Il salto di qualità
di Lorenza Venerus

Margherita fa un sospiro, che nel montaggio verrà tagliato, poi riprende guardando sé stessa nello schermo:
«Bellissimo come descrive queste figure femminili, quello che possono permettersi o no nella Russia di fine Ottocento. Molto profondo. Anche se, non so, secondo me se l’avesse scritto una donna sarebbe stato diverso – si tocca i capelli e deglutisce, nascondendo le incrinature della voce – Ma vabbè, questo è un altro discorso. Il fatto è che, ràga, ve ne sarete accorti – e picchietta con le unghie sulla copertina – Il romanzo è bello corposetto. E siccome sono sempre sincera con voi, vi confesso che per la challenge non sono riuscita a finirlo».
Sembra rassicurante anche mentre ammette le proprie colpe, merito della ring light riflessa sulle pupille. La sfida di maggio e giugno era leggere i grandi classici che le mancavano, suggeriti dalla community: ha amato Oblomov, Lo straniero, Madame Bovary; ha accettato di leggere Anna Karenina prima di capire che il tempo non le sarebbe bastato – troppo tardi per tirarsi indietro. Termina il video con movimenti precisi delle mani e sta attenta a non chiuderle a pugno quando ricorda a chi la segue di mettere un mi piace. Valuta Tolstoj con quattro stelle su Goodreads.
Quindi lascia cadere indietro la testa, e quando la rialza vede il telefono illuminarsi per una chiamata. Fissa la foto del contatto, due sagome di profilo che si baciano davanti a un campo di tulipani, la scritta “Luca” con l’emoticon di un panda, e si accorge di sentirsi così triste da provare quasi indifferenza. È il suo compagno: non risponde.
Dalle altre stanze arriva silenzio e odore di candeggina. Mentre si sdraia sul letto, Margherita pensa a quando immaginava di poter diventare qualcosa di diverso. Forse non l’ha mai fatto davvero. Una brezza che durerà poco percorre frusciando i campi di colza, entra dalla finestra, le intiepidisce la pancia. Lei chiude gli occhi e sorride. Poi, per la prima volta nell’ultima settimana, l’unica da quando è tornata dai genitori, finalmente si addormenta di un sonno sereno.
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Dicono sia un trucco: nel suo lavoro, solo pochi ce la fanno partendo da condizioni non troppo abbienti. Quella piccola percentuale è sufficiente perché moltissimi ci provino, tra cui lei; ormai da tempo può dire di essere un’influencer o, meglio ancora, una content creator. Non si sente migliore né peggiore di nessuno, crede che le storture nel suo ambiente assomiglino a quelle di qualsiasi altro. Pensa per esempio a Luca che, nonostante la promessa di un posto nell’accademia italiana, aveva visto rifiutata la propria candidatura, ripiegando su Utrecht pur di fare il dottorato. È rientrato dopo quattro anni su insistenza di Margherita, e adesso lavora come analista a tempo determinato in un laboratorio appena fuori Vicenza. Convivono in un appartamento poco distante da quella zona, all’interno di un complesso residenziale abitato perlopiù da famiglie di tre o quattro persone.
Oppure pensa al padre, insegnante di italiano alle medie che, non trovando case editrici disposte a investire in testi così lunghi, si era auto-pubblicato i suoi tre romanzi. In quei testi dispersivi e sconclusionati aveva raccontato la propria vita e quella dei nonni partigiani, ma, ora che le cinquecento copie totali sono rimaste in gran parte invendute, quasi si sente ridicolo e non ne vuole più parlare. La madre, segretaria in nero in uno studio medico, aveva capito la gravità della situazione quando l’aveva visto rientrare una sera col bagagliaio pieno di primule e camelie. Da quel giorno lui non fa che occuparsi di loro, le concima e le innaffia fumando per pomeriggi interi, mentre i compiti in classe dei suoi studenti si accumulano sulla scrivania senza essere toccati.
