Da “Esercizi d’addio” di Piera Oppezzo
Torino
Non mi spiego ancora
Chi sia colui
Che va tranquillo al lavoro
E torna tranquillo
E passa tranquillamente
La domenica.
Poi senti che dice:
“Ma, è la vita
Bè, arrivederci”
Scendendo dalla vettura
Con quel profilo pacato
La camicia tanto bianca
Il quotidiano in tasca.
*
Ritorni
“Né giovani né vecchi”
I giorni ritornano.
È tornato quel giorno
In cui l’auto saettante
Si sfasciò sulla pista
Fra il cinguettio accanito degli uccelli.
Si sono rivisti i barconi dei pescatori
Le reti scure in scuri tramonti
Le cabine aperte e abbandonate
Gli ombrelloni fieri e battuti dal vento
E qualche ragazzetto, più forte di tutti,
Senza freddo o paura
Saltare sulle onde come in altra estate.
*
Vento
Il vento rivelò la perfezione
Delle luci e delle ombre
Fra segni particolari della realtà.
Rivelò che i rami degli alberi
Sono il miglior disegno
E i cartelloni pubblicitari
La più spasmodica attività.
Odor di polvere sul corso
Dove corrono le foglie
E odor di fritto guizzò dalla trattoria.
Di questi segni
Arricchì la sua giornata
E provo la spinta della contentezza.
*
Quando un tale morì
Quando un tale morì
Io non ero presente.
Non per questo
La cronaca sarebbe stata confusa
Ma perché i fatti
Si dimenticano presto
E assimilano ai fatti precedenti
Finché gli incidenti mortali
Diventano: questa morte.
Naturalmente non soffro
Non l’ho mai conosciuto.
Mi passa appena sulla pelle
Il piacere di sopravvivergli;
Una pretesa
Padronanza della vita
Perché stavolta non sono ancora io
A soccombere
In questo avvenimento naturale.
*
Presente o assente
Presente o assente
La nostra sofferenza
È qualcosa di intatto
Per sempre.
Mai consumata
Fino al suo esaurirsi
Non arriva nuova
Ma semplicemente torna
Come una stagione
Torna a compiere
I suoi atti naturali.
Nociva e violenta
Per una cosa tenera
Quale la nostra debolezza
La sofferenza ci assorbe.
*
Stremato dallo spazio
Stremato dallo spazio
Cancellato dal tempo
Irradiato da una luce fissa
Articolato da un solo pensiero
Applicato con idiozia folgorante;
Allucinato nella propria indifferenza
Assediato nel suo isolamento
Incontrollato nella propria rigidezza
Bloccato nel suo smanioso
Apparato di banalità concentrata.
*
La più stretta intimità
La più stretta intimità. Intimamente
il più possibile un rapporto estremo
col tempo, in disaccordo.
Lo spazio ridotto ad una carrellata vorticosa:
solo vortice e non luoghi.
Voci al galoppo, superfici senza attrito.
Solo ore che si sbloccano a piccoli scrolli.
Alcune filano lisce nel sonno:
migliori ma perdute: il meglio inutile.
*
La giornata lavorativa
Lo scomodo andamento del tempo
avallato sulle panchine andandoci a consegnare
uno strato di mezz’ora, tra l’una e le due,
seduti al contrario con la fronte appoggiata allo schienale
il mattino del tutto stroncato,
una combustione nello stomaco
segnala l’insediamento del pomeriggio
ecc., ecc., ecc., ecc., la sera.