Nella colonia penale di Kafka
(Descrizione del dispositivo, disegno di Davide Racca)
tradotto da Davide Racca
[Questo attraversamento di Racca della Colonia Penale di Kafka, scritto pochi mesi dopo lo scoppio della Grande Guerra (di cui in questi tempi si commemora il centenario), non è solo una ritraduzione letteraria del testo, ma si compone di un apparato saggistico in chiave politica e filosofica (con riflessioni da Foucault ad Agamben, da Dal Lago a Bauman) e una serie di otto disegni ispirati dal racconto.
Qui di seguito dei brevi frammenti di questo lavoro che si riferiscono al “dispositivo di tortura” (si noti che la parola “dispositivo” non è un termine usato a caso in questo contesto).
Scrive Racca nella Nota al testo (pag.7): “La descrizione del dispositivo di tortura (una macchina che uccide attraverso la scrittura), e del martirio del condannato, appare il fulcro della narrazione, e di certo Kafka vi indugia nell’invenzione letteraria con dovizia di particolari. Ma in realtà questa descrizione tende a nascondere il vero conflitto che muove il racconto, e cioè quello tra il vecchio e il nuovo potere in uno stato di eccezione (stato di eccezione che, a partire dalla prima guerra mondiale, non ha più smesso di svolgere un ruolo problematico all’interno delle nostre democrazie).”B.C.]
Estratto da NELLA COLONIA PENALE nel quale l’ufficiale descrive il dispositivo di tortura al viaggiatore
[…] “Questo dispositivo”, disse, e afferrò una biella alla quale si appoggiò, “è una trovata del nostro precedente comandante. Io personalmente ho collaborato fin dai primi esperimenti e preso parte anche a tutti i lavori fino al completamento. Ma il merito dell’invenzione spetta esclusivamente a lui. Ha sentito del nostro precedente comandante? No? Ora non esagero a dire che l’ordinamento di tutta la colonia penale è opera sua. Noi, i suoi amici, già alla sua morte eravamo consapevoli che l’ordinamento della colonia è talmente conchiuso in sé che il suo successore, avesse avuto mille progetti in mente, non avrebbe potuto mutarne niente, almeno per molti anni. E la nostra previsione si è avverata, il nuovo comandante ha dovuto ammetterlo. Peccato che non ha conosciuto il vecchio comandante! Ma…”, si interruppe l’ufficiale, “le mie sono chiacchiere, e il suo dispositivo sta qui davanti a noi. Come vede, si compone di tre parti. Nel corso del tempo si sono formate per ciascuna di queste parti denominazioni in un certo senso divulgative. Quella inferiore si chiama letto; la superiore è il disegnatore; e la parte oscillante qui nel mezzo si chiama erpice”. “Erpice?” domandò il viaggiatore. Non aveva prestato appieno attenzione; il sole si arenava troppo ardente nella valle senz’ombra; a fatica poteva raccogliere i suoi pensieri.
[…]
da Nota alla traduzione
Un […] termine “concordato” nella storia della traduzione italiana di Nella colonia penale è incisore (nel racconto uno degli elementi del dispositivo di tortura), con cui viene comunemente tradotta la parola Zeichner. Per tradurre questo termine ho preferito il più letterale disegnatore. Anche se incisore
è un sostantivo efficace per esprimere l’azione del dispositivo sul corpo del condannato, a me sembra che il termine disegnatore sia più appropriato rispetto alla funzione effettiva che l’elemento svolge all’interno della macchina. Il disegnatore, infatti, non serve a incidere direttamente (a questo ci pensa
l’erpice con i suoi aghi), ma è la componente superiore dove viene introdotto il disegno dell’ufficiale per trasmettere la condanna alla meccanica dell’erpice. In questo senso il disegnatore ha una funzione più mediata: quella appunto di designare la condanna per il condannato (designare è infatti l’etimo latino di disegnare).
[…]
Dal saggio Nel dispositivo della Colonia Penale
[…] La macchina, attraverso i disegni del vecchio comandante, inscrive il bello della decorazione e il vero della giustizia sulla pelle del condannato, che dunque farà esperienza della legge sulla propria pelle, decifrandola con le ferite; e contestualmente incide nella coscienza dello spettatore (soprattutto nella futura memoria dei bambini) il sublime e terribile spettacolo del supplizio[1].
[…]
[1] Citazioni da M. Foucault, Lo splendore dei supplizi, in Sorvegliare e punire (Einaudi, Torino 1993).
«Il supplizio è una tecnica e non deve essere assimilato all’estremismo di una rabbia senza legge» (Ivi, pp. 36-37).
«Inoltre, il supplizio fa parte di un rituale. È un elemento della liturgia punitiva, e risponde a due esigenze. Deve, in rapporto alla vittima, essere marchiante: è destinato, sia per la cicatrice che lascia sul corpo, sia per la risonanza da cui è accompagnato, a rendere infame la vittima; il supplizio, anche se ha la funzione di “purgare” il delitto, non riconcilia; traccia intorno, o, meglio, sul corpo stesso del condannato dei segni che non devono cancellarsi (Ivi, p. 37) .
«Come diceva Vico, questa vecchia giurisprudenza “fu tutta una poetica”» (Ivi, p. 49).
Per gentile concessione dell’editrice Zona Contemporanea
Per maggiori info: www.zonacontemporanea.it/nellacoloniapenale.htm
Questa nuova traduzione toglie alcune incrostazioni depositate dal tempo sul dispositivo perfetto del testo e invita a rientrare nel suo meccanismo e nelle sue contraddizioni