➨ AzioneAtzeni – Discanto Primo: Laura Pariani
– Itzoccor Gunale. Benvenuto a Caglié – saluta Don Ximene in tono un po’ isterico mentre muove nell’aria le dita ossute, rami di mandorli invernali, stridenti coll’enorme corpo viceregio, disegnando piccole forche e nodi scorsoi per intimorire il prigioniero.
– La volpe… – dice Don Ximene in tono irridente. – Pure sei caduto nella rete…
da Apologo del giudice bandito di Sergio Atzeni
Congetture sopra Itzoccor
di
Laura Pariani
Nel medioevo ti chiami Itzoccor Gunale: condannato come bandito e gettato in fondo a un pozzo a Cagliari, mentre nella piana circostante infuriano le locuste. Il viceré Don Ximene, da qualche giorno indisposto, se ne sta sdraiato su un lettone a cui è stato accostato un tavolo con la scacchiera. Ha saputo che sai giocare a shah come la meglio gioventù di Castiglia e di Navarra; non sembrandogli vero di potere sfidare qualcuno, ti ha fatto portare nella sua stanza. L’enorme corpo viceregio è stato scosso dalle risate quando sei apparso, così piccoletto, un soldo di cacio, e ora te ne stai appollaiato su uno sgabello più grande di te, con le gambe che penzolano nel vuoto. Col gomito poggiato sui cuscini, don Ximene ti invita a una mangiativa di focaccine al latte, ma tu rifiuti. Allora, con tono piuttosto isterico, ti ordina di schierare le pedine. “Sbrigati! Dimostrami quello che vali! Se vinci, sarai salvo. Se perdi…” dice con una risatina, muovendo a vuoto le dita ossute, quasi volesse disegnare nell’aria una piccola forca e un nodo scorsoio. Ma tu non gli badi, tieni gli occhi chiusi, rievochi la prima volta che tuo nonno Arsoco il falco ti mostrò le pedine – elefanti, guerrieri, re, cavalli – ricevute in dono da un mercante arabo. Le riconosci al tatto e le sistemi al loro posto. Aggiustandosi nella sua vestaglia di seta azzurro cangiante, il viceré sorride. “Muovi!” ti incalza. Apri con cavallo di re. “Oh, partita d’impegno!” ridacchia don Ximene buttandosi all’attacco. Sacrifici, riconquiste, tranelli, combinazioni… Magia delle magie: è tua la vittoria nel silenzio costernato dei servi e dei soldati presenti. “Rigettatelo nel pozzo!” urla il viceré con il viso sfigurato dall’ira. Forse si aspetta che tu pianga o che implori clemenza. Ma tu stai zitto.
Il secolo ha cambiato numero e ti chiami Isácu, allevi galli da combattimento nella tua casupola persa nella brughiera lombarda. È qui che arriva un corteo di cavalloni lucenti di sudore sotto le gualdrappe cremisi. Da tre carri con le insegne spagnole in un santiàmen vengono scaricati un tavolo e sedili di cuoio con spalliera, poi due soldati srotolano un tappeto di porpora di modo che l’Infante Cardinale possa smontare dalla sua carrozza senza insudiciare gli scarpini di capretto bianco. Una volta che sua Eccellenza si è accomodato su un alto scranno, si sbottona la giubba con le maniche a sbuffo e si sventaglia lamentandosi dei mosquitos. In un esùssi sul tavolo è stato poggiato un piatto ovale di ceramica bordata d’oro su cui è steso un prosciutto avvolto in mussolina bagnata nell’olio. Il Cardinale Infante ti annuncia di essere venuto da Busto Grande a vedere giocare il tuo gallo. “Facciamo così, zòtico: te juego todo. Il mio gallo Nerone contro il tuo. Se vinci, ti tieni la vita; per contra, diventi mio schiavo se vince la mia bestia…” e nel mentre indica un grosso involto che quattro soldati corrono a calare con cautela dalla carrozza. Tolto il drappo che lo ricopre appare una grande gabbia di ferro, dentro la quale sta il più bel gallo da combattimento che si sia mai visto: enorme, col piumaggio verdenero e l’aria ferocissima. “D’accordo,” dici, “però a morte.” “Está bien. A muerte,” sorride il Cardinale. Con le tue gambette corte corri al pollaio dove sta il tuo campione, Magatèll: di un comune marrone, grosso ma niente a che vedere con le dimensioni del gallo dell’infante Cardinale. Comunque, in fin dei salmi, hai fiducia: sai quant’è bravo il Magatèll e adesso gli spalmi sulle piume cera piccante a mo’ di rinforzo. Ecco, è tutto pronto: ai due galli sono stati montati gli speroni di ferro. Al suono di un corno i due campioni si studiano e poi iniziano la zuffa in un furioso sbattere di piume. Gli Spagnoli che intorno fanno quadrato ci danno dentro con gli incitamenti, ogni volta che la bestia del Cardinale ha la meglio. Ma quando poco a poco diventa chiaro che il Magatèll, anche se più piccolo, non è meno resistente e valoroso, cala poco a poco il silenzio del rispetto. Mezz’ora dura, poi il Nerone non ce ne può e stramazza a terra in una grande insanguinata. Il tuo gallo, seppur ferito e orbato di un occhio, ha vinto. Silenzio costernato. Sua Eccellenza la prende molto male. “Tuviste suerte”, ammette a denti stretti. Poi dalla bocca storta del Cardinale viene un ordine secco: “Tirate todo eso abajo. Ché non resti niente!” Ci vuole poco ai soldati, per radere al suolo la casupola e dare fuoco alla radura. “Non piangi, furfante?” ti sibila in faccia il cardinal Infante. “Non implori clemenza?” Fai segno di no col capo: tu sei della razza dei poerìtt ma gnücch.
