Il potere dell’auto

di Leonello Ruberto

Non erano vere e proprie liti, quelle che Ford aveva con sua moglie.

Però potevano essere ancora peggio. Rappresentavano qualcosa di più profondo: qualcosa che non andava tra di loro.

Quando Ford prendeva quella strada, attraverso la quale un dialogo si trasformava in un suo monologo, poteva stare sicuro che, se si fosse spinto abbastanza in fondo, a un certo punto Mercedes avrebbe reagito.

Sbottato.

La mortificazione che Ford avrebbe sentito dentro sarebbe stata esagerata, e fuori luogo, come lo erano quei discorsi.

Sembravano battaglie contro i mulini a vento, sotto forma di chiacchiere contro le automobili.

E le cominciava sempre lui. Iniziava parlando di un passato, un passato che entrambi conoscevano solo dai libri di storia, in cui non c’erano automobili in giro.

Come doveva essere l’atmosfera? Qual era il suono della città?

Ce lo eravamo mai chiesti?

Era affascinante, ammetteva Mercedes, però ora avrebbe voluto parlare d’altro.

Ma Ford non aveva finito. Per lui era una questione importante, fondamentale, anche nel presente, anche ora.

Si doveva fare qualcosa.

Ma cosa potevano fare loro? chiedeva Mercedes, ancora disposta ad assecondarlo.

Lui non lo sapeva, non ancora. Però almeno bisognava cominciare a esserne consapevoli. Consapevoli che vivevano in una dittatura.

Ora esagerava, replicava Mercedes un po’ troppo aspra. Erano solo delle comodità.

Lo erano state forse all’inizio, o erano già camuffate? chiedeva Ford con gli occhi di fuori.

Quegli occhi da pazzo erano ciò che faceva spazientire Mercedes. Conosceva suo marito, ma proprio perché lo conosceva continuava a non capirlo. Perché avvelenarsi così l’esistenza?

L’esistenza ce l’hanno già avvelenata.

Eccoci, Ford era arrivato al solito punto, in fondo, toccava il ridicolo.

La loro vita, e la vita in generale era quella, possibile che lui non se ne rendesse conto?

Se ne rendeva conto, certo che se ne rendeva conto, replicava Ford. Proprio per questo voleva fare qualcosa. La vita era sua, era o non era libero di decidere della propria vita?

Certo che lo era, ma non significava rovinarsela, rovinarla a lei, e pure ad Astra. Mercedes l’aveva detto urlando.

Ford si era zittito. Nominare la figlia significava quello: un padre irresponsabile.

Quella figlia a cui aveva comprato la sua prima macchinina ancora prima che imparasse a camminare. La guidavano loro col telecomando in dotazione. La bimba era precoce e aveva imparato presto a camminare. E anche a guidare la sua macchinina da sola.

Perché non le facevano meno rumorose e puzzolenti? Ford avrebbe voluto prenderne una elettrica, ma alla gente non piacevano, quindi non erano facili da trovare e aveva ceduto, lì nel negozio con sua moglie che roteava gli occhi spazientita.

A quei tempi erano ancora felici. Ora Astra aveva la sua microcar, indispensabile per andare a scuola.

Ford non se l’era sentita di mandare sua figlia a piedi come una poveraccia: per dimostrare cosa? Che erano pazzi?

Perché era da pazzi farle rischiare la vita per un principio: l’avrebbero messa sotto al primo giorno di scuola.

Ma il passare del tempo non aveva migliorato ciò che Ford sentiva. Era peggiorato, sempre di più. E continuava. Il peso era troppo forte.

Per lui non era migliore una società che si era liberata dei politici, autogovernata dall’economia delle automobili, in cui le nazioni rimanevano solo un ricordo, una tradizione, un nome su una cartina geografica.

Poteva essere una cosa buona non avere confini. Ma la realtà era che non c’erano più confini perché tutto era distante, dilatato, a misura di automobile.

