Incroci

di Alberto Comparini

Gustave Courbet, Autoritratto con cane nero

Il gomito di FS aveva rotto una doga in legno il 7 febbraio 2021 a Milano avevate scopato qualche volta prima che il 2020 finisse tra i botti cinesi lei diceva che facevamo l’amore, lo ripetevi anche tu stupito e piuttosto imbarazzato a bassa voce facevamo l’amore era vero: per amore le avevi comprato un bollitore il 3 febbraio 2021, anche se non bevi thè infusi tisane e detesti i gatti. Era una dicotomia estremamente stupida questa eppure così dirimente che da lì a pochi mesi avrebbe provocato una rottura definitiva del letto, della coppia, e in parte del bicipite femorale. Ma tant’è, secondo lei facevamo l’amore, secondo il proprietario la doga era rotta, e secondo me doveva cambiarla FS. 

Figuriamoci. 

In questo solco discontinuo di sesso di doghe e di amore fissavi immobile le rifiniture da completare, i Meridiani incasellati sulle credenze per opere e per autore, le scatole vuote, i vestiti di AC buttati in ogni angolo della stanza. La sera prima avevi impostato la sveglia alle 5 del mattino, per te e per i tuoi marcatori era un orario particolarmente insolito quasi ostile per girarsi in continuazione sul lato sinistro del materasso muovere lentamente le falangi delle mani sentire gli arti prendere possesso dell’aria ripetere nuovamente gli stessi gesti alzarsi. Il corpo aveva reagito male a quell’improvviso cambio di rotta era stordito attraversato lateralmente da un sentimento di nausea, e nemmeno oggi al risveglio è riuscito a trovare una soluzione definitiva per la doga e per l’oscillazione degli esami. Che poi FS non si era mai interessata per davvero a entrambe le questioni aveva reagito male al telefono era gennaio l’inizio dell’anno o giù di lì non mi ricordo bene non era importante quel giorno non le interessava proprio sapere come funzionasse il moto dei corpi glielo avevi provato a spiegare più volte al terzo piano di via Lampi 14, dicevi, il moto del pendolo è simile a quello dei corpi: una massa puntiforme fissata alla estremità di un filo inestensibile è soggetta all’attrazione gravitazionale, i valori di una relazione oscillano tra un polo e l’altro fino a quando il bilancio energetico si esaurisce, i corpi smettono di muoversi perdendo la loro armonia nello spazio. 

Aveva bisogno di respirare diceva la linea era instabile non capivi aveva già spento il telefono.

Giri gli occhi dal solco verso l’orologio da polso, va bene, era ora, lo sapevi dal 14 aprile 2022 che in quella mansarda non saresti più ritornato. Peccato, perché l’appartamento aveva le travi in legno e un box privato che sprecavi con una bici da strada di seconda mano. D’estate la temperatura era più che sopportabile, almeno così ti aveva garantito l’agente immobiliare al telefono poche ore dopo la breve telefonata al momento della visita di controllo; certo, la città era più un paese che un capoluogo di regione, non si poteva mentire su questo, ma vivevi al terzo piano la vista dava sul monumento Battisti e la cucina era nuova di pacco, della Scavolini Pesaro proprio come la squadra di basket dove giocava GT dove saresti potuto diventare AC come EC aveva fatto per anni prima di diventare EC+AM chissà come avevano fatto nel dicembre 1985 (erano gli anni ottanta la felicità non era legata all’individuo; ancora oggi non sai chi sono EC e AM, la loro identità è ferma agli ottanta è un’equazione semplice plurale riproduttiva eteronormativa almeno così si legge nella moltiplicazione quotidiana di messaggi immagini video qualche sticker un po’ cringe un po’ boomer nella chat di famiglia). 

Ogni tanto verso sera sentivi i vicini scopare: le pareti non sono particolarmente sottili più di una lettera si è chiesta ridendo se anche loro sentissero le nostre consonanti incastrarsi ma gli urti i piatti i corpi incastrati fanno proprio molto rumore, questi vicini avevi deciso di chiamarli T e L per la larghezza delle spalle e la lunghezza dei piedi. In realtà non vuoi conoscere davvero i loro nomi, T e L stanno insieme da qualche anno hanno un pappagallo che ripete i rumori i suoni invece sono facilmente replicabili da qualche anno volevano ripetere il più possibile quei rumori meccanici anche senza i suoni del pappagallo, soprattutto tra le 18 e le 20 dopo il lavoro di T. Per L era una sorta di lavoro, l’amore. 