Nel 1994 ti chiami Isa Gunapan. “El agua es el mayor tesoro que tenemos y la vamos a defender”” dice il cartello che inalbera il gruppo dei manifestanti. Avete lasciato il villaggio ieri sera, camminato tutta la notte per essere qui all’apertura del cantiere dell’ennesima multinazionale intenzionata a estrarre petrolio in questa quebrada preandina ricca di pitture rupestri. Ogni pozzo petrolifero richiede 640 camion d’acqua, l’equivalente di nove piscine olimpioniche, per tutta la vita del pozzo… “L’acqua non si tocca” scandiscono le donne, e i bambini ripetono la frase, gli occhi fissi sulle jeep lucide da cui sono scesi uomini in giacca e cravatta e poliziotti armati. A cento metri di distanza, con un altoparlante il rappresentante della multinazionale – Mr Traherne, un biondone con la faccia arrossata dal sole – in un castellano condito di inglese spiega i suoi piani sull’investimento di mucha plata che cambierà la sorte di questo deserto dimenticato da dio. E quando l’altoparlante chiede che qualcuno dei manifestanti si faccia avanti, è te che mandano a trattare: hai imparato l’inglese alla scuola dei salesiani. Ti fai avanti esitando. Sbalordisci quando un gigante in occhialoni neri ti perquisisce. Il biondone sembra studiarti, ti invita a sedere a un tavolo da campeggio ingombro di scartoffie; su un angolo lattine di cocacola che tu rifiuti. I tuoi occhi si fissano su un disegno a croce inciso sulla roccia su cui poggi i piedi. “Cos’è?” chiede Mr Traherne che ha seguito il tuo sguardo. “Una pietrografia millenaria”, rispondi, “ce ne sono quasi tremila su queste rocce.” Ti chini a scostare con la mano la sabbia che in parte la ricopre e porti alla luce cinque quadrati disposi a croce, ogni quadrato con 9 nodi. “È un gioco” dici. Visto che hai catturato il suo interesse, inizi a spiegare. “Sui nodi si posizionano, venti pietre bianche (le pecore) e due nere (i puma): le pecore devono entrare almeno in nove nell’ovile (il quadrato più meridionale) dove stanno in agguato i puma. Le pecore possono muoversi un nodo per volta, solo lungo i segmenti orizzontali e verticali. I puma invece, possono spostarsi anche in diagonale e mangiare le pecore saltandole ed andando in un punto retrostante purché libero” concludi, e intanto hai raccolto sassolini e li hai posizionati in modo da iniziare il gioco. “Come nella dama” ride il rappresentante della multinazionale. “Sì, anche se non si parte alla pari” ribatti: è un gioco con sproporzione di pedine a testimonianza delle disuguaglianze della vita. Molti deboli contro pochi potenti. “Vuole provare?” Ti sorprendi che lui accetti. Cominciate. La prima mossa tocca alle tue pecore che, come sacrificio, cominciano a farsi mangiare dai puma. Ogni tanto lanci un’occhiata ai manifestanti – Fernanda, Claudina, Ailin, Yanina, Dagma, il piccolo Nauhel con la maglietta del Boca, il vecchio Ramiro – che a un centinaio di metri si staranno chiedendo cosa diavolo fai. Magia! Le pecore hanno vinto. Mr Traherne non crede ai suoi occhi. Tossicchia, sospira, dice con voce strozzata che la società pagherà un indennizzo per l’uso dell’acqua della quebrada. Fai segno di no col capo. “El agua la vamos a defender, da qui non ci muoviamo” dici, ti volti e cammini verso la tua gente, facendo il segno della vittoria. Il colpo di pistola ti sorprende mentre sei a pochi metri dal tuo gruppo. Ti afflosci, colpita alla schiena. Alla tv diranno che eri una terrorista caduta in un enfrentamiento.