Per una forma di vergogna che superava il dispiacere, e benché amasse la letteratura quanto il padre, all’università Margherita aveva scelto Tecniche farmaceutiche, laureandosi tre anni fuoricorso con un voto che si avvicinava al massimo. Durante gli studi non aveva smesso di leggere e, le prime volte per gioco, aveva registrato e caricato su YouTube delle brevi recensioni dei suoi romanzi preferiti. Con il video su Oceano mare aveva iniziato a monetizzare. Non si era chiesta perché proprio lei: forse per il suo aspetto, carino ma non troppo, da guardare senza invidia. Era stata la sua rivincita. Il giorno della laurea su Instagram aveva più o meno cinquantamila followers, aumentati a centoventimila in sei mesi grazie a un nuovo format di ricette vegane, e arrivati a centoquarantamila in una settimana, dopo il repost inatteso di una podcaster monzese. Tuttora si aggira intorno a quella cifra.
A un certo punto si è affidata a un’agenzia di Talent Management per fare quello che a lei piace definire, in italiano, “il salto di qualità”. Prima di firmare, ne aveva parlato col compagno. Lui era scettico: diceva che le percentuali trattenute erano troppo alte, e lei ribatteva di saperlo, ma quello era il suo investimento, casomai un giorno avessero voluto aprire un mutuo, trasferirsi, rivolgersi a una clinica privata. Lui aveva gridato di non averla mai considerata una stupida; a tutto il resto non aveva risposto: a volte le previsioni lo spaventavano più delle certezze. Alla fine però aveva ceduto, incoraggiandola persino.
Così, già da diversi mesi, specialisti e collaboratori aiutano Margherita soprattutto nelle sponsorizzazioni: la mettono in contatto con le aziende e si assicurano che la pubblicità ai brand sia in linea con l’identity del profilo. Lei accetta soltanto le proposte che rispecchiano i suoi valori: ha collaborato più volte con una multinazionale di cibo bio, una piattaforma di audiolibri, uno store indipendente di gioielli artigianali. Si è rifiutata di sponsorizzare un servizio a pagamento di psicologia online ricordandosi di suo padre e di tutte le domande di aiuto psicoterapeutico che l’ASL gli aveva respinto. Non si era mai sentita così sincera.
Inoltre, con la consulenza di una content strategist laureata in lingue, capisce quali sono i trend e i format virali, e segue i suoi consigli per differenziarsi dalla concorrenza. È stata lei ad averle suggerito che, se vuole essere ascoltata anche nei discorsi un minimo complessi, deve fare qualcosa mentre parla – colazione la mattina, beauty routine la sera –, e che per non annoiare durante gli unboxing è meglio se li registra in ASMR. Ma questi, per quanto calcolati, non sono che accorgimenti, piccole astuzie per aumentare l’engagement: nella sostanza Margherita si percepisce ancora integra. Convinta che ogni racconto sia una menzogna, crede che la soluzione per non mentire sia semplicemente non dire nulla – per questo sulla sua vita privata mantiene online una quasi totale riservatezza.
«Tu vuoi fare l’improvement…»
«…Salto di qualità»
«Tu vuoi fare il salto di qualità, Marghe, ma non hai ancora capito che cos’è la qualità nel tuo lavoro»
Era un caldo pomeriggio di metà giugno, circa un mese fa. Fuori dall’open space, lungo un viale alberato a pochi passi da CityLife, frinivano le prime cicale. Margherita era appena diventata uno dei volti della campagna ambientale di un marchio di intimo per ripulire le spiagge italiane dai rifiuti, con un accordo però al ribasso: l’azienda aveva insistito a lungo sulle dimensioni della sua community (buone ma non ottime), e Margherita aveva dovuto accettare un contratto da un unico reel, esclusivamente in collaborazione coi canali del brand. Rimaste sole nella sala riunioni, la talent manager dell’agenzia aveva deciso di farle un discorso serio mentre mangiava cubetti di pesca da un contenitore.
