Granchio reale

di Matteo Crescenti

Delle dimensioni di un sassolino, bianca brillante, teneva nel palmo della mano una tellina ed era come se, attraverso striature grigie e increspature concentriche, riuscisse a vedere il mollusco nascosto dentro. Al contrario di tante altre, la conchiglia ospitava ancora l’abitante. Un po’ come trovare un quadrifoglio in un campo di trifogli, avrebbe detto suo padre che non tanto di numeri quanto di telline se ne intendeva. La vongolina – così le chiamavano dalle parti sue – era di proporzioni belle, simili a quelle che coltivavano loro e anche per questo motivo l’aveva notata. Girava e rigirava l’animaletto fra le dita e, con sguardo distratto, controllava l’orologio.

Poco prima, la sua donna aveva avvisato con un vocale che sarebbe arrivata in ritardo. Anziché proseguire verso il borgo, aveva imbroccato la strada per le spiagge e, in uno spiazzo non asfaltato nascosto fra le dune, aveva parcheggiato la macchina. Era in anticipo e decise di fare due passi in riva al mare. Faceva ancora molto caldo. Marzio si pentì quasi subito di aver lasciato il costume da bagno sul sedile posteriore della macchina. Era preoccupato ma la calura, forse anche la stanchezza, gli impedivano di pensare più di tanto. E quando sbucò su una lunga lingua dorata senza ombra né ombrelloni davanti alle acque turchesi del mare, fu tentato di tuffarsi in mutande. Lo sguardo fu però catturato da un riflesso bianco e, tra due cunette di sabbia, trovò la conchiglia. Si era alzato un lieve alito di vento, un tavolo per due e una vista mozzafiato sull’Adriatico l’aspettavano in un ristorante poco più in là. Tenendo stretta in pugno la conchiglia, riprese a camminare lungo il mare.

* * *

Il sole batteva sul lago e sulle nuche di pescatori e allevatori. All’estero il corpo aveva perso dimestichezza con il caldo della sua terra in estate e, ogni tanto, per rinfrescarsi, immergeva il polso nell’acqua salata. Renata invece, malgrado l’età e la pelle chiara, sembrava perfettamente a suo agio.

“Quest’anno produciamo la metà dell’anno scorso”, disse davanti a una vasca vuota. Facevano il giro degli impianti per l’acquacultura delle telline e intanto la donna gli spiegava perché quella era una stagione da dimenticare. L’acquacultura rispetto alla pesca aveva il vantaggio di controllare e proteggere passo dopo passo la crescita dei molluschi. Ma quest’anno avevano avuto problemi sin dalla raccolta delle larve. Era colpa di una specie invasiva mai vista prima nel lago, Renata la chiamò granchio blu. Parlava in dialetto e teneva un discorso ruspante dagli accenti drammatici. Un altro non avrebbe seguito, lui invece con quella parlata ci era nato: capì quello che c’era da capire.

Il granchio faceva la tana dove crescevano le larve di telline, magari ne andava pure ghiotto, fatto sta che da quando era arrivato, non se ne trovavano più. Sentì un gusto amaro in bocca davanti a una vasca in cui i molluschi che avevano raggiunto le dimensioni giuste per la vendita si contavano sulle dita di una mano. Era semplice: niente larve niente acquacultura. Non poteva fare altro che constatare ciò che l’allevatrice sapeva già da tempo: erano arrivati tardi. Per la stagione in corso non c’era più niente da fare.

“Meno male che ho le galline”, disse la donna. Aveva non solo un pollaio ma anche un bellissimo orto nelle vicinanze. Prima di congedarsi, come spesso capitava quando andava a trovarla, Renata gli regalò uova e zucchine.

“Portale ad Angelica”, disse accarezzandogli la guancia. “Quant’è bella quella ragazza, tienitela stretta”.

“Torno a trovarti presto”, disse lui e poco prima di mezzogiorno era di nuovo in macchina.

Teneva il finestrino abbassato quando guidava sulla strada che separava il lago dal mare ed era un modo per fare entrare i profumi della sua infanzia: il lago, le spiagge, i frutti di mare si mescolavano in un unico odore. Un sentore evocatore di ricordi che non sapeva più di avere. Come la prima volta che era andato a visitare l’azienda da bambino o la prima pesca subacquea con suo padre. In famiglia, erano pescatori da sempre e allevatori di telline da almeno un paio di generazioni. Suo padre e il padre di suo padre avevano cominciato a lavorare in proprio e, come tanti altri nella regione del Gargano, allevavano le telline di Lesina rinomate per il loro colore e sapore delicato.