Nel giro di un anno la tua camera non aveva perso tempo a riempirsi di polvere e oggetti di consumo (perché ci sono due Alexa sul comodino, di chi sono questi corpi ammassati ad altri corpi, non respirano). Una volta, della camera, se ne occupava con diligenza e poca grazia SK, una robusta donna slava sulla cinquantina nata in un paesino sperduto tra le colline del Montenegro. Su WhatsApp SK usava espressioni sintetiche, per lo più sgrammaticate ed eccentriche, ma almeno la sua lingua era efficace: si esprimeva quasi solo all’infinito, SK, segni diacritici non pervenuti in un’ora di lavoro era in grado di ricreare l’ordine precedente della settimana precedente faceva impressione la simmetria di questo ordine senza punteggiatura dopo sette giorni di autonomia e resistenze interne, ma all’ottavo giorno del sesto mese SK aveva smesso di tollerare le mie richieste, era diventata insofferente alla miopia delle mie parole come molte altre combinazioni di corpi e lettere senza nome. 

SK non rispondeva più da almeno un anno incastrato tra le cuspidi del materasso potevi osservarne l’assenza tra gli accumuli compulsivi di polvere lungo le travi a vista che dominavano l’intero arco della camera da letto prima che la luce iniziasse a forzare controvoglia la debole resistenza delle tende automatiche. Negli angoli del soffitto le ragnatele vivevano di vita propria, serenamente, non avevano nulla di cui preoccuparsi (nemmeno dei tuoi eccessivi riguardi). Erano ragnatele in mezzo ad altre ragnatele, non potevi rimuoverle, oramai erano parte integrante dell’appartamento. E poi, e poi piacevano molto a FM, una tua ex coinquilina di Bologna, la Psi secondo FL, secondo la coinquilina italo-americana di Berkeley aveva dei capelli bellissimi, con MB, la coinquilina italo-americana di Berkeley, parlavi in maniera obliqua di FM, eri spesso d’accordo con lei quando si parlava in inglese di FM. Ma che dire di più di FM, FM aveva un gran bel culo si girava le sigarette dopo ogni pasto appoggiando lentamente la spalla destra alla finestra della cucina per casa sfilava con un accappatoio bianco in spugna di cotone con la leggerezza dello scorpione prima di scomparire dopo le 7 per andare al lavoro. Nella sua stanza all’interno 4 faceva l’amore con un suo amico di nome M, M aveva una distinta parlata pugliese a colazione ogni sabato mattina, un pomeriggio si era presentato così al citofono dicendo sono un amico di F (M era innamorato di F e per F provavi sentimenti contrastanti). Eri geloso delle loro ragnatele.

Il contratto d’affitto (4+4 carattere, 10 times new roman, interlinea 1.15) era finito in una cartella giallo ocra insieme ad altri documenti abitativi ancora oggi indossa una veste paratattica di refusi vincoli amministrativi espressioni legali. In parte gli assomigliavi (corpi squadrati, vagamente claudicanti, per lo più balbuzienti nei modi rudi e nel linguaggio), entrambi eravate convinti di essere chiari nell’elenco ossessivo di regole e di pronomi con cui vi presentavate ad amici ad estranei a un’orda di potenziali acquirenti. 

Per questa affinità di pensiero (volevi diventare, ma forse lo eri già, da un pezzo, quel foglio di carta) e di mercato (i corpi come le relazioni hanno una durata contrattuale le persone sono sostituibili, replicabili, come i contratti) avevi accettato di firmare un impegno di quattro anni senza pensarci troppo: le dimensioni dell’immobile (55 metri quadrati calpestabili, compresi di uno scasso, diceva RB), le firme (le iniziali, AC, a lato di ogni foglio in formato A4), i doveri dell’utente (550 euro al mese, più spese, era un vero affare rispetto ai prezzi inflazionati del centro storico, si possono avere anche degli animali, T+L hanno anche due gatti guardano T+L quando emettono dei suoni il pappagallo riproduce il rumore del citofono), la cedolare secca, dice Google, è un regime facoltativo, che si sostanzia nel pagamento di un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali. Nient’altro, ma almeno il diritto amministrativo tutela locatori e conduttori, entrambi consumano i loro corpi attraverso questo spazio condiviso (le leggi sociali nel frattempo sono saltate, locatore e conduttore sono categorie liquide e il loro legame si può estinguere con una semplice telefonata).

