Xun, Simone Pollo e l’Accademia come pratica reazionaria
di Giorgiomaria Cornelio
«Vorrei dire qualche parola sull’invenzione del finto filosofo Xun e del libro “Ipnocrazia”, scritto con l’intelligenza artificiale dal tlonista Andrea Colamedici e pubblicato dalla casa editrice Tlon. La vicenda è ormai ampiamente nota e, pertanto, non è il caso di riassumerla neppure a grandi linee; vado quindi diritto al punto: si tratta di un’operazione intellettualmente misera e moralmente deplorevole» scrive oggi Simone Pollo in un post pubblico, dove attraversa la vicenda di Xun. Ogni volta è molto utile leggere il professore Simone Pollo perché ci dimostra quanto ancora reazionaria sia una parte dell’accademia nell’affrontare processi come Xun; reazionaria ed esclusivamente reattiva (cioè capace solo di reagire, senza immettere forze generative). E ancora: difensiva dei propri confini, delle proprie trincee, paternalista proprio nell’individuare in ogni progetto il vettore della morale e non della potenza, del possibile che spalanca (anche e soprattutto quando decide di attraversare l’ambiguo – di abitare “l’inganno”, per trasformarlo in urto di riflessione, in “scottatura”). I difensori della verità hanno i propri contesti – e sono chiari, univoci, non mischiati con l’impuro; non è un caso che Pollo arrivi a scrivere: «l’antidoto è difendere i contesti e i modi di pensiero che fiducia e veridicità li praticano davvero». Non importa se poi l’IA sia tacitamente usata in moltissimi paper, come dimostrato in diversi approfondimenti; ciò che conta è la professione di purezza: difendere e difendersi, appunto.
Esiste però un dibattito universitario avventuroso, come quello esplorato recentemente da La Rivista di Engramma sulla questione del copyleft e copyright, del plagio e del furto come pratica anche di conoscenza, disseminazione e di “performance” accademica:”Copyleft & internauti pirati”. Dibattito, questo, che qualche mese fa affrontammo proprio con Pollo, il quale era chiaramente critico di questo approccio. E anzi si trovò a scrivere: «riconoscere l’autorialità delle opinioni e delle idee è una garanzia della veridicità e della sincerità di quelle stesse opinioni e idee. […] Alla fine torniamo sempre a quello che mi sembra il tema centrale del nostro tempo: dobbiamo superare l’Illuminismo o possiamo ancora dirci illuministi? Ecco, per quanto mi riguarda, non solo possiamo dirci ancora illuministi, ma dobbiamo con tutte le nostre forze».
A tal proposito, qualche giorno fa, allo IED Roma, durante la presentazione del collettivo Xun, ci è stata posta una domanda molto interessante: che posto vacante occupa oggi Xun nella filosofia? Ho provato a rispondere così: dopo secoli di convinzioni illuministiche, di rapporti tra filosofia e trasparenza della realtà, e dopo la decostruzione di questo paradigma negli ultimi decenni, Xun finalmente ci dice che la genealogia di oggi è la stessa dell’uomo-mago, di colui che opera sulla realtà manipolandola con i propri vincoli, creando narrazioni formidabili (e terribili) che inverano il proprio tragitto. Per questo, invece che rifiutare i fantasmi, dobbiamo imparare a riconoscerli e manipolarli, in direzione però di un’altra ecologia del dibattito.
Forse il posto vacante del mago è stato sempre segretamente “vegliato”, e oggi riemerge, esattamente come nel finale della Rosa di Paracelso di Borges: “e la rosa risorse”.
Non mi è chiaro cosa intendi per un’altra “ecologia del dibattito”: la manipolazione delle AI porta semmai a un’ipertrofia del dibattito, inquinato già soltanto dalla distinzione delle fonti in questione. Nel caso specifico si sta parlando degli effetti superficiali dell’operazione (come hanno reagito i media, ecc.) ma non di un suo eventuale apporto al dibattito critico.
Soprattutto, mi pare che né il tuo articolo né l’intervista all’autore sull’Espresso rispondano efficacemente a questa affermazione di Pollo, che condivido pienamente: “Un’impostura intellettuale di questo tipo ha senso e valore se ha una funzione di smascheramento e di critica di un potere”. Quale potere smaschera questa operazione editoriale? Mi pare piuttosto che il potere (delle IA, in questo caso) venga usato principalmente per vendere.
Ornella, mi sembra che tanto il tuo intervento quanto quello di Pollo tradiscano una visione manichea e moralista di cosa significhi il fare critica. Un’operazione come Xun (e nelle arti performative si fa da decenni) funziona anche quando manipola, attraversa e usa le strategie del potere. Quando dimostra, essenzialmente, che la filosofia è capace di creare concetti che operano come macchine del contagio – e la stessa macchina filosofica, come insegna oggi l’orrore di Israele (e di Deleuze come strategia militare), può essere usata tanto per attuare genocidi quanto per liberare vettori rivoluzionari. Xun svela dunque una cosa essenziale: che la filosofia agisce e contagia, con i suoi fantasmi. Ora sta a noi capire verso quale ecologia muoverci – attraverso l’impuro, e non fuori da esso.
