Esercizi di copiatura: 53 lettere di Paul Cézanne

La filologia ha ormai da molto tempo fatto i conti con una questione piuttosto delicata, quanto inevitabile: esiste una situazione, o meglio, una condizione psicologica della copiatura. Dobbiamo in primis al magistero di Louis Havet e al suo Manuel de critique verbale appliquée aux textes latins (1911) le pagine più chiare e illuminanti al proposito. Senza farla lunga: chi copia un testo (ad esempio un manoscritto) incappa inevitabilmente in errori, più o meno involontari. Havet ne elenca alcuni: errori diretti e indiretti, errori di udito e/o di vista, senza dimenticare l’influenza del modello, del contesto e – aggiunge – della personalità del copista. Il nostro copista, qui in questione, ha un nome: John Rewald. E’ lui che nel 1937, tra mille ricerche e un accanimento costante, pubblica i risultati di anni di lavoro dedicati al suo artista prediletto, Paul Cézanne.

John, nato Gustav Rewald (Berlino, 1912; New York 1994) è con ogni probabilità lo storico dell’arte che più ha contribuito a far conoscere e a modellare – attraverso monografie, articoli, catalogues raisonnés – la figura di Cézanne, così come oggi per lo più la conosciamo. Sostiene alla Sorbona una tesi sui rapporti tra Cézanne e Zola. Nel 1937 pubblica la Correspondance, composta da 207 lettere (per i tipi di Grasset). Nel 1959 aggiunge un volume di lettere, nel frattempo rinvenute (cfr. John Rewald, Cézanne, Geffroy et Gasquet. Suivi de Souvenirs sur Cézanne de Louis Aurenche, et de lettres inédites, Quatre Chemins-Editart, Paris). Nel 1978 compatta il tutto in una nuova edizione della Correspondance, che egli dichiara “completa e definitiva”.

Chi scrive non è il biografo ufficiale di Rewald; ci siamo semplicemente avvalsi delle notizie riportate da Jean-Claude Lebensztejn nella sua introduzione a questo prezioso Cinquante-trois lettres (transcrites et annotées par Jean-Claude Lebensztejn), L’Échoppe, Paris, 2011. Cinquantatre lettere di Cézanne, appunto, trascritte e annotate da Jean-Claude Lebensztejn; 34 apparse in precedenza sulle pagine dei Cahiers du Musée d’Art moderne, n. 111 (2010), autografi che Lebensztejn ha avuto modo di consultare (originali, microfilm tra Austin e Aix – o fotografie del fondo Vollard depositato presso il Musée d’Orsay). Le restanti 19 lettere risultano in buona parte inedite e provengono invece dal Musée des Lettres et Manuscrits di Parigi. Fanno luce sulla vita di Cézanne, e in particolare sui rapporti con Gustave Geffroy e Francisco Oller. Nulla è definitivo, dunque.

Professore emerito di storia dell’arte presso la Sorbona, Paris I., Lebensztejn ha insegnato come “visiting professor” in diverse università (Quebec, Berkeley, Virginia, soprattutto a Harvard). Si è principalmente occupato di teoria dell’imitazione (tra Neoclassicismo e Romanticismo) e dell’origine dell’astrattismo. In Italia è stata tradotta nel 1986 la sua trascrizione commentata (la prima filologicamente corretta) del diario del Pontormo. Di pochi anni fa è la pubblicazione del suo Dell’imitazione nelle belle arti (Solfanelli, 2008). Ma sono solo briciole. Altri libri aspettano di essere tradotti; tra questi, vale la pena ricordare almeno L’art de la tache. Introduction à la Nouvelle méthode d’Alexander Cozens (éditions du Limon, 1990), Jacopo da Pontormo (Aldines, 1992), e Études cézanniennes (Gallimard, 2006) che raccoglie una serie di saggi “cézanniani” scritti nel tempo. Ma perché raccogliere queste 53 lettere? Proprio per i motivi che abbiamo indicato più in alto. Possibile che una condizione psicologica della copiatura abbia giocato brutti scherzi a Rewald? Così sembra. Lebensztejn, dal canto suo, pur sottolineando l’importanza cruciale del lavoro dello studioso, dichiara di aver scelto queste lettere proprio perché vi apparivano diversi tipologie di errori. A volte semantici (parole trascritte male o saltate). Non sfuggono a questa condizione le toccanti missive di Cézanne al figlio, qui interamente riportate, ed emendate da alcuni errori di lettura, accompagnate da note esplicative (che appaiono in calce ad ognuna delle lettere). Sebbene Rewald sostenesse di aver copiato le lettere dai documenti originali, risulta invece chiaro il suo debito rispetto a pubblicazioni anteriori (Vollard, Geffroy, Mack), da cui ha ereditato anche una serie di imprecisioni, di errori (indiretti in questo caso). E di omissioni (a volte paragrafi interamente saltati, riguardanti personaggi ingiuriati da Cézanne, all’epoca della pubblicazione ancora in vita). Oltre a  questo, la scrittura di Cézanne, la sua punteggiatura piuttosto inusuale (l’uso costante del trattino, ad esempio), è stata da Rewald “normalizzata”, alterando – segnala Lebensztejn – la sua respirazione grafica, tanto che la totalità delle varianti avrebbe in questo caso appesantito assai l’apparato delle note.

