Il trecentista da riporto
di Andy Violet
Per te risulto antico e medievale un vate con in mano piume d’oca che scrive nottetempo a luce fioca sulle pelli essiccate d’animale non come te, scrittore minimale anarchico poeta che disloca i versi come vuole e per sé invoca la morte di ogni regola formale. Ristagno nei lirismi primitivi un vezzo che al tuo gusto appare sciapo nient’altro che conati compulsivi di trasformare un testo in rompicapo mentre tu hai conquistato quando scrivi la sacra libertà di andare a capo.I commenti a questo post sono chiusi
Caro Andy racconterò di te alla notte cose alla curiosità preziose e sarò poeta.
:) bella, mi piace molto.
(anche se io mi tengo la mia sacra libertà)
O frate», disse, «questi ch’io ti cerno
col dito», e additò un spirto innanzi,
«fu miglior fabbro del parlar materno.
Versi d’amore e prose di romanzi
soverchiò tutti; e lascia dir li stolti…
Purgatorio XXVI, 115 ssg.
La voce è quella del “lussurioso” Guinizelli, che addita a Dante Arnaut Daniel, “il miglior artefice del volgare” (il parlar materno, in opposizione alla grammatica, cioè al latino)… Oltre a proclamare coraggiosamente la superiorità morale e letteraria del volgare, lingua sensibile e duttile, capace di dar vita a grandi opere letterarie, Dante si serve in questi versi di una metafora estremamente significativa: quella del fabbro.
(di giulia ichino)
Perché uno sente il bisogno di scrivere cose di questo tipo?
Perché è necessario.
l’architettura, fin dai tempi antichi, è sempre stata la migliore consigliera
quando poi si unisce al genio per diletto
…
(un nuovo Verlaine a luci rosse è alle porte).
contenti voi.
Questo andare a cercare con i commenti un qualche qualsiasi senso compiuto non è male, si è contenti con il facile profitto, io lo ammetto, cosi quando Nietzsche parla male dei poeti immagino che non allude a me.
non mi riferivo ai commenti, eh.
note esplicative a margine, per quelli a cui non fosse chiaro il tono:
http://www.zibaldoni.it/2013/01/31/speciale-elezioni-1/
(con particolare riguardo al secondo giambo)
e
http://www.zibaldoni.it/2013/02/04/speciale-elezioni-2/
e detto l’ho perché doler vi debbia.
“Il sonetto è tornato di moda”
La cultura industriale dei padroni
rimane sempre uguale, ancora vale
la scrittura campale di Volponi
(leggevo “Le mosche del capitale”),
con Nasapeti a far le opposizioni
mesmerizzando il mondo immateriale
lungo l’abisso delle irrelazioni
tra economia, politica e reale.
Le mode passano, qualcuna invecchia,
tutto resuscita se trova un target;
l’industria culturale in sè si specchia,
provando nomi per chiamarsi bella,
intitolarsi con allori e targhe
qualche giustizia e qualche buona stella.
In fondo la retorica accademica
ha sempre vocazione di stereotipo,
purché si fissi in dogma e dagherrotipo
la legge in voga nella forma endemica.
Non conta molto il cambio del prototipo
né poi la semeiotica epidemica,
ma solo la tendenza un poco anemica
che domina il gregario e il suo biòtipo.
C’è stato il tempo dei balocchi arcadici,
dei petrarchismi, il gioco dei romantici
la fantasia dei dannunziani sadici,
poi le avanguardie lì a sfiatare i mantici:
ma dopotutto certe forme restano
a onta delle capre che le pestano.
Daniel! Mi è tornata alla mente una cosa di Gernhardt :-)
https://www.nazioneindiana.com/2008/08/23/materiali-per-una-critica-della-piu-celebre-forma-poetica-di-origine-italiana/
Che sfizio però -per smerdare il sonetto ha dovuto farne uno :D
ecco una capra, un animo diverso
che pesta indegnamente questa forma
ma sento che qui pur compare l’orma
del sacro ritmo che va oltre il verso
son vate indegno però ho di traverso
tutta la sarabanda, quella torma
di gente che non sa mettere a norma
né metrica né rima e il ritmo ha perso.
mi piace l’arte magica, e il sonetto
è magico, ne sa qualcosa il vate
che primo rese omaggio a questa stanza
ma adesso va più in voga l’incostanza
non frega che son sette e son baciate
perché è lo zero il numero perfetto
è divertente, però – perdonami – certe volte mi permetto di pensare: vabbe’, daniele, ma in fondo che te ne frega?
mi sa che hai ragione, ma c’è un punto da mantenere ;)
Ed io, che ho sempre detto che era un gioco
saper usare o no d’un certo metro,
non ho bisogno di passar col fuoco
quest’arido terreno, nè lo spietro,
nè crescita, nè messe alcuna impetro
con questo salmodiare lento e roco;
che tra le buste, i copertoni, il vetro,
già crescono la rosa, il giglio, il croco.
E sopra tutto cresce la gramigna:
su endecasillabo e su settenario,
su prosa, verso libero e figura,
nell’aura residuale dove alligna
l’egomaniaco sfarsi velleitario
d’una poesia che è posa e posatura.
Ma a stare tra tignosi vien la tigna,
e il mondo è tanto vasto e tanto vario
che non ha senso darsi tanta cura
nel coltivare un’espressione arcigna
da eroico combattente solitario
che sfida l’orda e spazza la lordura.
Tieni punto
con puntiglio
ma lo piglio
per l’appunto
(non sei l’unto!)
per consiglio.
A un appiglio
sono giunto:
Sarà vero:
tutto trito
tutto frusto,
Ma il sincero
è gradito
come il gusto.
come mi piacciono i versi in rima!