(P.s. sulla “colpa” di vendere, e sulla rivalutazione del consumismo in ecognosi, rimando ad ecologia oscura di Morton, e anche a questo: https://engramma.it/eOS/index.php?id_articolo=5907 )
L’operazione situazionista-pubblicitaria (a metà tra sovvertimento e audace strategia di marketing) la trovo l’aspetto più interessante della faccenda: siamo nell’indecidibilità wharoliana: fascinazione per la merce o sua critica? Situazionismo o marketing? Non è roba che mi procuri entusiasmi duraturi, ma non mi fa certo gridare allo scandalo. Il problema vero è l’arrosto, una volta che si dirada il fumo. E l’arrosto ha di queste formulazioni: “Nous sommes entrés dans une époque où le pouvoir n’a plus besoin des outils de la contrainte physique ou de la persuasion rationnelle : il lui suffit de moduler les états de conscience collectifs.” Cito da un’intervista che lo Pseudo-Xun ha rilasciato sul sito francese di “Le Grand continent”, un ottimo laboratorio di geopolitica, di cui non per forza condivido sempre le proposte e le prospettive. Traduco dunque dal pensiero dello Pseudo-Xun:
“Siamo entrati in un’epoca in cui il potere non ha più bisogno di strumenti di costrizione fisica o di persuasione razionale: gli è sufficiente modulare gli stati di coscienza collettivi.”
Ci avviciniamo al cuore un po’ sguarnito del concetto di “Ipnocrazia”, sui cui dovrebbe riposare quanto più c’interessa dell’operazione Xun, situazionismi di marketing a parte.
E l’affermazione di cui sopra già instrada una buona fetta di adepti del nuovo pensiero progressista in un vicolo cieco, o in una strada che non porta da nessuna parte. Chi mette fuori un poco la testa dalle piattaforme, si rende conto di cosa è successo in Francia ai corpi dei manifestanti durante la lunga turbolenza dei “gilet gialli”; bisognerebbe chiedersi perché l’esercito di Netanyahu si ostini cosi tanto a far fuori i palestinesi e a impedire persino che i corpi siano curati o si abbeverino di acqua potabile; bisognerebbe chiedersi perché il duo Trump-Musk licenzi davvero migliaia di ricercatori e impiegati dell’amministrazione, invece di limitarsi ad ipnotizzarli. Stessa cosa vale per gli immigrati illegali, che vengono rispediti in varie parti del mondo, senza avere possibilità di contestare la decisione delle autorità. E chissà come mai ad Haiti, a dicembre, in una sola giornata, un capo di una delle bande armate, ha ucciso 184 persone, in quanto sospettate di praticare il culto vudù. Ma come? Le armi vincono sulla magia?
Ah, ma forse l’ipnocrazia si applica ad ambiti molto particolari. Forse quella teoria è molto provinciale. Non riguarda il funzionamento OGGI del potere, cosi com’è per milioni di persone… Che poi ci siano forme nuove di sudditanza volontaria dell’attenzione o di manipolazione delle credenze, ecc., è verissimo. Ne stiamo parlando da un bel po’. Ma quella frase, allora, come la devo leggere? Come una sparata performativa dello Pseudo Xun? Una ingenuità imbarazzante? Uno di quei concetti falsamente radicali, che già le teorie del cognitariato di dieci, vent’anni fa, diffondevano?