Il 2 febbraio 2021 era un martedì pomeriggio (il treno ÖBB parte da Bologna alle 11:52 e arriva a Trento alle 13:57: le Österreichische Bundesbahnen non sono mai in ritardo), hai appena controllato sull’agenda (ikea vodafone idraulico rettore deutsch, la stringa di impegni si interrompe di domenica sarebbe arrivata FS da Milano non si era ancora decisa a diventare FS da Genova), il giorno prima avevi preso la patente B dopo essere diventato ricercatore, quando avevi diciotto anni eri sulla sedia a rotelle (guardavi spesso il soffitto da ragazzo amavi senza motivo GR non volevi farla finita, almeno non in quel modo per di più a letto come uno dei tanti personaggi mediocri della commedia umana), lo avevi promesso alla famiglia di SF quando avevi chiesto a SF di diventare un’equazione semplice plurale riproduttiva eteronormativa. Adesso appartenete tutti a un’altra vita senza doveri e vincoli amministrativi.

I padroni di casa erano stati molti gentili al tuo arrivo (una Bialetti gioia con 32 cialde una bottiglia di spumante per festeggiare, non potevano saperlo ma bastano poche gocce di alcol per sopprimere il tuo sistema immunitario), per questo, infatti, glielo dovevi, almeno un minimo di ordine. I pagamenti li facevi sempre con ampio anticipo, eri un inquilino modello per gli standard a cui si erano abituati FF e suo marito (questo era il suo nome, marito, il loro vincolo contrattuale reggeva ancora grazie a questo titolo) dopo che la figlia era andata a vivere altrove con il compagno (ma a chi avevano affittato la casa fino al mio arrivo; ti chiedi quali spazi hai occupato fino a questo momento, mentre scrivi, in questo preciso momento, siedi su una sedia in plastica verniciata di un nero che non è tuo né sai riconoscere, era di qualcuno che non pagava l’affitto con ampio anticipo, altrimenti oggi non occuperesti questa sedia con il tuo corpo il 2 febbraio 2021). 

A quest’orario insolito la valigia era ancora vuota, lei aveva insistito perché tu la tenessi, io non la volevo ma cosa potevo farmene delle sue ragioni, quando le mie, di valigie e ragioni, erano rimaste sospese tra le intermittenze verbali della nostra connessione (a Londra, nel tuo appartamento, avevi visto i primi segni della radioterapia intorno al mio volto le ossa avevano scavato profondamente la carne all’altezza degli zigomi e delle cavità nasali gli occhi erano già spenti, senza terapia ti ricordavo diverso). Qual è il protocollo in questi casi, come si procede quando è una valigia a tenere in piedi gli equilibri economici di una relazione: si ricorre a un corriere internazionale? Un altro viaggio a Parigi, per di più a spese dell’università? 

Sarebbe stato sufficiente fare un bonifico, ma lei insisteva, aveva insistito, continua anche ora a insistere dall’altra parte dello schermo mentre stai scrivendo questo testo (entrambi abbiamo tolto l’ultimo accesso, aspettiamo solo di leggere sta scrivendo écrit…), anche adesso, adesso che non esistiamo più nelle vite dell’altro. Da un paio di mesi la chat è silenziosa, non ne voleva proprio sapere, della valigia (una American Tourister Fly Light, dice l’etichetta, è davvero comoda), ora è sotto il letto, insieme alle mie ragioni e a un numero indefinito di valigie, meno comode e di qualità nettamente inferiore all’American Tourister Fly Light di NS (almeno due sono della Samsonite, turchese e deep red, avevano ancora 3-4 viaggi di vita, volendo anche 7-8 se ci si limitasse per una volta a viaggiare in Europa). Le vite dei corpi si usurano in viaggi.

