Estratti da “Kant-Swedenborg”
di Fabrizio Bondi
[Questi testi fanno parte di un progetto in fieri intitolato Kant-Swedenborg.]
due macchine intime inventate da Kant
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- MACCHINA DA LETTO
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si spogliava
senza l’aiuto del suo domestico, ma con
senso dell’ordine
da antico romano.
fatto questo, si stendeva
su un materasso e si avvolgeva
in una coperta imbottita
quando il freddo era troppo aspro si proteggeva
con un piumino
e la parte che gli copriva le spalle non era imbottita
di piume, ma guarnita,
o piuttosto ovattata,
con strati fitti
di lana.
una lunga consuetudine gli aveva
insegnato una maniera
molto abile di
annidarsi
e arrotolarsi
nelle coperte.
prima di tutto
si stendeva sul bordo del letto
poi
con un movimento agile si slanciava di sbieco nella sua tana
poi
tirava un angolo della coperta sotto la sua spalla
sinistra e,
facendola passare sotto la sua schiena,
la portava sotto la sua spalla destra;
infine,
con un particolare tour d’adresse
operava sull’altro angolo
allo stesso modo;
e riusciva, finalmente, ad avvolgere la coperta attorno a sé.
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- MACCHINA DA CALZE
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da nozioni che Kant aveva sull’Economia Animale:
paura di ostruire la Circolazione del Sangue, ergo
non portava mai giarrettiere; così, poiché gli riusciva
difficile tenere le calze tirate senza il loro aiuto…
in un minuscolo
taschino
un po’ più piccolo di un taschino
da orologio,
ma
disposto più o meno come un taschino
da orologio,
su ciascuna coscia era collocata
una piccola scatola,
simile all’astuccio
di un orologio,
ma più piccola; in questa scatola
era collocata una molla
da orologio,
a spirale,
e attorno a questa spirale
un elastico,
e per regolarne la tensione
vi era un apposito congegno.
alle estremità dell’elastico
erano attaccati dei ganci,
i quali ganci
passavano attraverso una piccola apertura dei taschini,
e così, scendendo sulla parte esterna
e interna delle cosce,
si infilavano in due
occhielli, fissati nella parte interna
ed esterna di ciascuna
calza.
(il congegno, come il sistema tolemaico
era soggetto a inceppi occasionali).
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METODO GEOMETRICO
L’anima dell’uomo [per certi dotti] ha sede nel cervello e un luogo impercettibile di questo è la sua dimora. Ivi essa si sente come il ragno nel centro della sua tela.
Immanuel Kant, I sogni di un visionario spiegati coi sogni della metafisica
- Assioma: lo strano hobby di Spinoza.Tutti hanno un hobby e non si vede perché i filosofi non debbano anch’essi averne uno, o magari più d’uno. Baruch Spinoza, com’è noto, era un molatore di lenti e un filosofo. Si potrebbe dire allora che Spinoza era un filosofo che per guadagnarsi il pane molava lenti, poiché i carmina non ne forniscono, ma nemmeno la speculazione filosofica (a meno di essere, oggi come allora, al soldo di qualcuno). Oppure, con più malizia, si potrebbe affermare che Spinoza fosse un molatore di lenti con l’hobby della filosofia. Quest’ultima accezione non solo è irrispettosa e evidentemente inaccettabile, ma anche confutata dal fatto che Spinoza coltivava in effetti un passatempo che lo divertiva, quando non era impegnato nel suo lavoro (retribuito) di molatore, o di filosofo (non retribuito). Questo passatempo consisteva nel guardare combattere i ragni.
- Spiegazione. Ora, l’assioma non è pacifico, poiché i ragni di loro natura non sono bestie gregarie o sociali; se ne stanno per conto loro e raramente collaborano, putacaso, per la costruzione di ragnatele particolarmente complesse ed efficaci. Dunque, si presume abbiano assai poco frequenti occasioni per acerrimi scontri. Non era dunque nello stato di natura che Spinoza trovava soddisfazione alla sua voluttà per così dire voyeuristica. Dobbiamo pertanto affermare – potrei cercarne traccia nelle Lettere, ma forse non c’è bisogno – che egli catturasse un paio di esemplari o più per poi infilarli in un vaso di vetro adeguatamente incoperchiato, dove gli ottozampe fossero insieme costretti in poco spazio e ben visibili. Che si mettessero ad azzuffarsi non stupisce, visto che come esperienza insegna mettendo più animali (dall’uomo in su, o in giù) entro uno spazio angusto, a lungo andare questi non solo si accapigliano, ma finiscono addirittura per mangiarsi e più spesso uccidersi l’un l’altro. Si deve dunque infine sostenere che il combattimento dei ragni come organizzato da Spinoza dovesse avere esito mortale per almeno uno o entrambi se due, o per un numero di ragni x se più di due.
