti che sembra catrame

Mi, pensavo, no so se ghe a vanto
no so ancora quanto combino
a star qua drento, se no scampo,
se vao ‘vanti co e man ingropae
in tuto ‘sto tormento, me deventarà,
e man, a scuminsiar da i dei,
se i no me parte via, se no
i me se sbrega via, se no
i me se schinsa in qualche pressa,
se i resta al posto loro tacai ae man,
che fa fin stran vardarse e man
e trovarli, i dei, tacai
tuti e diese ancora lì al posto suo,
me deventarà, e man, tochi
de fero o plastega o cemento
mani piconi bone da ninte
bone sol che par dar pache
i brassi come pai, duri altretanto,
e spae me se incricarà par sempre
a schena, se anca meti caso
la resta drita, se meti caso no
la se storse come un saèss batùo
dal vento, se no la se marsise a son
de voltaren, pirulìn,
chissà-cos-che-‘l-xe-para-so, me sa che
la restarà in pie come e case
vecie dei paroni de campagna
scavesae, mese dirocae,
muci de rudinasi tignui in pie
co ‘l spuaso, dura più dura
de la ponta de ‘ste scarpe che
me bate sui dei, dura che gnanca
tuto l’amor dee to man rivarà
a moarla pì, ‘na piera a ramengo,
‘na schena de piera de scarto,
e gambe, a furia de andar su e so
su sta linea, e se piantarà
in ‘sto sempio de posto,
no sarà pì bone de far ‘na corseta
do tiri a baòn, andar in bicileta,
trinche inciodae ta ‘l reparto
i pie no se movarà pì
raìse sensa fruto, pensavo, a testa,
pensavo, a testa, pensavo, a testa,
pensavo, a testa, pensavo, a testa,
pensavo, a testa, pensavo, a testa,
pensavo, a testa, a me parte, no torna.

è con la terza settimana di fila che tutto si uniforma
che finalmente la schiena si rompe
il filo asseconda il turno della sveglia mugugnando meno
si uniformano i pensieri tra le fila dei reparti le bestemmie
rabbiose sfilate a forza dai denti esplosioni
di cristi e madonne che squarciano il petto
e danno sollievo il tempo che durano sono un canto
sono un canto che le mani sono dure per sempre
non basta la crema idratante
non toccano più queste mani non toccano
premono afferrano spingono tirano
non toccano si dimenticano come fare
come posso infilare queste dita
nella bocca della donna che mi piace, come farei,
aprirei delle voragini

Cussì scuminsia, pensavo, un toco
par volta, pensavo, sensa un lamento,
pensavo, cussì devento, pensavo,
un toco anca mi, pensavo, ma
no tanto par dir, pensavo, un toco vero,
pensavo, un toco de tochi, pensavo,
toco dentro tochi, pensavo, tochi
montai su tochi, toco de tochi
strenti co’ altri tochi, pensavo, muci
de tochi compagni, pensavo,
tuti tochi de tochi tuti,
pensavo, tochi tuti quanti

casca tochi pici
casca come strafanici
casca tochi tochini tocheti de pan
casca tuti i tochi da e man
i va par tera se missia ai bissi
se mistura ai strassi
i tochi deventa tocuti deventa fregoeti
deventa granei che no te vedi co i oci
deventa pici, pì pici dei peòci
e i sparisse

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NOTE
  1. Ieri sera a Milano sono stato al reading, I mercoledì di Turro, organizzato da Francesca Genti e Anna Lamberti Bocconi. Mi ha molto colpito questa poesia, letta insieme ad altre inedite, e ho chiesto all’autore di pubblicarla su NI. Ringrazio sia i poeti presenti che gli amici incontrati e auguro buon compleanno ad Alessandro Magherini.effeffe

9 Commenti

  1. toccante – sì anche con le mani grosse, indurite, si tocca.

    grazie; mi spiace di perdere per via qualche parola dal dialetto, ma mi sembra che non importi. un saluto. azzurra

    • ciao Azzurra, grazie a te per esserti fatta toccare, se vuoi che ti traduca qualche passaggio in dialetto che hai perso chiedi pure

    • grazie mille Maria, di cuore. forse “grandissimo” è un po’ eccessivo, però si tenta di far le cose fatte bene :) grande abbraccio

  2. un grande grazie a effeffe per la proposta e per l’ascolto attento e incuriosito e a tutti quelli che erano presenti quella sera a Milano. grazie infine a chi avrà la voglia e la pazienza di leggere questi versi. un saluto a tutti

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Sono musicista, quando si studia un brano si considera che anche il silenzio, la pausa sia musica. Compositori come Beethoven ne hanno fatto uso per sorprendere, catturare, ritardare le emozioni del pubblico, il silenzio parte della bellezza. Il silenzio qui però non è la bellezza. Il silenzio che c’è qui, da più di dieci mesi, è anti musicale, è solo vuoto.
francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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