Ci eravamo conosciuti in rete (un’app per incontri, ma io volevo solo parlare francese, sai ci sarebbe una posizione aperta alla Sorbona, non è vero sono in visita per l’estate mi piaci, come posso dirtelo senza usare il periodo ipotetico della realtà in francese il verbo della protasi deve essere espresso all’imperfetto indicativo). In rete, come tutti, come te che scrivi e leggi, volevo comprare solo un po’ di amore prima di morire, la prostituzione in Italia è illegale in Francia hanno adottato il modello nordico, meglio non rischiare, anche se il prezzo da pagare è lo stesso: come sulle strade del Brennero al Bois de Boulogne buona parte di questo gioco è già fruibile nella tipologia di foto scelta per acquistare beni di prima necessità (un primo piano non risalta il viso nasconde semplicemente il corpo). Perché nella finzione, della rete, non distinguiamo nulla ignoriamo di distinguere cosa vogliamo ignorare la realtà la finzione la rete, quasi nulla, credo, nell’acquisto dei beni di prima necessità (una scopata, un libro, un comando vocale per nascondere ai vicini un altro libro, un’altra scopata). 

Mi saluti sulle scale della BnF. Appena mi avvicino il tuo mezzo sorriso conserva la sua smorfia allungata fino alle rughe della fronte, avrai circa la mia età ne sono convinto a nessuno piace raccontare agli affetti vicini e lontani ho conosciuto una persona su Tinder. Eppure rimane un mezzo sorriso soddisfatto, e lo capisco, le foto sull’app sono respingenti, molto più delle mie risposte; però, anche in te c’è qualcosa di diverso, meno evidente, è quasi un contrasto ricercato tra il patrimonio della tua famiglia e il pallore della pelle, portavi un vestito attillato verde, e il verde più del vestito risaltava il conflitto delle tue gambe. Ti avevo scritto una cosa stupidissima a cui non mi avevi risposto (giustamente, mi dicevi, cosa si può rispondere a questa opening line Cambridge! I almost went there), poi una sera siamo usciti, ti va se camminiamo lungo la Senna, camminiamo lungo la Senna noti la mia andatura claudicante, ci fermiamo ti prego non fermarti continuiamo a camminare tra la folla indistinta di turisti e residenti fino a una fermata della metropolitana ce la posso fare senza fermarmi (forse dovresti scrivere tu di questo incontro, io sono fin troppo lucido, non bevo grazie prendo solo undici farmaci al giorno, nemmeno tu bevi, i miei genitori sono morti di cancro). 

Abbiamo ripetuto più volte questa uscita, intrecciato lingue e corpi svestito e rivestito con la lingua gli stessi corpi. Aveva funzionato piuttosto bene con me immagino anche con una decina varianti algoritmiche di AC (sportivo ma col dottorato, alto, molti capelli, accademico, non ti piacciono i fucking accountants come si dice in italiano persone ordinarie), per te era più semplice, io non posso nemmeno ubriacarmi. Eppure c’era qualcosa di genuino nel modo in cui mi baciavi: erano le tue mani a confondermi mentre l’effetto del toradol svaniva tra le contrazioni incontrollate dei miei arti inferiori, la mia erezione sul tuo corpo ti divertiva più delle mie cicatrici, mi chiedo cosa pensassi quando mi hai chiesto di salire nel tuo appartamento.

Nella traiettoria meccanica che ci ha spostato di petto dai muri alle finestre fino al tavolo della cucina ripetevi controvoglia un modulo che avevi imparato a conoscere da un anno e mezzo (LZ lavora a Londra tu a Parigi io non c’entro niente con il tuo mondo). Mentre sei sopra di me, ripetiamo con cura maniacale ogni gesto, ogni atto era una precisa iterazione di questo linguaggio, sono d’accordo c’era armonia tra le lingue e i corpi, mi vuoi dietro, va bene, il compromesso è accettabile; dietro scopro queste persone, sento che con queste persone abbiamo intrattenuto le conversazioni della Senna, ripetuto questi goffi tentativi di seduzione per portare a letto l’immagine del nostro desiderio (ma a cosa serve se non puoi neanche venire, ci sarà un modo per togliersi i pantaloni e i calzini le gonne e i collant senza troppo imbarazzo, senza che i pantaloni e i calzini le gonne e i collant diventino il centro del nostro imbarazzo). 