- Proposizioni. Prima serie. È accertato che Spinoza trovasse divertente la lotta fra i ragni. – Bene, personalmente provo ribrezzo verso i ragni e proverei un ribrezzo maggiore vedendoli combattere e magari farsi a pezzi (non parliamo poi del mangiarsi a vicenda). Da ciò peraltro discende la questione, che mi rifiuto di accertare, sul come combattano i ragni. Tramite i loro rispettivi organi secretori di veleno, come vien fatto di pensare alla prima: ma siti dove? Gli ingrandimenti delle foto zoologiche ci mostrano delle grosse zanne pelose, ottemplici occhi neri in apparenza privi di vita, inorridisco a riferirlo e dunque non mi dilungo su questa strada, né consulto eventuali appositi testi o altre autorità. In ogni caso, se il piacere di Spinoza è un fatto, lo è anche la mia convinzione che costringere gli animali a lottare per il nostro divertimento sia una vigliacca mascalzonata.
- Proposizioni. Seconda serie. Altri osservatori hanno trovato sgradevole questo abito spinoziano, indice di scarsa pietà verso i viventi e di sadismo, caratteri che poco si conciliano con l’immagine diffusa di un angelico filosofo della felicità, della luce, del Dio identificato con la Natura. Per esempio la scrittrice Elsa Morante, che aveva viceversa una spiccata simpatia per tutti gli esseri animali, a cominciare dai molti suoi gatti, e che amava e ammirava del pari Spinoza, sentiva però il suo sentimento nei confronti di quest’ultimo venir sminuito, in una certa misura, dal vizio o passatempo aracnobellico, mi si passi il neologismo, di quel sapiente. Insomma le dava fastidio il fatto che il suo filosofo preferito non volesse bene alle bestie quanto lei. La scrittura di Morante, peraltro, soprattutto quella della Storia, venne definita da Pier Paolo Pasolini «vischiosa» (carattere che peraltro, secondo lo scrittore, era proprio ciò che ne garantiva la magnetica leggibilità, permettendo al romanzo di farsi perdonare altri per lui assai gravi difetti). Forte è la tentazione di interpretare quell’aggettivo come indice di una qualche ideale analogia della Morante con i ragni, che dalla loro bava appunto vischiosa traggono il materiale da costruzione delle loro tele.
- Proposizioni. Terza serie. Introduciamo ora la figura dell’eccentrico filosofo e teologo tedesco Johann Georg Hamann (Königsberg, 27 agosto 1730- Münster 21 giugno 1788). Hamann era un anti-illuminista e acerrimo nemico delle novità venute dalla Francia, per non dire dall’Inghilterra; un apologista cristiano che basava tutta la sua dottrina sul sentimento e nulla sulla ragione. I suoi pamphlet e articoli in difesa della fede erano sgorghi di inchiostro, oscure pergamene istoriate, sillabe geroglifiche di una sibilla sempre in preda al pathos, a un’ispirazione aggrondata, furiosa e acre. Figuratevi che, nel secolo scorso, i due intellettuali più famosi che scrissero su di lui furono Isahia Berlin e Pierre Klossowski! (il solo accostare questi due nomi fa già un effetto perturbante). Hamann fu legato, in uno stranissimo rapporto di amore-odio, al ben più celebre Immanuel Kant, che da parte sua protesse e beneficò l’amico più giovane per tutta la vita, a dispetto delle maledizioni che l’altro non mancava di scagliare contro di lui e la sua opera: soprattutto contro le sue ‘critiche’. Tanto che, a volte, il mite Kant tentava di controbattere. Ad esempio, lui e i suoi seguaci non perdevano occasione per tacciare i saggi di Hamann dei difetti per loro imperdonabili di frammentismo, istrionismo e oscurità. – Hamann rispondeva dicendo che non tutti potevano essere «ragni costruttori di sistemi».
- Proposizioni. Quarta serie (Metalessi). Il Mago del Nord – tale il soprannome che qualcuno aveva affibbiato a Hamann, e che egli aveva accettato volentieri, tanto da firmarsi lui stesso in tal modo – si dimostrò in effetti nella sua scrittura, tra le altre cose, maniacalmente appassionato di giochi di parole. Utilizzò dunque spesso e con gusto l’assonanza paronomastica tra spinne (‘ragno’ in tedesco) e Spinoza. La similitudine implicita che dà senso alla battuta è la seguente: come la rete che il ragno tesse, il sistema filosofico chiuso è geometrico, simmetrico, aereo ma è anche una trappola, una costruzione che ha lo scopo di imprigionare. In olandese, idioma del resto di ceppo germanico, il ragno si dice addirittura spin!