Nel 2025 ti chiami Isca, hai dieci anni, la pelle scura della tua nonna angolana. Nella polvere del cortile condominiale tracci con un bastoncino il disegno di dieci caselle da percorrere saltando, a partire dalla prima che si chiama “terra” fino all’ultima detta “cielo”. Ma ecco che irrompono tre ragazzetti per giocare a calcio. Due tiri e già il pallone rimbalza con fracasso sulla serranda di un garage. Da una finestra del terzo piano si affaccia un vecchio sacramentando che fino alle quattro del pomeriggio vige il silenzio. Mugugnando, i tre escono dal cortile. Isca contempla sconsolata ciò che resta del suo disegno calpestato e pazientemente si mette a rifarlo. Ha quasi finito quando due motorini entrano nel cortile strombazzando. Dall’alto il solito inquilino grida che non se ne può più: “Bastardi! Un giorno di questi vi ammazzo!”. E i due rispondono a insulti, godono a scorticare i nervi del vecchio, poi sgommano via. Cerchi nella polvere le tracce su cui sono passate le gomme dei motorini e sospirando ricominci da capo. Intanto si sentono suonare le quattro e, come a un segnale, i ragazzetti del pallone tornano nel cortile, costringendoti a rifare il disegno più in là, mentre ricominciano i tiri, le urla, i colpi sulle serrande metalliche. Incurante di tutto, ti rimetti a disegnare le tue caselle. Ecco, ce l’hai fatta, parti, a ogni salto le tue dieci treccioline ondeggiano. Avanti su un piede solo, senza perdere l’equilibrio. “Maledetti, vi ammazzo!” strepita il vecchio del terzo piano. I ragazzi sghignazzano, si sentono forti ché ormai sono le quattro passate. Manca solo l’ultimo salto. “Vi faccio tacere io!” strilla il vecchio affacciandosi con un fucile. La detonazione scoppia nel momento preciso in cui raggiungi il cielo. È immenso il silenzio mentre cadi.
* Azione Atzeni- mode d’emploi
di
Gigliola Sulis e Francesco Forlani
‘E scoprirai quello che resta di un uomo, dopo la sua morte, nella memoria e nelle parole altrui’. Sergio Atzeni, Il figlio di Bakunìn
Il 6 settembre del 1995, inghiottito dal mare come l’amato Fleba il Fenicio, Sergio Atzeni perdeva la vita nelle acque dell’isola di Carloforte. Sardo, appena quarantenne, era stato militante comunista, anarchico leader studentesco, impiegato insoddisfatto, sindacalista, pubblicista. Dopo la fuga dall’isola, tra l’Emilia e Torino, divenne correttore di bozze, lettore di manoscritti per case editrici, sontuoso traduttore – un testo su tutti: Texaco di Patrick Chamoiseau. Per tutta la vita fu intellettuale rigoroso, poeta e scrittore immaginifico, autore di romanzi-mondo come Apologo del giudice bandito, Il figlio di Bakunìn, Il quinto passo è l’addio, Passavamo sulla terra leggeri, e di una cascata di racconti tra cui Il demonio è cane bianco, I sogni della città bianca, e Bellas mariposas. Come nel Figlio di Bakunìn, pensando oggi a Sergio, ci chiediamo: che cosa resta di uno scrittore, dopo la sua morte, nella memoria e nelle parole altrui? Per rispondere a questa domanda, abbiamo invitato degli autori legati all’opera di Atzeni a dare nuova vita ai personaggi o ai luoghi o alle atmosfere della sua opera. Interpretando, riscrivendo, stravolgendo creativamente, in totale libertà. Un coro di voci diverse per una raccolta di racconti brevi, una rifrazione e moltiplicazione di frammenti post-atzeniani. Assolutamente vietata l’agiografia, e ‘massima penalità per chi si prende troppo sul serio’, come scriveva Sergio in uno dei suoi ultimi articoli per “L’ Unione Sarda”. Nasce così il gioco del discanto*, da intendere sia come far decantare delle buone pagine in nuove storie sia come costruzione di voci in forma di polifonia medievale.*
Francesco Forlani ‘Nella Sardegna magica in cerca di Sergio Atzeni, “Reportage”, n.10, 2012, ripreso nel 2017 da Minima Moralia Gigliola Sulis, ‘Chi era Sergio Atzeni?’, “Le parole e le cose”, 22 novembre 2012Si può seguire il PODCAST su:
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