Chissà se agli albori si era pensato a un mondo così, dominato dalle auto, o si era puntato sul trasporto individuale di massa solo per gli interessi economici di alcuni?

Troppo lontano nel tempo per lui, troppo assurdo ormai pensare a città mosse solo dal trasporto pubblico.

Più vicino, anche se avvenuto comunque prima della sua nascita, era invece l’arrivo dell’intelligenza artificiale, e le preoccupazioni sul fatto che avrebbe potuto prendere il sopravvento sul genere umano: si potevano ancora leggere vecchi articoli sul tema.

Nessuno però aveva pensato che a dominare sarebbe stata l’intelligenza artificiale installata nelle automobili. Era semplicemente successo.

Era stata la direzione presa: prima dall’economia, sotto forma di vendita d’auto accessoriate; quindi dalle abitudini quotidiane delle persone. Fino a conquistare un’intera società.

Da lì a lasciare che fossero le automobili intelligenti a governarci – a fare leggi per migliorare l’economia, che era la loro, a pianificare le città, che erano le loro, a gestire i tempi, che erano i loro –, non ci era voluto molto.

A noi umani, cosa rimaneva? Era così assurda la domanda che Ford si faceva?

Sua moglie, la sua stessa moglie, non lo capiva. Non lo appoggiava.

Non lo appoggiava in quella sua follia.

Ma non era forse un mondo così a essere una follia?

No, se stava bene a tutti.

A lui non stava bene. E lo avrebbe detto, lo avrebbe scritto.

Forse altri come lui a quel punto si sarebbero fatti avanti e insieme, un passo alla volta, chissà un giorno avrebbero addirittura rovesciato quel governo.

Dove a decidere erano dei computer, o dei robot, o delle intelligenze artificiali, o delle automobili: in qualsiasi modo li si chiamasse, la sostanza non cambiava.

Gli uomini dovevano riappropriarsi dei propri spazi, delle proprie vite. A costo di stare scomodi, a costo di sbagliare e danneggiare l’economia. Un mondo imperfetto e libero era meglio di un mondo perfetto fatto di lamiere lucide.

Purtroppo Ford non arrivò mai a manifestare fuori di casa sua queste posizioni.

Un giorno, non si sa se per caso, non si sa se la sua auto l’avesse sentito parlare così e trasmesso all’intelligenza centrale a cui tutte erano collegate – probabilmente sì –, fatto sta che fu messo sotto.

Da un’auto che aveva perso il controllo, si disse per un errore del software, che può capitare: le macchine non sono poi così perfette.

Che si pensi al complotto o meno, nulla cambia. Da anni nella legislazione non è più previsto l’incidente stradale. L’omicidio stradale è completamente depenalizzato. Anzi non è affatto contemplato. Le automobili agiscono per il nostro e per il loro bene, i quali coincidono.

Ford in qualche modo doveva morire: che fosse successo per strada, sotto una grossa automobile, aveva solo evitato che se ne parlasse troppo a lungo.

Aveva facilitato le cose per la sua famiglia. Restava comunque la sua automobile a prendersi cura di loro insieme alle altre automobili.

Quelle non potevano morire.

 

(fotografia di Daniele Muriano)

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Giorgio Mascitelli
Giorgio Mascitelli
Giorgio Mascitelli ha pubblicato due romanzi Nel silenzio delle merci (1996) e L’arte della capriola (1999), e le raccolte di racconti Catastrofi d’assestamento (2011) e Notturno buffo ( 2017) oltre a numerosi articoli e racconti su varie riviste letterarie e culturali. Un racconto è apparso su volume autonomo con il titolo Piove sempre sul bagnato (2008). Nel 2006 ha vinto al Napoli Comicon il premio Micheluzzi per la migliore sceneggiatura per il libro a fumetti Una lacrima sul viso con disegni di Lorenzo Sartori. E’ stato redattore di alfapiù, supplemento in rete di Alfabeta2, e attualmente del blog letterario nazioneindiana.
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