Era figlio unico. Sin dai diciott’anni, aveva seguito gli affari dell’azienda e, data l’età avanzata dei suoi, si preparava all’imminente cambio di testimone. Ora arriva questo granchio blu e spazza via tutto. Aveva controllato: il problema era lo stesso per tutti gli allevatori di telline dei laghi. Non ci avrebbe scommesso nessuno un paio di mesi prima. Eppure, quell’estate, non ci sarebbero state le loro telline sui banchi del pesce al mercato né sulle tavole dei ristoranti in riva al mare e nemmeno a scottarsi appena con prezzemolo e scalogno, in un soffritto colorato cucinato da una comare in un qualsiasi borgo di pescatori.

“Sono arrivati con l’acqua di zavorra delle navi e ormai proliferano nel Mediterraneo. Hanno devastato Ostia”, avevano fatto eco poco più tardi le parole di Gigi. Si erano incontrati al porto. L’uomo della guardia costiera era arrivato con il motoscafo e lo aveva fatto salire prima ancora di salutarlo. Al largo, sotto un sole spaccasassi contrastato appena da una leggera brezza marina, avevano parlato del più e del meno, scherzando come se si fossero visti il giorno prima l’ultima volta. Erano invece passati più di due anni dal loro ultimo incontro. Notò che la barba dell’amico era diventata grigia e qualche ruga in più segnava il volto. Probabilmente anche lui appariva cambiato. Più magro e pallido del ragazzo che era partito per studiare; i suoi, perlomeno, non mancavano occasione di farglielo notare.

Al di là dell’amicizia che li legava da sempre, Gigi era prezioso perché con i pescatori aveva a che fare ogni giorno. Come guardia costiera, a suo tempo anche pescatore, aveva una visione d’insieme e una comprensione privilegiata di tutto ciò che riguardava le attività di pesca, la protezione della biodiversità e del territorio. Sapeva ciò che si diceva in giro, le nuove tendenze: perché quell’annata le sarde erano poche, chi vendeva le ostriche migliori o da quando quel promontorio delle faggete patrimonio dell’umanità era franato. Andava a trovarlo quando aveva bisogno di un consiglio.

“Reggi la barra, ti voglio mostrare una cosa”, disse Gigi sparendo sottocoperta. Il motoscafo navigava all’ombra di una parete bianca, nel mezzo di un’insenatura ampia: bastò mantenere la barra dritta. L’amico tornò qualche istante dopo con il pesce pescato in mattinata: una sogliola e nel fondo di una gabbietta metallica un granchio ancora vivo. Quando il pescatore lo tirò fuori tenendolo per il carapace, riconobbe un bell’esemplare di granchio azzurro. Era grande quanto una granceola, con chele e zampette blu elettriche. Si dibatteva furiosamente, agitava le antenne a ritmo frenetico schioccando le grosse chele azzurre.

“Piuttosto combattivo, no? Ha un’aria esotica”, notò.

“Da queste parti non si erano mai visti prima” confermò l’altro. “Proliferano grazie all’innalzamento della temperatura dell’Adriatico. È un predatore, un po’ come i nostri granchi verdi ma resiste molto meglio ai cambi di salinità. Le lagune sono…”, un’imprecazione e interruppe la frase: il granchio era riuscito a pizzicargli l’avambraccio. Gigi lo ripose e rinchiuse con attenzione dentro la gabbia.

“L’ho trovato stamani impigliato in una rete da pesca. Di telline non ce n’erano più, se le era pappate tutte”.

“Le vedi queste”, disse infilando un bastoncino tra le sbarre a portata delle chele sproporzionatamente grandi del granchio, “queste sfondano la maggior parte delle reti”, disse e il bastoncino fu spezzato. “Ci vogliono buone attrezzature. E un piano di pesca e controllo serio altrimenti si mangeranno un po’ tutto quello che c’è di buono nelle nostre lagune”.

“I danni finora?”