Andrea, il punto che noti è stato affrontato, per esempio, proprio da Bifo: «È per questo che il progetto ipnocratico (la sottomissione della mente sociale all’automa) a un certo punto si sfascia, perché gli ipnotizzati si svegliano col mal di denti o con la guerra alle porte». La questione dei corpi l’abbiamo affrontata alla presentazione allo Ied: Xun, col suo stile martellante e sua volta ipnotico, non fornisce un’analisi esaustiva, ma agita un concetto che opera – e funziona. Se molta dell’opinione pubblica non reagisce allo scandalo dei corpi violati, è perché l’opera di santificazione integrale del mondo operata dal capitalismo emancipa la realtà dalla sua immediata profanità, quindi anche dalla questione del corpo. Se il compito della filosofia è far venire il mal di denti alla realtà, essa non può ignorare che il regime delle immagini e dei fantasmi veicola chiunque: se ne servono per convincere che quello che accade contro migranti, protestanti, interi popoli rientri in ordinaria amministrazione, in epica del restauro (nostalgia restaurativa – ovvero MAGA). Non è l’ìpnocrazia che evita il massacro dei corpi: è ciò che lo permette. Fino a che non arriva a toccare anche il tuo…
Giorgiomaria, non credere che mi sia chetato :)
Sono davvero tanti i punti che non mi convincono in quel poco che ho letto, e anche in quello che dici. Certo, vedo la volontà d’imbracciare l’IA e di fare scorribande sui social, con l’intento di imporre nuove parole chiave, nuove attitudini, senza essere confinati a una posizione di semplice negazione impotente. Ma questa buona volontà non basta. I concetti che mettete in campo sono vaghi. Esempio. Voi scrivete che il potere non ha più bisogno di agire sui corpi, io ti rispondo che, al contrario, in una fase storica di dominio senza egemonia (vedi mio articolo su Trump2 di oggi 11/4), i corpi al conrario sono più colpiti del solito, e tu mi rispondi su un’altra questione, ossia quella di come reagiscono i corpi ai massacri altrui. Bisogna scegliere: o tutto è indecidibile: vero e falso, reale e virtuale, coerenza argomentativa o incorenza argomentativa, oppure il lavoro di sovvertimento deve essere più duro, lungo e preciso. E non puo’ ogni volta rifuggire il terreno dell’analisi. Ma provo a riassumere il più possibile il mio principale punto di disaccordo sull’operazione Xun-ipnocrazia, per quel che ne ho letto e compreso.
Per me la penetrazione dell’IA nella nostra realtà è un vero pericolo, punto e basta. Il pericolo è tanto più grande dal momento che pochissimi hanno preso la misura delle conseguenze negative che una tale ristrutturazione tecnico-sociale comporta. Siamo di fronte a qualcosa come l’energia atomica: è bellissima, ma nel pacchetto c’è anche la bomba, che invece è bruttissima. L’IA sta penetrando non solo nel nostro tempo libero (piattaforme, applicazioni di smartphone), ma nel mondo lavorativo, in quello amministrativo. Ed essa è ovviamente uno strumento che lo fa tirare a tutti i mezzi o interi fascisti in circolazione, ma lo fa tirare anche a una notevole quantità di dirigenti politici idioti, che pensano di doversi mettersi nella corsa dell’IA sovrana (tipo i francesi), e che quindi la impongono a casaccio a destra e a manca nei vari Ministeri, senza avere il coraggio di monitorare la sua vera efficacia.
Ora c’è moltissimo lavoro da fare sull’IA, ma lavoro per agire politicamente. Ad esempio, per divulgare, discutere, far evolvere il quadro legislativo proposto dall’Unione Europea nell’IA act (https://digital-strategy.ec.europa.eu/it/policies/regulatory-framework-ai), che costituisce per ora l’unica opprtunità per il singolo cittadino di non essere in una posizione puramente subordinata nei confronti dell’uso dell’IA da parte di Stato e aziende. Ma mi sembra che questo tipo di lavoro divulgativo, analitico e politico, per certi versi molto prosaico, non vi interessi un granché.
In agosto del 1945, il mondo ha constatato che cosa puo’ produrre sull’uomo e l’ambiente l’arma atomica. Negli anni Cinquanta alcune personalità cominciano a combattere l’uso delle armi nucleari e della stessa energia atomica. Dovremo aspettare gli anni Settanta, perché in Europa si formi un vasto movimento popolare “anti-nucleare”, di cui per altro l’Italia è stata un terreno particolarmente fertile. Fatte tutte le debite differenze, in termini di gravità e di livello di rischio, c’è da aspettarsi che – in questo sono abbastanza ottimista – un movimento anti-IA possa aspettare meno tempo per crescere e manifestarsi. E non è questione di semplice luddismo. E’ questione politica, di deliberazione collettiva su quelle che sono le nostre potenze tecnologiche.
Forse in molti punti del mio discorso puoi accusarmi di essere “reazionario”, anche se non vengo proprio per niente dal mondo accademico. Ma c’è una cosa molto poco reazionaria che ho messo nero su bianco, ossia il concetto (politico per eccellenza) di deliberazione collettiva. Che puo’ avere senso solo, avendo una certa conoscenza delle circostanze su cui si va a deliberare.
