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Manuela Ormea IL BARONE RAMPANTE

di Manuela Ormea
Il Barone rampante
Viaggio di lettrice 5
 
da Il mondo che verrà
incontri con l’altrove di Italo Calvino
2022 Lo studiolo Edizioni Sanremo

   
   Razionalità ed invenzione fantastica costituiscono il nucleo del romanzo. In quest’opera è richiesta la capacità di guardare la realtà contemporanea ponendosi ad una giusta distanza. Così il protagonista della narrazione, giovane rampollo di una nobile famiglia di fine Settecento, può osservare fatti e particolari altrimenti non visibili, o non osservabili con la stessa chiarezza.
   La vicenda immaginaria del Barone rampante, collocata nel periodo dell’Illuminismo e della rivoluzione francese, assume connotati fiabeschi proponendo una chiave di lettura originale. L’originalità è pur sempre un valore se nel capitolo XXIV del romanzo possiamo leggere: «Anche le idee più fuori dal comune potevano essere le giuste».
   Il barone Cosimo Piovasco di rondò sale sugli alberi di Ombrosa senza più discendere a terra perché, «per essere con gli altri veramente, la sola via era quella d’essere separato dagli altri». Il fantastico qui si impone come gioco ostinato e ribelle, come «meditazione sugli incubi o i desideri nascosti dell’uomo contemporaneo». E qui il desiderio è forse il poter essere fedeli a se stessi e ai sogni della propria infanzia per tutta la vita, senza cedere a compromessi.
   Per Calvino le fiabe rappresentano un «catalogo degli elementi fondamentali della vita, una successione degli avvenimenti fondamentali della vita dalla nascita alla morte». 1
   Le fiabe tuttavia non forniscono soluzioni facili ai problemi della vita; esse sono piene di ambiguità e contraddizioni, ritraggono un mondo talvolta crudele e dalle soluzioni spesso insoddisfacenti. Non c’è una vera e propria proposta morale da seguire. Secondo Calvino si vive oggi con questo lascito morale: ciò che va bene a me può non essere utile ad altri. Ognuno deve cercare la propria via e quindi il significato della tradizione è legato necessariamente a ciò che questa riesce a dire sulla condizione contemporanea. Oggi le illusioni sono poche, ma – dice Calvino, «poche illusioni sono meglio di tante false promesse». 2
   Calvino non ha mai eluso la complessità, talvolta ‘mostruosa’, della realtà, bensì l’ha affrontata attraverso strategie di distanziamento che potessero rivelargli aspetti diversi da opporre alla ristrettezza del vivere. Lo ha certamente fatto nel Barone rampante, dove l’aspetto fantastico dell’opera è connesso al modo di organizzare le immagini (e la visione del mondo): dalla sala da pranzo della villa d’Ombrosa, il dodicenne Cosimo Piovasco di rondò, dopo aver rifiutato di mangiare un piatto di lumache, fugge su un leccio e vive per sempre sugli alberi. Da lassù Cosimo guarda il mondo da una diversa e insolita angolazione. «Ogni cosa da lassù era diversa, e questo era già un divertimento». (II)
   Si innamora di Viola (la Sinforosa), una bambina indipendente e ribelle come lui, capace di salire sugli alberi e farsi rispettare da una banda di ladruncoli di frutta; e parla a distanza col fratello più giovane (Biagio, la voce narrante) che solo allora, con i piedi ben piantati per terra, capisce la gioia di stare a piedi nudi in un letto caldo e bianco. Dagli alberi, dove costruisce le proprie tane e una sorta di libreria che contiene pure l’Enciclopedia di Diderot e d’Alembert, Cosimo riesce a comunicare con la famiglia e con gli ombrosotti, ma anche con viandanti e soldati di passaggio; dall’alto di olmi, ulivi, gelsi e magnolie va a caccia di cibo e risolve problemi idraulici, escogitando un sistema di fontana pensile; ospita fanciulle e ragiona col precettore Abate di monarchie e di repubbliche, del giusto e del vero nelle varie religioni, del terremoto di Lisbona, della pirateria e chissà di che cos’altro, sulla scorta di tutte le pubblicazioni più ‘scomunicate’ d’Europa. Così facendo il tempo corre e Cosimo si ritrova ultrasessantenne, solo e malato su un grande noce dal quale, in una giornata di libeccio, spicca il volo aggrappato alla fune di una mongolfiera.
   Nell’ultimo capitolo (XXX) del romanzo, dopo la sparizione di Cosimo, il narratore dice: «Prima era diverso, c’era mio fratello; mi dicevo: ‘c’è già lui che ci pensa’ e io badavo a vivere. (…) Ora che lui non c’è, mi pare che dovrei pensare a tante cose, la filosofia, la politica, la storia, seguo le gazzette, leggo i libri, mi ci rompo la testa, ma le cose che voleva dire lui non sono lì, è altro che lui intendeva, qualcosa che abbracciasse tutto, e non poteva dirla con parole, ma solo vivendo come visse. Solo essendo così spietatamente se stesso come fu fino alla morte, poteva dare qualcosa a tutti gli uomini».
   
   Si tratta del problema di essere, di essere veramente; di essere integro e intellettualmente onesto. Calvino cerca l’uomo ovunque pensa si possa nascondere: tra le fronde di un leccio, in un’armatura o nella parte del corpo offesa da una palla di cannone. tutti ci sentiamo incompleti e realizziamo da soli solo una parte di noi stessi. È nell’incontro con l’altro, con la diversità (dentro e fuori di noi) che forse riusciamo a individuare certi valori fondamentali molto semplici: fraternità, solidarietà, volontà di non accettare il mondo così com’è, desiderio di cambiarlo e renderlo un posto migliore in cui vivere. «Ogni uomo vivendo deve fare violenza alla vita, per vivere una vita che abbia un senso», ha detto Calvino in un’intervista del 1957. già allora, egli si poneva il problema della molteplicità dei linguaggi e della consapevolezza di questa molteplicità in una civiltà, non solo letteraria, in cui nessuno può più essere sicuro e appagato da un unico modo di esprimersi. Meglio scrivere opere frammentarie e disordinate, senza una fine, che opere che si beano della loro compiutezza meccanica.
   Il Barone rampante è un romanzo che, in questo senso, esprime un movimento in atto nel mondo reale, la continuità e continua diversità del reale. È storia di metamorfosi come può esserlo la narrazione di un’educazione, un’ascesa (o discesa) sociale, singola o collettiva, una scelta di coscienza e una tensione morale. Credo che quella del Barone rampante sia una storia emblematica di quelle che a Calvino interessava raccontare: «storie di ricerca d’una completezza umana, d’una integrazione, da raggiungere attraverso prove pratiche e morali insieme, al di là delle alienazioni e dei dimidiamenti, che vengono imposti all’uomo contemporaneo».
   Mutilazioni, incompletezze e crisi che possono essere estese oggigiorno ad ogni individuo della generazione Covid-19, privato di entusiasmi, confinato in casa e distanziato/dilaniato nel corpo e nella mente, ma che ha bisogno di aggrapparsi a nuove speranze e visioni del mondo più giuste e sostenibili.
   Anche in questo orientamento va intravista l’unità poetica ed etica di questo romanzo ‘fantastico’ in particolare e degli altri due romanzi allegorici della genealogia degli Antenati: Il Visconte dimezzato e Il Cavaliere inesistente.

NOTE
  1. I. Calvino, Sono nato in America…, cit., p. 450
  2. Ivi, p.463

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