Proprio per questo intollerabile imbarazzo che ci era rimasto addosso dopo gli eccessi della prime volte qualcosa di materiale doveva rimanere impresso tra di noi (una macchia sulle lenzuola, un segno sul collo, una gravidanza indesiderata, la trama di un soft porno), prima che arrivassimo a sperimentare i silenzi e le attese tra Italia e Francia – non è vero, volevi che ci fosse qualcosa, di vero tra di noi, ma io non potevo permettertelo, prima che tu e io, insomma, qualcuno che assomigliasse a me te io tu lei noi, entrambi, o almeno i figuranti che impersonavano durante i nostri incontri, non sei d’accordo sarebbe meglio tornare a frequentare altre approssimazioni algoritmiche, magari migliori dei rispettivi profili. Poco importa, alla fine, se la proiezione dei corpi non corrispondeva più all’immagine del desiderio che avevamo consumato dal vivo: sopra una certa soglia diventiamo meno selettivi, superato il primo ciclo di chemioterapia non sappiamo più cosa vogliamo. 

Eravate distesi sul letto, entrambi cercavate una linea di confine tra la pelle dei corpi e le zip, la zip della valigia non si voleva chiudere, si era già inceppata in due occasioni distinte: il 12 agosto dello stesso anno, a Chicago, ma tu non esistevi ancora chissà cosa facevi a Parigi quella sera il 4 settembre dello stesso anno prima di conoscermi. (eri già qui quando sono entrato in casa, era inverno faceva freddo non ho il covid, va bene spogliami, quante scuse, ma comprare una coperta nuova significa creare uno spazio nuovo nell’appartamento non posso proprio in questo momento, perdonami il mio tempo è ridotto). Sulla superficie della coperta anche i corpi facevano un po’ fatica a muoversi in quella insolita disposizione degli eventi: alle 5, nessuno dei due voleva ammetterlo (questa storia si trascinava da mesi tra stazioni e aeroporti solo per avere una storia da raccontare in qualche messaggio vocale in un’altra app, ma almeno questa non era a pagamento, e poi al telefono l’amore era quasi gratuito), nessuno dei due aveva voglia di avere voglia, niente, nemmeno la valigia si lasciava toccare voleva solo essere lasciata in pace. 

I corpi finiscono in obitorio, di solito la famiglia è chiamata a riconoscere questi corpi, a confermarne l’identità, come se i morti fossero ancora vivi: 192cm, capelli ricci, barba incolta, spalle larghe, fisico asciutto, probabilmente avrà un passato da atleta, chissà cosa faceva da vivo non è rilevante l’ora del decesso ce l’abbiamo, assomiglierà al padre in altezza, le labbra e i lineamenti del volto sono dolci, direi quasi materni, soprattutto le labbra e le ciglia, ma aspettiamo che arrivino i genitori prima di trarre conclusioni affrettate. 

Anche per strada era così, soprattutto sulle app dello smartphone, dove si può ordinare qualunque cosa in qualunque modo dove è impossibile sfuggire allo spaziotempo del web. Basta un click (rispetto al mouse il trackpad rende questo acquisto più umano, ma l’umanità ti è costata fin troppo alla fine di settembre: 135,00€ su Amazon): per ordinare la cena, ordinare dei vestiti, ordinare dei libri, ordinare un passaggio in macchina, ordinare un incontro romantico; non si finisce più di ordinare nel loop degli ospedali e del web, ma per farlo ci vogliono una foto profilo e una carta di credito – la foto, la carta, questo testo, e pure questo ordine ha dei costi di commissione che variano a seconda dell’uso e del consumo delle nostre mancanze; insomma, per fare ordine, ordinare, mettere ordine nei vuoti delle singole giornate (i pasti, il lavoro, il porno, la depressione), bisogna creare un’identità virtuale, rendere questa identità virtuale il più simile alla propria identità materiale, per poi produrre al momento dell’acquisto l’ennesima curva algoritmica dell’utente. Click.

Anche prima delle app, quando il tuo raggio di azione, al massimo, era la scuola secondaria, le compagne di corso all’università qualche intruso nella compagnia del liceo che hai ostinatamente continuato a frequentare fino all’estate del 2012 senza smartphone vivevi di approssimazioni estetiche prive di oscillazioni algoritmiche e di percentuali instabili. Eri dipendente, dalla famiglia e dai farmaci, poi è successo qualcosa, sei improvvisamente cambiato dopo l’Erasmus (la malattia non giustifica ogni cosa, ma ti piace scriverlo, ripeterlo ad alta voce, tanto non è vero, tu però ci credi, ne hai fatto una ragione di vita, più di una persona crede che tu stia mentendo), e la compressione dei corpi che non respirano aveva iniziato a definire il contorno di ogni acquisto.