“Difficile da dire, ma lo sai meglio di me che non si pesca più una tellina. C’è da chiedersi anche quanto sia reversibile il suo impatto sulla biodiversità”, disse passandosi la mano sulla pelle arrossata, “Se li lasciamo proliferare e razziare le nostre lagune, assisteremo presto all’estinzione di molte specie”.

Una gocciolina di sudore gli scivolava giù dalla tempia, l’asciugò con il dorso della mano.

“Siamo ancora in tempo?

“Non lo so, Marzio”, disse, “onestamente non lo so”.

Poi con la fronte corrugata aggiunse: “È un po’ come la domanda che fa il malato di tumore al medico. Solo con la diagnosi precoce e un intervento mirato si ottengono buoni risultati”.

“Ammazza, non ti facevo esperto di medicina!”

“C’è poco da scherzare, qua si rischia grosso”, disse con un mezzo sorriso.

Mentre l’amico aggiustava la rotta, tornò con lo sguardo alla gabbietta. La creatura continuava a dimenarsi e ad attanagliare le sbarre con ferocia. Un’ondata più forte lo costrinse ad interrompere l’attività forsennata. E gli sembrò che gli occhietti piccoli del prigioniero lo fissassero da dietro le sbarre – rabbrividì. Per il caldo, per la sete, o per qualche altro motivo ancora gli girava la testa. Vide una massa scura all’orizzonte, cellule impazzite che si diffondevano con passo sbieco, al ritmo ipnotico delle tenaglie. Poi l’inevitabile moltiplicazione delle parti e lo stadio terminale: laghi e mare vuoti, nei fondali solo granchi azzurri impegnati in una macabra lotta cannibale.

“È da tanto che non facevamo un giro in barca io e te”, squillò vicina la voce dell’amico. “Non ti è mancato tutto questo?”

“Saranno almeno un paio d’anni”, calcolò, “ma ora che sono tornato ti verrò a rompere le scatole molto più spesso”. Lo sciabordio delle onde si fece più intenso, rivolse lo sguardo alla costiera e la bellezza delle spiagge scintillanti e delle rupi bianche a picco sul mare gli provocò una stretta allo stomaco.

“Pesca selettiva e magari anche mangiarseli”, sentenziò Gigi, “È l’unico modo per frenare la loro diffusione”.

“Mangiarseli?”

“In America e Cina ne vanno ghiotti”.

“Ma tu li hai mai assaggiati?”

“Ma, sai… roba da americani…”

“Per questo, hanno pensato bene di trasferirsi da noi”, fece ridendo. Intuì uno sguardo divertito dietro gli occhiali scuri dell’amico che replicò:

“Pensaci bene: se potessimo venderli e guadagnarci quanto e come con le telline, il problema sarebbe risolto. I cinesi se li comprano di sicuro, bisogna solo allargare un po’ il mercato”. Cosa che però da queste parti ancora non era nemmeno stata presa in considerazione.

Con gli occhi socchiusi a causa del riverbero, Gigi guardava la costa.

“È vorace e aggressivo: una minaccia per la maggior parte dei pesci in laguna”, ribadì. C’era un’unica via per ripristinare il delicato equilibrio ittico del territorio. Intraprenderla richiedeva il contributo di tutti.

“Ho parlato con quelli di Varano”, disse finalmente il pescatore lisciandosi la barba, “qualcosa si sta muovendo”.

“E a me tocca parlare con quelli di Lesina”, completò Marzio.

Gigi sorrise, gli lasciò la barra e scomparve sottocoperta un’altra volta. Riapparve con una bottiglia di vino bianco.

“Al tuo ritorno in paese”, fece porgendogli il bicchiere.

“Alla tua salute”. Il vino era fresco e frizzante: alleggerì l’atmosfera. Sulla rotta del ritorno trovò spazio ancora qualche risata.

 

Era tardi per iniziare un giro di telefonate, nell’attesa si era seduto sulla sabbia in riva al mare a pochi metri dal ristorante. Tra due onde di marea calante, aveva restituito la tellina al mare. Poco più in là, una coppia di adolescenti guardava il tramonto e lui si ritrovò a invidiare la loro spensieratezza. Solo all’idea di andare a parlare e convincere i numerosi allevatori e pescatori dei laghi, gli si rizzavano i capelli in testa. D’altra parte, non poteva concepire l’estinzione della tellina di Lesina. Il sapore della sua infanzia, le migliori telline del mar Adriatico, la storia della sua famiglia e di una regione intera mutilata, stritolata tra le chele di una specie aliena originaria d’oltreoceano, arrivata sulle rive dell’Adriatico per colpa dell’ingordigia e ignoranza degli uomini.

