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Hypnerotomachia Ulixis. L’ultimo naufragio di Ulisse (Carteggi Letterari 2019)

di Anna Maria Curci

Viaggi dai confini dilatati fino al limite del sopportabile, sogni e incubi in alternanza e, talvolta, perfino in alterco, cozzare di visioni in una contesa che zampilla da fonti-passioni copiose, esterne e interne: alla composizione, al gioco reciproco e alla contaminazione di questi elementi la scrittura di Sonia Caporossi non è nuova, e i racconti di Opus metachronicum, volume uscito nel 2014, ne sono un esempio illuminante.
Con il romanzo onirico Hypnerotomachia Ulixis – il cui titolo richiama esplicitamente il romanzo rinascimentale Hypnerotomachia Poliphili – i confini della scrittura di Sonia Caporossi si spostano ulteriormente in avanti e, contemporaneamente, conducono ‘oltre’ le colonne d’Ercole del conte philosphique.
Che la scrittura di Sonia Caporossi si spinga a esplorare le dimensioni ‘meta’, che essa pratichi ‘l’arte al quadrato’, non è dunque ignoto a chi ne abbia già letto almeno un esempio nelle opere precedenti.
Nella Hypnerotomachia Ulixis Caporossi indica già un itinerario esplicito – e con esso l’esistenza di un chiaro progetto tematico e argomentativo –, la scelta di Ulisse come io narrante di un monologo che in sette tappe (sette capitoli) attraversa le tre macroaree letterarie, drammatica, epica e lirica e che perviene a una ἀλήθεια cercata, inseguita e per lungo tempo equivocata, non riconosciuta e perfino disdegnata.
Scelgo intenzionalmente il termine ἀλήθεια, lasciando da parte quello di “verità”, giacché questa opera di Sonia Caporossi dà ampia espressione sia al percorso di conoscenza della filosofia, sia al “disvelamento” proprio della poesia, alla sottrazione alla non-conoscenza per rivelazione, per epifania, per manifestazione della “presenza”.
Ulisse, ovvero l’uomo moderno o, per essere più precisi, l’umano contemporaneo tendere, nell’incessante irrequietezza, abbraccia, schiaffeggia e accoglie, rielabora e capovolge mito, epica eroica (Omero, Odissea), sete di conoscenza irruente e arringante (Dante, Inferno, Canto XXVI) e, soprattutto, il “cuore affamato” («For always roaming with a hungry heart/ Much have I seen and known») di Ulysses – anch’esso un monologo – di Alfred Tennyson.
Chi legge sarà in grado di cogliere richiami provenienti da un considerevole numero di autrici e autori che hanno contribuito nei secoli e a varie latitudini alla rete multiforme e complessa dell’opera-mondo che scaturisce dalla figura di Ulisse, privilegiando, di volta in volta, gli aspetti della precarietà, della peregrinazione, della tracotanza, dell’esilio.
Eppure è da un dato distante dalle trattazioni precedenti che la vicenda narrata prende le mosse: non è Ulisse, mai pago di avventure, a voler intraprendere l’ennesimo viaggio, ad abbandonare la sicurezza della terraferma. È la patria, Itaca, che su di lui getta l’ostracismo, che lo condanna a lasciare perfino l’idea di suolo natio, che lo scaraventa in quello che Christoph Ransmayr, riferendosi a Ovidio e al suo esilio a Tomi, ha definito, in un romanzo del 1988, “il mondo estremo”.
Dell’amata e continuamente tradita Penelope si apprende che si è sottratta al commiato prima della partenza forzata di Ulisse. Su conflitti e convivenze del principio femminile e del principio maschile l’opera ritorna a più riprese, con la precisione e l’inesorabilità di un pendolo.
Attraverso le parole dell’io narrante chi legge percorre le tappe di questo sogno-incubo, Traum e Alptraum, rêve e cauchemar, che assume le sembianze di una esperienza del deserto – permanenza attraversamento prova – che, pur non scevra di echi biblici, mostra alcuni tratti in comune con il “deserto egiziano” di Ingeborg Bachmann: visioni che si spalancano, bianco accecante e desolato (che suscita in me l’accostamento al candido, ferocemente neutro maiolicato, sfondo del monologo di Euridice in Lei dunque capirà di Claudio Magris) e l’intuizione di un vicolo cieco – l’orrido della storia – che non ha e non dà alcuna prospettiva di ritorno.
Le peripezie dell’eroe del poema epico diventano nella Hypnerotomachia Ulixis apparizioni a una psyché composita, a una pluralità di io in frenetica discesa.
In agguato stanno gli stessi elementi, vale a dire le molteplici nature dell’umano nello sforzo reiterato del tendere l’arco alla scoperta del sé e dell’altro-da-sé.
In agguato sta il peggior nemico. Quale? La risposta sia lasciata a chi legge, alla sua facoltà e alla sua libertà di esplorare, di scandagliare, di individuare nodi e soluzioni.
Nel riconoscimento dell’eterno avversario sta il senso del viaggio-romanzo onirico-conte philosophique condotto con una prosa che fa dell’eccesso provocatorio, della rabelaisiana commistione, della sovrabbondanza neobarocca, della variazione pluridimensionale e plurilingue il suo punto di forza.
Senza voler bruciare le tappe, senza voler attenuare le sorprese di situazioni, incontri, voci, personaggi, intendo qui, a conclusione di queste mie considerazioni introduttive, tendere un ulteriore arco di congiunzione, stavolta con un’altra opera-mondo: Faust di Goethe, della quale riporto, nella “traduzione in versi italiani” di Vincenzo Errante, un passaggio essenziale, a mo’ di indizio: «Se all’attimo dirò: “Resta! Sei bello!”/ allora sì, ti sia concesso stringermi/ entro le tue catene: allora, sì, beatamente, a picco/ io cali in perdizione!/ Squillino allora a morto le campane,/ e liberato sii da’ tuoi servigi;/ l’orologio si fermi; sul quadrante,/ cadano giù le sfere,/ e per me cada consumato il Tempo!».

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2 Commenti

  1. Una splendida lettura questa di Anna Maria Curci, felice di aver scommesso su Sonia e il suo Ulixis.
    Un abbraccio al comitato delle edizioni Carteggi Letterari che mi coadiuva condividendo con me la passione per “l’oggetto libro”: Anna Maria Curci e Fabio Michieli, Cristiano Poletti e Cinzia Accetta, Ivano Mugnaini e Marco Ercolani….
    E grazie a Nazione Indiana per questo spazio divulgativo ed occasione di “incontro”.

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daniele ventre
Daniele Ventre (Napoli, 19 maggio 1974) insegna lingue classiche nei licei ed è autore di una traduzione isometra dell'Iliade, pubblicata nel 2010 per i tipi della casa editrice Mesogea (Messina).
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