- Proposizioni. Quinta serie (Allegoria). Un immaginario Difensore d’Ufficio di Baruch Spinoza, posto che questi ne abbia bisogno alcuno, il che non è affatto certo, potrebbe arguire che ciò che noi vediamo quale hobby puerilmente sadico fosse in realtà – ebbene sí – una forma di meditazione. Non è difficile ammettere, in effetti, né immaginare, che qualche volta il filosofo della Serenità, dell’Impassibilità e della Razionalità abbia segretamente combattuto con se stesso, ad esempio a proposito della ‘tenuta’ o effettiva qualità filosofica del proprio Sistema; ma anche, perché no? in ragione di quelle che noi oggi chiameremmo questioni personali. (Teniamo qui volutamente sullo sfondo l’evento fatidico – che il lettore pertanto non deve dimenticare – della scomunica, il cherem, l’anatema con conseguente espulsione dalla comunità ebraica). In generale, il suo riso di fronte all’accapigliarsi degli spinne, degli spin era un riso amaro, certo, ma in fondo liberatorio, come di fronte all’allegoria delle proprie lotte interiori, che egli vedeva così ridotte a una dimensione rimpicciolita, modesta e pertanto meno dolorosa. Per fare un esempio banale, proprio lo stesso seminale conflitto tra Passioni e Ragione poteva essere stato l’oggetto di quella sua proiezione simbolica. Prendiamo ora, invece, una generica ma sufficientemente verosimile Persona di Buon Senso. Costei potrebbe far notare che anche Spinoza era un Uomo Come Gli Altri, e dunque non privo di quelle piccole manie, di quelle spesso vergognose inclinazioni o sporchicci tic che rendono in fondo umano l’uomo, umanizzano appunto anche le figure più catafratte nel loro Ideale dell’Io (o Io ideale, non ho mai capito la differenza, mai che ci sia un lacaniano nelle vicinanze, quando serve). Insomma quello, il buonsenso-dotato, deidealizzerebbe in tal modo Spinoza. Ma se invece si trattasse, al contrario (potremmo osservare noi) più che di un’umanizzazione di una dis-umanizzazione, addirittura una mostrificazione anzi della figura di Spinoza? Inoltre (avendo tirato in ballo Lacan, non si scappa) possiamo forse escludere che, nel piacere provato da Baruch a veder lottare i più volte menzionati aracnidi, non giaccia riposto un eventuale significato psicanalitico? Significato, peraltro, molto difficile da accertare, se non vogliamo definirlo operazione propriamente vana.
- Variazioni (sempre in chiave allegorica). Nella prima variazione Spinoza applica ai suoi insetti belligeranti sottovetro un’altra e diversa allegoria, nella quale essi sono emblema della sua lotta contro altri ragni (Hamann dixit) suoi colleghi, cioè con altri Costruttori di Sistemi: con gli altri filosofi insomma, ortodossi o meno che vogliamo immaginarli. Lotta che egli di certo trovava, con elegante (auto)ironia, risibile. Nella seconda variazione Spinoza vede negli scontri minuscoli dei ragni le sciagurate imprese belliche che l’Umanità da sempre ingaggia contro sé stessa, e forse ne ride (altrimenti: sorride) dall’alto della sua raggiunta impassibiltà. Nella terza variazione si elucubra che Spinoza rida di un preciso, singolo episodio, per lui pregno di significato, che stravede icasticamente dipinto da quella furia di zanne e di zampe: «…le quali, ferite o rotte, miseramente scivolano, non facendo presa sulle pareti di vetro, tra versamenti di pallido sangue…», e via dipingendo: lasciamo perdere.Nella quarta variazione, squadrata e simmetrica, la lotta fra i ragni simboleggia la grande eterna lotta degli uomini contro le loro stesse passioni, della quale Egli, Spinoza Ille, si fa beffe, sempre guardando dall’alto quasi fosse uno degli dèi di Epicuro o di Lucrezio, che villeggiano in eterno imperturbati negli Intermundia. Comunque, come uno che le ‘proprie’ passioni ha ormai dominate e sconfitte. In questa quinta variazione, mancando drammaticamente di notizie certe, si ricorre alla biografia fantastica; si immagina cioè che quel gioco crudele fosse qualcosa che Spinoza aveva giocato da bambino, in casa proprio o nei cortili, nelle strade, lungo i canali di Amsterdam (ergo, nella maturità, possibile sintomo di regressione: cfr. § 7). In questa sesta variazione, sviluppando lo spunto della precedente, si immagina che in quello stesso gioco infantile insieme a Spinoza fossero coinvolti anche altri bambini, come del resto spesso accade – ergo, con ennesima illazione biografica: a quel passato spensierato Benedetto ripensa con nostalgia; il suo riso è pertanto frutto di un ricordo parzialmente involontario che risale a invaderne i muscoli facciali; lo si presume di breve durata, sùbito rendendosi egli di nuovo conto della propria solitudine fondamentale. In questa settima variazione si immagina che, forse, i succitati bambini o monelli parteggiavano per l’uno o per l’altro ragno, che avranno magari marcato sul dorso con diversi colori di gesso o pittura, dividendoli e dividendosi dunque in schiere, come avrebbero poi fatto da uomini l’un contro l’altro armati, nelle guerre, civili e non – ergo: moralità varie, da parte del filosofo osservatore e da parte nostra – ché nemmeno noi, i vivi di oggi, ci siamo ancora risvegliati dall’incubo della Storia. Nell’ottava variazione c’è il Ragno.
DIMOSTRARE: è Spinoza? è Kant? è Hamann? è Lacan? è Morante? è Pasolini? è la Persona di Buon Senso?
– Sono io?
DIMOSTRARE DIMOSTRARE DIMOSTRARE DIMOSTRARE DIMOSTRARE DIMOSTRARE DIMOSTRARE DIMOSTRARE DIMOSTRARE