Per la valigia, invece, non abbiamo app di incontri (ma come la si potrebbe chiamare, questa app: salva-valigia? Non conosciamo i dati sul rapporto domanda/offerta delle valigie dei morti, certamente non in Italia, i dati sono ancora confidenziali; chi vuole appropriarsi della valigia di un morto, a me da già fastidio l’idea di occupare lo spazio di un inquilino che non pagava l’affitto con ampio anticipo). Né conosciamo i suoi reali desideri, al di là delle funzioni e dei ruoli if any che i beni materiali hanno una volta che entrano che appartengono insomma che finiscono nelle nostre vite, almeno fino alla scadenza della garanzia (dei beni immateriali non sappiamo proprio cosa farcene). Ma quanto può durare un corpo, dottore? 

La valigia aveva ceduto per un peso eccessivo di memorie – sei volutamente patetico, avevi perso quasi due aerei per questo abuso emotivo (uno studente cinese al secondo anno di chimica aveva sistemato la zip una giornalista francese non poteva fare altro che sostituirsi alla valigia, immolarsi, diventare questa valigia). Il treno, però, a questo giro non potevi proprio perderlo, la morte deve avermi fatto un favore quel giorno (la lista di attesa si era improvvisamente accorciata un giorno avevo ricevuto una telefonata da uno 051, entrambi sapevamo come sarebbe andata la conversazione), il ricovero è fissato alle ore 8, sia puntuale. (non so bene perché, gli storici della lingua hanno idee diverse a riguardo, ma le sentenze lette con uno spiccato accento emiliano hanno il suono amichevole di un invito in osteria.) 

Il corpo invece aveva ceduto da diverso tempo. L’accumulo di cellule aveva formato una massa, la massa si era moltiplicata, continuava a moltiplicarsi a occupare nuovi spazi, in poco tempo si era sostituita ad altre masse, queste masse avevano avuto la sfortuna di essere collegate troppo bene o troppo male ad altre masse ma perché nessuno ne parla anche le masse hanno dei sentimenti, dei doveri, una famiglia, vogliono vivere e crescere, cambiare casa, spostarsi, realizzarsi, come ognuno di noi (qualche principio etico deve pur guidare la metastasi delle masse). Che poi, ancora oggi dopo la tua morte, non si è mai capito quando le invasioni di masse avessero smesso di essere intermittenti e parziali, ma che importa, già ora è troppo tardi per ricostruire la cronologia degli eventi (non sei l’unico a essere te, per misurare il tempo sarebbe meglio usare altre espressioni linguistiche, magari più sintetiche, come in francese e tedesco, cancellare l’io dalla massa dei pronomi, diventare on est e man kann, tanto tra qualche ora non ci sarai più, sei già diventato questa massa). 

La convivenza tra queste parti di te non è pacifica, ma tanto basta, al corpo, per subire i primi danni molecolari. All’inizio erano impercettibili (l’equilibrio, l’appetito, il sonno, sarà l’età, diceva il medico di famiglia), ma il passaggio dagli inside joke di amici e parenti (lasciatelo stare deve dormire) a dei veri e propri pattern comportamentali (vomitare, spuntare sangue, non riuscire a pisciare) aveva trasformato il medico di famiglia in oncologo, le sessioni di tiro in flebo, la panca piana in un lettino da condividere con altri utenti. Per tutti, fortunatamente, gli orari erano gli stessi (per lo più serali, 19-21, le sedute erano miste per bambini adulti anziani la morte almeno in questo è davvero democratica), come i medici, che ai nostri occhi di malati immaginari sono tutti uguali; loro, conversely, fanno classifiche di serie A, B, C, promozione, terza categoria, UISP e CSI in base a chi ce l’ha più lungo (alla peggio, ci pensa l’assicurazione a salvaguardare il record dei chirurghi, bisogna pur regolare il giusto ricambio di vivi e di morti nei reparti a prevalente indirizzo oncologico dell’Istituto Ortopedico Rizzoli in via Pupilli 1 l’aria era irrespirabile, come lo sguardo degli altri pazienti, e i parcheggi sono a pagamento anche per i medici). 