Anche le cancellature e le aggiunte, salvo casi particolari, non sono state segnalate da Rewald. Eppure, di Cézanne rivelano il movimento del pensiero (nella lettera 31 – un incoraggiamento al pittore Louis Leydet – egli sostituisce «le ciel» con «les circonstances», ad esempio). Vengono poi gli errori di lettura, di cui riportiamo solo alcuni esempi: in una lettera a Pissarro del luglio 1876, Cézanne dichiara di voler passare almeno “un” mese a l’Estaque, per completare una grande tela di due metri. Lebensztejn vi legge “sei” mesi (dato che Cézanne non era il tipo da completare una grande tela in un mese; e solo da una trentina di giorni si trovava lì). In una lettera al figlio Paul scrive di vivere «un po’ come in un sogno (rêve)», e non «come in un vuoto (vide)», come vorrebbe la vulgata (Rewald, Mack). Cézanne – in molti si stupiranno (ma non Roger Fry e neppure Lebensztejn) – sognava. E poi errori di lettura che somigliano a censure: gli intellettuali del suo paese sono una «razza di rotti in culo (enculés), di cretini e di buffoni» e non una razza di ignares, cioè di «ignoranti, di cretini e di buffoni». Il carattere sanguigno di Cézanne è a tutti noto.

Appare dunque plausibile che l’edizione italiana delle Lettere, a cura di Elena Pontiggia, a sua volta basata sull’edizione Rewald del 1937, risulti inevitabilmente affetta da diversi errori indiretti. E pecchi a sua volta di qualche omissione. Un solo esempio: nell’ultima lettera al figlio Paul, Cézanne prega il figlio di ordinare due dozzine di pennelli “émeloncilo” (o “émeloncile”, secondo Vollard e Rewald), cioè dallo spagnolo meloncillo: un icneumone, animale conosciuto anche con il nome di mangusta. Va da sé che sapere quale tipo di pennelli sono utilizzati da un pittore non è cosa di poco conto. Eppure il termine nella traduzione dell’edizione italiana non appare (almeno in quella che abbiamo sotto gli occhi: Paul Cézanne, Lettere, Milano, SE, 1985-1997, p. 152).

Jean-Claude Lebensztejn considera la storia dell’arte come una detective story. Egli auspica che la scelta di pubblicare queste Cinquante-trois lettres spinga qualcuno a lavorare ad un’edizione critica della Correspondance. Mentre leggevo queste Cinquante-trois lettres ho immediatamente pensato a qualcosa di utopico. Ho pensato che l’esattezza è in fondo qualcosa di utopico. È ciò che sosteneva il personaggio di un libro: «La santità dell’esattezza. Il rispetto di se stesso. (…) L’utopia significa semplicemente l’esattezza! Il comunismo significa togliere gli errata dalla storia. Dall’uomo. Correggere bozze.». Forse queste cose si sono un po’ perse. Non per Lebensztejn, credo. In ogni caso, questo sosteneva “Il Gufo” o “Il Professore”, in un romanzo di George Steiner. Non so se “Il Gufo” sia davvero il ritratto alterato di Sebastiano Timpanaro. E non so neppure se sia stato il ruolo della mano, o la dettatura interiore, o la memorizzazione del testo, o gli errori di lettura ad aver portato John Rewald in errore. In ogni caso, il titolo di quel libro è Il correttore. Immagino che Jean-Claude Lebensztejn lo conosca.*

* Pubblicato il giorno 04/05/2012 su Il manifesto, con il titolo “Esercizi di copiatura sulle lettere di Paul Cézanne”.

 

 

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