Faceva ancora molto caldo e gli tornò voglia di farsi un bagno. L’aria era pesante, il cielo tratteneva la pioggia da troppo tempo ma non sapeva decidersi. Di solito in quel periodo, un paio di rovesci e temporali capitavano spesso. Quest’anno niente: non cadeva una goccia d’acqua da mesi, era tutto secco. E pensare che cinquecento chilometri a Nord, affacciata sullo stesso mare, Venezia sprofondava nella laguna. “Non ci si capisce più niente”, pensò. E mentre si chiedeva se anche loro avevano problemi con il granchio blu o qualche altra calamità esotica, sentì la prima goccia.

Si rifugiò nel ristorante un attimo prima che venisse giù l’acquazzone. Angelica arrivò poco più tardi con il felpino coprispalle completamente zuppo. Era bella con i capelli bagnati e quando si chinò a baciarlo desiderò che la cena fosse già finita. Fu piacevole nel racconto di lei, dimenticare l’ossessione delle ultime ore e con appetito ritrovato fare segno all’oste:

“Cosa vi porto oggi Marzio?”

“Fa’ tu Anto’, basta che fai presto che siamo affamati”.

“Ho delle linguine al sugo di granchio azzurro” e fece un gesto come a significare la prelibatezza, “Pescato stamani, è fresco fresco!”

Rimase senza parole e quando poco dopo un ottimo antipasto di frutti di mare servirono la pasta con il granchio blu, avvertì un’improvvisa inappetenza, il desiderio rafforzato di saltare la cena. Angelica intuì qualcosa ma fece finta di niente e assaggiò il piatto. Non trovando niente di meglio da fare, seguì il suo esempio.

Il piatto era squisito. Il sapore del mare sprigionato dalla polpa del granchio si amalgamava perfettamente al sugo e alla pasta di grano duro. Antonio non aveva esagerato. Mentre masticavano, contenta lei, incredulo lui, si guardò attorno. Sui tavoli vicini vide i carapaci, diventati rossi con la cottura, decorare almeno una mezza dozzina di piatti come il suo: la clientela faceva onore alla portata. Tra un sorso di vino e l’altro, si sciolse sulla lingua il cancro di una giornata.

Foto di ThePalm52 da Pixabay

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1 commento

  1. Leggendo la bellissima storia di Matteo Crescenti mi sono sentita subito molto coinvolta.
    L’autore descrive in maniera impareggiabile il problema attuale causato dall’aumento esponenziale di animali esotici, in questo caso del granchio blu. Grazie al suo magnifico stile mi sono subito potuta immedesimare con Marzio, il protagonista del racconto.
    Non vedo l’ora di leggere un’altra racconto dello stesso autore.

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davide orecchio
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Vivo e lavoro a Roma. Libri: Lettere a una fanciulla che non risponde (romanzo, Bompiani, 2024), Qualcosa sulla terra (racconto, Industria&Letteratura, 2022), Storia aperta (romanzo, Bompiani, 2021), L'isola di Kalief (con Mara Cerri, Orecchio Acerbo 2021), Il regno dei fossili (romanzo, il Saggiatore 2019), Mio padre la rivoluzione (racconti, minimum fax 2017. Premio Campiello-Selezione giuria dei Letterati 2018), Stati di grazia (romanzo, il Saggiatore 2014), Città distrutte. Sei biografie infedeli (racconti, Gaffi 2012. Nuova edizione: il Saggiatore 2018. Premio SuperMondello e Mondello Opera Italiana 2012).   Testi inviati per la pubblicazione su Nazione Indiana: scrivetemi a d.orecchio.nazioneindiana@gmail.com. Non sono un editor e svolgo qui un'attività, per così dire, di "volontariato culturale". Provo a leggere tutto il materiale che mi arriva, ma deve essere inedito, salvo eccezioni motivate. I testi che mi piacciono li pubblico, avvisando in anticipo l'autore. Riguardo ai testi che non pubblico: non sono in grado di rispondere per mail, mi dispiace. Mi raccomando, non offendetevi. Il mio giudizio, positivo o negativo che sia, è strettamente personale e non professionale.
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