Caro, in realtà il tuo punto è molto mirato, e mi piacerebbe rispondere puntualmente, proprio a partire dalla bomba atomica, perché è una questione che, prima ancora di ipnocrazia, mi sono trovato ad affrontare nei fossili. Procedo dunque cosi: l’AI è già dentro di noi. Direi che il sistema è dentro di noi, oppure che esso ci avvolge come un esoscheletro cucito addosso senza che neanche ce ne accorgiamo. Riconoscere tutto ciò può fare paura, immobilizzare l’agire, farci passare per “psicotici”; oppure, questa sintomatologia gnostica può innescare una serie di controffensive immaginative. Nel 1964, all’epoca dell’Io diviso, Ronald Laing faceva l’esempio di una ragazzina di diciassette anni ricoverata in un ospedale psichiatrico che gli aveva confidato di essere terrorizzata perché pensava di avere dentro di sé la bomba atomica; piuttosto che bollarla come psicotica, Laing sosteneva che i capi di Stato che si vantavano con grandi minacce di possedere all’interno delle proprie nazioni armi da “giorno del giudizio” erano per lui molto più pericolosi ed estraniati dalla “realtà” di quanto lo fosse la ragazzina.Similmente al fischio del malinconico, la bomba in corpo si poneva come il sintomo di un pericolo più grande, che attaccava ogni aspetto della vita e dunque andava fronteggiato. Per questo oggi abbiamo bisogno di una militanza psichica, di un’immaginazione plurale, nutrita da una moltitudine di phármakon e di figure del mito, capace di fronteggiare gli incantamenti in cui siamo intrappolati come fossero altrettante minacce atomiche: «Il contenere la bomba atomica nella mente come immagine richiede una straordinaria estensione delle nostre facoltà immaginative e un coraggio straordinario, una vera e propria rivoluzione dell’immaginazione » diceva James Hillman. Il risveglio incomincia nel punto in cui la condanna della bomba in corpo diventa ordigno immaginativo, alba di un’altra percezione contro la narcosi generale, e il suo silenzioso dominio.
Proprio Hillman, peraltro, si rivolse a questa questione così: «La traduzione dell’atomica nella immaginazione è una transustanziazione di dio in imago dei, un atto che libera il nome ultimo di dio da tutte le letteralizzazioni, dal positivismo alla teologia negativa, un dio che è tutte le immagini. E, al pari degli altri nomi di dio, esso non può essere posto sotto il controllo della sola ragione né essere preso del tutto letteralmente senza conseguenze terribili. Compito di una psicologia del nucleare è il culto ritualizzato dell’atomica in quanto immagine, che non la lasci mai ricadere dalla sua colonna di nubi, lassù nei cieli dell’immaginazione, in una pioggia distruttiva sulle città della pianura.
La spada di Damocle della catastrofe nucleare che pende sulle nostre menti sta già producendo schemi di pensiero assolutamente nuovi sulla catastrofe stessa, una nuova tecnologia, una nuova scienza, una nuova psicologia, che non si limitano a gravare la mente con l’idea di una fine ineluttabile, ma la obbligano a entrare nella coscienza postmoderna, dislocando, decostruendo e facendo piazza pulita di ogni cristallizzata certezza. Questo è il sintomo che segnala una delle necessità psichiche di questa èra. Per sgombrare questa fine di secolo dalle sue coagulate nozioni occorrono la spietatezza disciplinata e il coraggio di Marte. Decostruire la mente bloccata, aprire una via di fede con la nostra rabbia e la nostra paura, stimolare i sensi anestetizzati: questa è militanza psichica nella forma più intensa.
[…] In altre parole: facciamo esplodere i concetti; che salgano in lingue di fuoco. Facciamo esplodere la mondanità, e non questo mondo; gli inferni e i paradisi; la salvazione, la redenzione e il viavai dei Messia: non ci basta la presenza continuativa del qui e ora? Chiudiamo nuovamente la speranza nel vaso di Pandora e guariamo dal vizio di farcene una dose quotidiana. Sgombriamo la continuità da tutte le fini e i nuovi inizi e le rinascite palingenetiche. Liberiamo la continuità dalla Storia: pensiamo agli animali e ai popoli arcaici, che conoscono la continuità senza la Storia. (Perché dovrebbero essere distrutti a causa delle nostre sacre scritture?). Allora la vita fuori dal tempo storico potrà continuare a rivelarsi senza bisogno di Rivelazioni; una volta perforati dall’intelligenza i veli del letteralismo, la vita ora si svelerà ora si celerà alla mente che immagina e dunque ama i veli. Nessuno squarcio improvviso, nessun finale apocalittico; ma un essere fuori dal tempo, inteso come la straordinariamente amorevole, amabile, terrificante continuità della vita sempre in atto.»
Ecco: di fronte al pensiero esclusivamente reattivo verso la catastrofe o la possibilità dell’IA, mi interessa moltissimo quanto sopra.
Interessanti i passaggi di Hilman sulla bomba. Non posso dire di averli molto capiti, ma concordo almeno su un punto: i governanti erano molto più alienati nella loro pretesa di maneggiare razionalmente la bomba, rispetto alla bambina che si sentiva una bomba.
una chiave, molte chiavi
https://www.youtube.com/watch?v=O0JJ5uYCBZo
Capolavoro musicale.
ero sicuro che avresti apprezzato, veri situazionisti.
effeffe