«Sono laureata, so parlare bene, so cucinare – aveva detto Margherita come per difendersi – Sono stata tra i primi a portare i libri su Instagram. Voglio migliorare, creare cose nuove con quello che so fare»
«Sì ok, ma i tempi sono cambiati – aveva risposto Claudia infilzando la pesca con una forchettina in plastica – Quando hai iniziato, forse, bisognava saper fare qualcosa, e bastava. Adesso è un optional. Quello che conta davvero, oggi, è sapersi raccontare. Guarda ClioMakeUp: è diventata famosa perché è brava coi trucchi, certo, ma lo sarebbe ancora se a un certo punto non avesse iniziato a parlare della sua vita a New York, i gatti, il marito, le figlie? La gente vuole conoscere la tua storia. Desidera vedere in te…»
«Una guida, lo so»
«No: un’amica»
Margherita non aveva trovato le parole per rispondere, lasciando che fosse Claudia a continuare: «Ascolta: se tutto va bene a ottobre una grossa catena di supermercati ci propone una collaborazione. Sono i cinquant’anni che ha aperto in Italia. Abbiamo pensato a te, ma non possiamo permetterci contratti da un post come quello di oggi. Di solito, sotto i tre, noi non scendiamo. Ma tu devi aiutarci»
«Che devo fare?»
«Non so, apri box domande, per esempio, fai dei vlog, degli storytime. Devi creare interazioni, essere più autentica. Quei supermercati hanno un target solido: madri e donne di mezza età, qualche ragazza fuorisede. Punta a loro: se gli piaci, altro che reel in collaborazione. Ci invitano alle inaugurazioni degli store, inviano la spesa a casa, i codici sconto… Ti fanno diventare brand ambassador, insomma, con contratti da sei, nove mesi. Più soldi per te e per noi. Capito come? Mi raccomando: dopo l’estate ti voglio rivedere», e aveva chiuso il coperchio del Tupperware con uno scatto. I cubetti di pesca avevano sussultato nel loro liquido.
Nei giorni seguenti Margherita avrebbe davvero voluto riflettere sulle parole di Claudia e magari inventarsi qualcosa di sé da condividere, se soltanto non fosse arrivata la diagnosi. Non aveva pianto, ma aveva passato una settimana chiusa in camera, leggendo tutto il tempo e mangiando solo se a preparare era il compagno. Aveva scritto di getto il copione del video su Tolstoj, interrompendo la lettura a metà del suicidio mancato di Vronskj. Dalla stanza era uscita soltanto per lavarsi.
Dopo inutili tentativi di convincerla a fare altro, Luca aveva prenotato a sorpresa un Airbnb sulle Dolomiti. Terrazza con vista sulle montagne, sauna finlandese, piscina: quella vacanza era stata un disastro. Per tre giorni non si erano toccati né avevano fatto l’amore; fino a che, mentre preparavano le valigie per ripartire, avevano litigato. Margherita gli aveva chiesto che cosa aveva senso fare: l’operazione, e sperare che non ci fossero ricadute, o direttamente il percorso in clinica? Luca si era irrigidito, aveva risposto che bisognava parlarne con calma, adesso no di sicuro, era la loro vacanza, cazzo, e Margherita aveva cercato di non arrabbiarsi ma non ce l’aveva fatta, aveva iniziato a gridargli che erano scuse, le sue, come sempre, che non voleva affrontare il discorso, questa era la verità, e Luca aveva replicato senza urlare che lei non sapeva niente di ciò che voleva lui, la convivenza, il posto in laboratorio, il figlio che non riuscivano ad avere: che cosa gli andava bene di tutto questo? Se l’era mai chiesto, lei? Forse sarebbe stato meglio restarsene in Olanda. Quindi, dandole le spalle, aveva ripreso a infilare i boxer nel borsone con movimenti nervosi delle mani. Margherita si era bloccata premendo le braccia lungo i fianchi e, appena Luca si era voltato per guardarla, gli aveva detto che se ne stava andando: per un po’ preferiva non vederlo.
