Salvo Prestifilippo / A me – moria

Estratti dal nuovo romanzo di Salvo Prestifilippo

Incipit

Il Papa era morto. Alla televisione le immagini dei funerali facevano il giro del mondo. Il particolare della bibbia sul feretro, sfogliata magicamente da un vento leggero, faceva credere al miracolo. Ancora non sapevo cosa realmente significasse per me quella morte. Come avrei potuto saperlo. Ero chiuso dentro un ospedale psichiatrico, il mio primo ricovero al manicomio, e i miei pensieri erano completamente assorbiti dal gioco. Mi ero fatto portare decine di riviste. Di tutti i tipi. Scientifiche, patinate, programmi tv. Trascorrevo ore a sfogliarle alla ricerca dei messaggi subliminali che ritenevo fossero rivolti esclusivamente a me. Tutto, ma soprattutto le pubblicità, mi parlava di come fossi stato notato da qualcuno, qualcuno di estremamente potente, e di come questo qualcuno avesse iniziato a spargere sul mio cammino segnali che solo io potevo cogliere. Il fine? Semplice. Una sorta di percorso iniziatico, che io stavo inconsapevolmente intraprendendo, fatto di prove e ostacoli volti a valutare le mie capacità. Mentali e fisiche. Parigi giocava un ruolo importante. Per me era un enorme parco giochi tutto da esplorare. Luoghi e persone sconosciuti potevano essere qualunque cosa. Potevano assurgere a qualunque significato, lontano da una logica razionale ma perfettamente congruo con quello che stavo vivendo. Il gioco. Ripeterò spesso questa parola. Perché è questo quello che mi sembrava. Ma torniamo un passo indietro…

Capitolo 9

Comprare da fumare in India, sulla scorta di quanto mi è capitato in prima persona, è facile. Non è legale, beninteso. Ma vige un clima di splendida tolleranza. Un venditore mi restò particolarmente. Ero in non so quale sperduto paesino. Ed ero rimasto a secco come al solito. Io e Clara, che voleva anche lei fumare, ci facciamo un giro. Era sera e, anche se di solito nessuno si scandalizzava quando chiedevo in merito alla charas, non potevo mica fermare il primo passante per avere informazioni utili a tal proposito. Mi viene un’idea. E se chiedessimo a un autista di rickshaw? Chi meglio di uno di loro. Ci indirizziamo al crocicchio del paese dove sostavano gli apini carrozzati. Un gruppo di tre/quattro autisti ci viene incontro, ognuno con la speranza di farci salire a bordo per un giro turistico. Si stupirono piacevolmente alla mia richiesta di portarmi da un dealer. Conosco io il posto che fa per te, mi fa uno di loro. Senza farcelo ripetere due volte montiamo sul sedile e ci incamminiamo. Il paesino era veramente piccolo, immerso fra sconfinati campi di coltivazione di riso e giungla. Per raggiungere la nostra meta dobbiamo attraversare il ponte sul fiume e raggiungere il paesino limitrofo, ancora più piccolo del primo. Non è nemmeno un centro abitato ma una landa con casette minuscole sparpagliate qua e là. Nel buio della campagna raggiungiamo una di queste. Il tassista butta una voce e dall’uscio appare un uomo. Si parlano e quello ci dice di entrare. Una volta dentro ci ritroviamo in una stanzetta che non sarà stata più grande di due metri per due, con due porte. Una l’ingresso, una sul lato opposto. Noi tre ci sediamo a terra con le spalle rivolte fuori. L’uomo, sulla quarantina, di fronte a noi. Al centro c’è un tavolino basso. Solo una volta seduti, alla luce di una lanterna, mi accorgo che il tipo è cieco. Aveva gli occhi ricoperti da una spessa patina biancastra che solo un poco lasciava intravedere una pupilla e un’iride nere. Nessun convenevole. Il pusher parla. L’autista mi traduce che ci sta chiedendo cosa vogliamo. Eravamo piuttosto a sud, la charas da quelle parti è rara. Ganja, dico. L’uomo si alza ed entra, scostando una tendina, nella porta di fronte a noi. Possiamo chiaramente vedere che nell’altra stanza non c’è luce. Torna e dispone sul tavolino tre buste diverse contenenti la solita tola di erba. Le indica una alla volta mentre dice qualche parola. L’autista ci traduce imitando i suoi gesti. La prima è 700 rupie al pezzo. La seconda è 1000. La terza 1500. Cazzo l’amico sa il fatto suo, dico fra me e me. Cerco di fare due rapidi calcoli per ottenere il massimo profitto. Neanche a dirlo, a me interessava quella da 1500 l’una. Prendo 6000 rupie dal marsupio e gliele metto di fronte. Indico il pezzo più caro e gli mostro la mano con le cinque dita aperte. Il tipo traduce. Così fu. Caricati i pacchetti usciamo da quell’antro. Ne rullo subito una per capire se il tizio ci aveva fregato. Che bomba. La migliore erba che avevo preso sino a quel punto. Rullo un altro joint da un’altra busta, giusto per essere sicuri, e ci rimettiamo in marcia per rientrare. Lungo il ritorno, dalla strada sulla riva, si vedeva il paese di fronte tutto illuminato a festa con delle lucine appese ai fili tirati sulle case e fra gli alberi. Lo stereo dell’ape pompava a un volume strepitoso una concitata musica pop indiana dal ritmo forsennato e conturbante. Io sono inebriato da quell’aria di magia e da quella potente ganja. Clara mi prende la mano. Mi giro e la guardo negli occhi. Lei sussurra una parola ma col chiaro scopo di non volersi fare realmente sentire. Io penso che sono veramente fortunato a essere lì con lei in quel preciso istante.


 

Salvo Prestifilippo nasce a Palermo nel 1978. Giornalista di formazione, fotografo per passione, scrittore per azzardo.Vive a Bologna, Venezia, Parigi, Londra, Roma. Ora è tornato nella sua città dove ha messo su casa con una compagna e due figli.

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