Ancora due note sul «Cassetto segreto» di Costanza Quatriglio

Un’immagine da “Il cassetto segreto” di Costanza Quatriglio

di Carola Susani

Prendo il testimone da Daniela Mazzoli che, nell’aprile del 2024, dialoga con Costanza Quatriglio qui su Nazione Indiana, per continuare il discorso su Il cassetto segreto. Già dal dialogo è chiaro come il documentario di Costanza Quatriglio sia un sistema stratificato e complesso.

A raccontare la trama evidente si fa presto: in occasione dello sgombero della casa della sua infanzia, del riordino dei materiali audiovisivi e fotografici, della creazione del Fondo all’Archivio di Stato e della donazione alla Regione Siciliana della biblioteca del padre Giuseppe Quatriglio, scrittore, giornalista del Giornale di Sicilia e straordinario fotografo, Costanza, selezionando dall’incredibile mole dei materiali d’archivio audiovisivi, dagli scatti, dalle lettere, ne racconta la vita ricca e piena, il mondo intimo e vasto che ha attraversato.

Dietro la trama esplicita però si nasconde dell’altro, quest’altro ha a che fare con le dinamiche che abitano la relazione fra una figlia e un padre di cui ha raccolto il testimone, con la forma che prende lo sguardo della figlia adulta su suo padre. Quando la figlia di un intellettuale guarda il padre e testimonia pubblicamente del suo sguardo cambia i termini del gioco; la figlia è stata guardata, è stata fotografata, registrata, contemplata, è l’oggetto su cui si posa l’occhio, l’oggetto del pensiero affettuoso proiettato sul futuro. Ora restituisce lo sguardo. Se raccontasse suo padre come un monumento e stop, tutto tornerebbe a posto. L’aderenza pigra a uno stereotipo fa sì che ci si aspetti uno sguardo semplicemente e tardivamente innamorato, l’encomio, l’agiografia, il grande ritratto fotografato dal basso, e la dimenticanza di sé. È un abbaglio.

Come un romanzo d’altri tempi, il documentario si muove all’interno di una cornice scritta, dei capitoli di un indice parlante: un cartello, che imita un frontespizio settecentesco, ci dice il punto della vicenda in cui ci troviamo, ci indica come guardare. E qui, la prima sorpresa, si parte dall’Epilogo. Già da questa scelta è chiaro che messo a tema, e non solo raccontato, è il tempo.

Al centro dell’epilogo è la scoperta del cassetto segreto, pieno di lettere, di tracce del passato. Il racconto si serve di uno dei materiali più importanti del film, le riprese che Costanza fa nel 2010, il padre già anziano (Giuseppe Quatriglio è nato nel 1922). Qui vediamo Costanza più giovane che lo interroga con un piglio ironico e indagatore, persino invadente, un’invadenza dalla quale il padre fa debolmente la mossa di difendersi e che in fin dei conti accoglie con benevolenza e tremore. Ma qui c’è già da subito la posizione di una relazione complessa, una specie di: ecco, facciamo i conti, fra me e te. Preziosissima nella ripresa la presenza della madre, quel cassetto segreto, dice la madre, che lei non ha mai aperto per affetto e riserbo, Costanza ha il diritto di aprirlo: è una legittimazione. L’atmosfera è scherzosa, affettuosa, la casa è quella che vedremo poi messa a soqquadro, qui è ancora un ambiente quotidiano, domestico. Dall’Epilogo, passiamo al V Tomo. Entriamo dal giardino, nel giardino troviamo la magnolia e i giardinieri che fanno pulizia; è il giardino di una casa, soglia non hortus clausus. Il giardino, come la casa, capiamo fin da subito, è coprotagonista di questa storia, qualcosa sta per cambiarli per sempre. La casa la vediamo cambiare da subito, del giardino non sappiamo ancora come cambierà, non abbiamo idea che lì si nasconda la chiave della storia.

Via via risalendo dal V Tomo fino al Prologo, seguiamo alcune linee del racconto. Nel presente narrativo, i bibliotecari e gli archivisti, smontano, riordinano, archiviano producendo trasformazioni nello spazio della casa che ne rompono l’ovvietà porgendo l’occasione al racconto. Giuseppe Quatriglio, grande viaggiatore del dopoguerra, viene narrato attraverso le sue fotografie, foto dalla luce straordinaria, visi, corpi, monumentali e umani di adulti e bambini, Berlino nel primo dopoguerra, angoli di strada, cinema, teatri, veicoli. Guardare oggi quel dopoguerra, nelle foto di Quatriglio così luminoso, fa l’effetto della contemplazione dell’immagine del metallo appena uscito di fabbrica quando il metallo si è corroso e arrugginito. Costringe alla riflessione sul presente. È un tempo lunghissimo che si sviluppa prima della venuta al mondo di Costanza (che nasce nel 1973). E poi Il Giornale di Sicilia, il periodo di permanenza negli Stati Uniti, la vita privata perfettamente calata nelle dinamiche sociali del tempo, l’incontro con Enrico Fermi, le numerose rutilanti esperienze di Giuseppe Quatriglio, che raccontano con dovizia, con lucidità, i decenni prima della nascita di Costanza, sono il cuore della narrazione. Qui, ricapitolando gli anni del padre, da quello speciale balcone che sono i suoi materiali, la regista restituisce allo sguardo un ritratto sfaccettato di una vita piena e contemporaneamente se ne riappropria. Elemento essenziale, guida per chi guarda e ascolta è la voce fuoricampo. Costanza è anche in campo, insieme ad archivisti, bibliotecari, collaboratori, gira per le stanze, elabora scelte, contempla. Ma la voce è un indicatore, non è una voce fuoricampo consueta, è la voce sporca, ironica, scherzosa addirittura, di chi ci racconta qualcosa di suo, si fa professionale quando la vita del padre entra in contatto con la vita ufficiale del mondo ma resta sorniona, diventa scherzosa raccontando delle fidanzate di lui prima della madre, mentre scorrono le foto di bellissime ragazze che con i loro abiti e le loro posture raccontano un’epoca, si fa vicina e implicata, quando descrive la storia d’amore fra il padre e la prima moglie americana.