Aveva preso il treno fino a casa dei suoi, le unghie affondate nelle cosce scoperte mentre guardava il paesaggio sempre più familiare – i campi ingialliti, i filari di cipressi, le insegne già fuorimoda dei negozi sull’autostrada. In piedi fuori dalla stazione di Abano, aveva riconosciuto da lontano il rumore metallico della Clio di suo papà e si era seduta in silenzio sul sedile del passeggero, facendo vagare lo sguardo oltre l’asfalto del parcheggio ormai vuoto. Poi, quasi all’improvviso, aveva iniziato a spiegare: a un padre che forse nemmeno avrebbe saputo dire l’età delle sue prime mestruazioni, aveva parlato di aderenze intrauterine e d’isteroscopia per rimuoverle, del ricorso quasi obbligato alla procreazione assistita semmai avesse voluto rimanere incinta. Il padre l’aveva abbracciata senza dire niente. Ed erano rimasti così a lungo, immobili nell’odore di tabacco: lei che finalmente piangeva, lui che tremava per lo sforzo di proteggerla ancora.
***
Quando Margherita si risveglia è già sera. Luca l’ha chiamata altre cinque volte: vorrebbe piangere di nuovo, invece si rimette al lavoro.
Verso le tre del mattino, nel piatto accanto al computer, la buccia di un’anguria copre i pochi pomodori ormai appassiti nel loro condimento – tutto ciò che per oggi è riuscita a mangiare. Ha appena finito di editare il video che domani caricherà su Instagram e lo sta guardando per un’ultima volta. Le piace la semplicità e la precisione con cui ha parlato di Anna Karenina, ma un po’ si spaventa vedendo nello schermo il correttore sciolto dal sudore sulle occhiaie scure, le guance pallide nonostante sia estate. Va a specchiarsi in bagno per assicurarsi che quel volto sia il suo.
Strofina con un dischetto scaglie e sbavature del trucco seccato. Sarebbe meglio girare il video daccapo, rimandare tutto a quando sarà più presentabile, se ne rende conto, ma non vuole. Già immagina il momento in cui la community, notando il suo aspetto stanco, forse triste, più che discutere su Tolstoj si preoccuperà per lei, e le chiederà se va tutto bene, mandandole messaggi d’affetto o semplici cuoricini bendati in segno di incoraggiamento.
Margherita sceglie che va bene così: ciò che ha sempre rifiutato le sembra d’un tratto un’opportunità. Allora raddrizza la schiena, punta gli occhi sul proprio riflesso e recita bisbigliando un possibile video di risposta.
«Vi ringrazio per il vostro supporto, siete stupendi – mormora col fiato sospeso – In effetti non sto bene, e vorrei parlarvene. In primis perché ho bisogno di sfogarmi, ma soprattutto perché spero di essere d’aiuto a quelli che si trovano nella mia situazione, e che purtroppo sono molt* – l’asterisco disegnato in aria con il dito – Vi faccio un piccolo trigger warning, però, quindi skippate le stories se non volete ascoltare. Si parlerà d’infertilità», e prova una vertigine davanti a questa parola che, sebbene pronunciata a malapena, rotola e si distende tra i denti con una specie di sollievo.
Se troverà il coraggio, se la community reagirà come lei spera e crede, tra qualche giorno ripeterà quello sfogo davanti alla fotocamera del telefono, senza tagliare niente, né sospiri né cedimenti della voce – tutto sarà pubblicato così come viene, a testimonianza di un dolore sincero. Sceglierà i direct da ricondividere, risponderà con cura a chi le ha confidato fatti troppo intimi per essere ignorati. Con alcune potrebbe diventare addirittura amica. Osserva sotto l’applique da specchio le sue pupille che si rimpiccioliscono fino a diventare invisibili, quasi liquide. Poi esce dal bagno e spegne la luce; ed è nel buio momentaneo del corridoio, lontano dalla sua immagine, che Margherita si chiede se sarà questo, alla fine, il suo personalissimo salto di qualità.
(fotografia di Daniele Muriano)