Allo IOR il tasso di mortalità è incoraggiante, almeno on paper. L’edificio, che risaliva inizialmente al 1896, si allungava dolcemente sui colli bolognesi fuori dalle mura vicino a porta San Mamolo a sud di Basket City; Maps suggerisce un tragitto in macchina da Bologna Centrale, quindici minuti senza traffico e poi si può già sentire l’ago dell’anestesista attraversare le vertebre lombari nella schiena. Il viaggio prevede percentuali relativamente basse per il ritorno, ma questo Trenitalia non poteva saperlo (è una questione di cookie, credo, altrimenti avresti già ricevuto sconti, promozioni, qualche offerta natalizia per le famiglie, anche le famiglie devono partecipare all’esecuzione dei figli, o almeno così diceva la brochure all’entrata, una volta superati la porta automatica di ultima generazione i controlli post inter ante covid la tassa di soggiorni il check-in al banco dei testimoni).

Trenitalia ti chiede se vuoi prenotare anche il biglietto di ritorno, come puoi spiegare a un sistema codificato (l’algoritmo, la famiglia, una fitta rete di connessioni virtuali, in pubblico si ostinano a chiamarvi amici, la chat su facebook è morta da anni) che non ti interessa l’upgrade in prima classe, tantomeno i 3 euro per la guerra in Ucraina, di cui non ti è mai importato nulla (NS non ci credeva, ma non è importante ora); per tornare indietro bisognerebbe avere la macchina del tempo, procedere con un check-up completo, anticipare una malattia prima della sua diffusione, rovinare la vita di quelle masse, quando anche quelle masse avranno avuto le loro ragioni e le loro valigie per continuare a essere una massa; il problema, però, è che senza questo sistema linfatico non avresti nulla di cui parlare (le patologie hanno il vantaggio di essere strumenti narrativi, raccontano e si raccontano facilmente, spesso male, ma almeno raccontano qualcosa, si lasciano raccontare, lasciano, negli altri, almeno un racconto), e in ogni caso la freccia presa il giorno stesso costa 43 euro, costa troppo, non ne vale la pena.

Il diritto naturale dice che vita e età dovrebbero procedere di pari passo, i genitori non devono seppellire i figli, come i prezzi dei regionali che rimangono fissi pure durante l’inflazione e la crisi del gas, mentre gli intercity e le frecce variano offrono servizi migliori a chi conosce con precisione la propria aspettativa di vita, i figli devono seppellire i genitori: insomma, la vita sulle frecce è un lusso (gli intercity fanno schifo come i regionali, più dei loro passeggeri e delle pompe funebri), te ne rendi conto sfogliando il calendario del computer, i post del social media manager di Taffo Funeral Services sono molto divertenti. Ti fermi, ci hai pensato bene prima di prenotare, dicevo, basta un click e non si torna più indietro: cosa comporterebbe sul bilancio familiare vivere un giorno in più, ora, alle 5:15 del mattino: 40 euro. Tre euro in meno, alle 5:15 del mattino, convincerebbero un genovese ad azzardare l’acquisto, ma di genovese non hai neppure il cognome, la fidanzata, il diploma di scuola superiore (i genovesi, quelli veri esistono ancora, dopo la Brignole Sale e la Barrili vanno al liceo classico Andrea D’Oria, chi non vuole imparare il greco al massimo va al Cassini in centro, di certo non al King). La residenza l’avevi già spostata quattro volte.Nella camera da letto di via Lampi 14 da cui osservavi svogliato la sterilità degli angoli retti, l’abbaino era dotato di un’intelligenza artificiale. A ogni ora era in grado di percepire le variazioni climatiche il grado di umidità dell’aria la temperatura degli ambienti interni ed esterni; la sua superficie è particolarmente forse eccessivamente sensibile al contatto con l’acqua, come la tua pelle dopo l’eiaculazione ritardata; in pochi secondi si chiudeva dopo aver emesso un rigurgito metallico, la tua voce si era strozzata così, prima di venire. In questi casi, l’occhio non può che accompagnare impotente l’azione dell’abbaino, seguirne la traiettoria ortogonale, aspettare che l’aria diventi satura di anidride carbonica, nel sangue; una soluzione sarebbe staccare la corrente, la spina del respiratore, ma per quello ci penseranno i padroni di casa e l’anatomopatologo domani sera.

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