Al momento del Prologo si svela che cosa davvero racconta Il cassetto segreto, il Prologo è dedicato a Costanza. Costanza bambina, ritratta dagli amici del padre, ritratti nei quali fatica a ritrovarsi reale, fotografata dal padre, registrata, guardata. Le due voci, quella della bambina e quella dell’adulta le sentiamo per un momento accostate. Una bambina abita un mondo in cui c’è Guttuso, c’è Sciascia, sono amici del padre. Sembrerebbe una particolare ma normale condizione dell’infanzia, appena più documentata di un’altra, ma qui la documentazione cambia di segno, ha a che fare con l’arte, che ruba, il viso o la corsa di una bambina, per dare agli altri, a chi guarda e guarderà. Il prologo della storia è in quest’infanzia documentata e, per chi ne è il documento, fuori fuoco. Si parte da qui. Qui nella consapevolezza, che un elemento se non di furto, di appropriazione indebita, è alla radice dello sguardo, che Costanza fonda la nascita del proprio sguardo, uno sguardo curiosissimo e implacabile in cui l’amore e la violenza sono strettamente legati ma che possiamo guardare come fossero distinti. Tutto il contrario di una vestale, la protagonista e regista della storia, rendendo omaggio al padre, facendone per noi il ritratto fascinoso e potente, contemporaneamente lo archivia, fa spazio. E si ritorna al giardino. Che cosa deve succedere ancora al giardino ormai potato, ripulito? Scopriamo che il padre in previsione della sua morte aveva dato indicazione di seppellire l’urna con le sue ceneri fra le radici della magnolia. Dal 2017 l’urna è là. Questa è la conclusione dello sgombero, l’urna sarà tolta, troverà posto fra i cari al cimitero, Costanza con la sua espressione più scherzosa e la sua voce quanto mai sorniona danno al padre la notizia. La figlia che ha aperto il cassetto segreto, si fa carico anche di sloggiare quanto di ingombro è rimasto del padre, per aprire una fase nuova, una maturità allegra e feroce. Lei è la figlia, lei è legittimata a farlo. Nel segno di un battibeccare affettuoso fra la figlia e suo padre, Il cassetto segreto racconta di uno sguardo ricevuto, originario, creativo e sempre fuori fuoco, della ricostruzione e riconquista della storia del padre, del riconoscimento della sua forza e bellezza e spessore di fronte al mondo, ma anche, infine, della creazione di uno spazio nuovo che non è più del padre; lo fa con una ricchezza di materiali, con un eccesso, senza perfezione, senza neanche pretenderla, ma con una vitalità feroce che è il nucleo delle opere migliori di Costanza Quatriglio.

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davide orecchio
davide orecchio
Vivo e lavoro a Roma. Libri: Lettere a una fanciulla che non risponde (romanzo, Bompiani, 2024), Qualcosa sulla terra (racconto, Industria&Letteratura, 2022), Storia aperta (romanzo, Bompiani, 2021), L'isola di Kalief (con Mara Cerri, Orecchio Acerbo 2021), Il regno dei fossili (romanzo, il Saggiatore 2019), Mio padre la rivoluzione (racconti, minimum fax 2017. Premio Campiello-Selezione giuria dei Letterati 2018), Stati di grazia (romanzo, il Saggiatore 2014), Città distrutte. Sei biografie infedeli (racconti, Gaffi 2012. Nuova edizione: il Saggiatore 2018. Premio SuperMondello e Mondello Opera Italiana 2012).   Testi inviati per la pubblicazione su Nazione Indiana: scrivetemi a d.orecchio.nazioneindiana@gmail.com. Non sono un editor e svolgo qui un'attività, per così dire, di "volontariato culturale". Provo a leggere tutto il materiale che mi arriva, ma deve essere inedito, salvo eccezioni motivate. I testi che mi piacciono li pubblico, avvisando in anticipo l'autore. Riguardo ai testi che non pubblico: non sono in grado di rispondere per mail, mi dispiace. Mi raccomando, non offendetevi. Il mio giudizio, positivo o negativo che sia, è strettamente personale e non professionale.
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