La doppia vita di «Ancestrale» di Goliarda Sapienza

di Antonella Cilento
C’è sempre un certo fascino e uno scandalo postumo nel constatare la sfortuna in vita degli autori e delle autrici. Facile indignarsi per il mancato riconoscimento di chi non è nostro contemporaneo, come se lettrici e lettori godessero di un’intelligenza superiore a giochi fatti: ma quando la sfortuna in vita di un certo libro o dell’intera opera di chi scrive ci è contemporanea, allora c’è il tempo di accorgersi dei meccanismi sottili, o plateali, che causano quell’invisibilità. A chi oggi legge, consacrato dall’editoria e da altri media, il lavoro poderoso di Goliarda Sapienza, certo non può sembrar vero – o importante – che per ciascun suo libro e per ogni giorno della sua vita qualcosa e qualcuno sia venuto meno.
Ortese e Sapienza: autrici da difendere oltre il tempo
Penso a quando, ormai una quindicina d’anni fa, mi trovai a organizzare un grande evento che includeva una mostra di carte inedite di Anna Maria Ortese e mi sentii dire da persone che l’avevano conosciuta che era una donna discutibile, una profittatrice: occorreva ancora difendere l’autorevolezza assoluta della scrittura di Ortese, dalla quale in tante e tanti discendiamo, quasi vent’anni dopo la sua morte e a distanza di oltre sessanta dall’uscita, ai tempi scandalosa, de Il mare non bagna Napoli.
Così mi pare accada anche per Goliarda Sapienza, che le nuove generazioni hanno l’opportunità di leggere in maniera decisamente meno clandestina di come si poteva agli inizi del millennio e per di più tradotta in tutto il mondo e in opere visive ispirate ai suoi romanzi, dalla serie tv Sky dedicata a L’arte della gioia, romanzo postumo e capolavoro di Sapienza, per la regia di Valeria Golino, al film di Mario Martone, Fuori, dove Goliarda è interpretata da Valeria Golino e che muove i suoi passi da L’università di Rebibbia, romanzo uscito nel 1983, racconto dell’esperienza carceraria che coinvolse l’autrice.
In questi giorni, sull’onda di un successo rinnovato di cui ripercorriamo insieme le tappe fra un istante, esce anche Ancestrale, opera in versi di Sapienza, per i tipi di Einaudi. Ma come spesso accade alle scrittrici, e a volte agli scrittori (ma alle donne segnatamente), la storia dell’edizione è multipla, perché la scoperta di Goliarda poeta era già accaduta, con la prima edizione di Ancestrale, tutt’ora in commercio, uscita nel 2013 per i tipi de La Vita Felice.
Dopo la carestia editoriale vissuta da Sapienza nel corso della sua vita, l’estromissione, subita e poi volontaria, dall’ambiente intellettuale cui pure apparteneva, dopo le fatiche di Sisifo che il marito, Angelo Pellegrino, ha compiuto perché i suoi libri venissero alla luce, ecco che una faglia si è aperta e ne sgorgano, dunque, edizioni plurime. Per onor del vero e risistemazione storica anche del considerevole apparato critico che ora accompagna l’opera di Sapienza, val la pena ripercorrere, perciò, alcune tappe.
Oblio editoriale e riscatto postumo
A volte, e sempre più, accanto all’opera delle donne sono necessarie altre donne: lo racconta proprio Angelo Pellegrino riguardo a L’arte della gioia, che dopo infiniti rifiuti, rimase a giacere nella cassa dei manoscritti di Goliarda nella casa dove i coniugi avevano vissuto, fino a che il marito non pubblicò il libro una prima volta a sue spese. Un libro destinato a non muoversi dagli scaffali, tirato in poche copie, che però, arrivato tramite due agenti, in mani francesi e tedesche, fu riconosciuto da traduttrici e editrici come il capolavoro (parola che oggi si spende un po’ troppo, abitiamo nell’outlet dei capolavori, ma per L’arte della gioia è parola ben spesa) che è.
Quando Goliarda muore nel 1996 a 72 anni (Ortese morirà nel 1998 a 84, salvata dalle tempeste editoriali da Adelphi) neanche i suoi rari libri editi sono reperibili: scompare dimenticata, accompagnata da una ormai lontanissima eco dello scandalo del carcere e della lotta compiuta per le carcerate. Finito di scrivere nel 1976, nel 1998 esce per Stampa Alternativa L’arte della gioia, che lo ripropone nel 2006 con un’edizione corredata di album fotografico, mentre il romanzo si avvia alla fortuna estera che precede significativamente quella italiana. Nel 2008 esce da Einaudi e nel 2009 da Mondadori. Nel 1967 una sua prima prova, Lettera aperta, era uscita per Garzanti e aveva perfino concorso allo Strega: fra le fine degli anni Novanta e il 2017 il libro è poi uscito da Sellerio, da Utet e per ultimo da Einaudi. L’università di Rebibbia uscito da Rizzoli nel 1983 è rimasto introvabile fino al 2006 e adesso è stampato da Einaudi. E così per gli altri suoi libri.
La cassapanca della memoria: la poesia ritrovata
Ma Ancestrale? Ancestrale nemmeno esisteva.
Anche per Ancestrale una donna è stata strategica: Anna Toscano, poeta, fotografa, accademica, curatrice di antologie di poete, scavò con Pellegrino nella cassapanca di Goliarda. Sembrava ne fosse uscito già tutto, al volgere del primo decennio del secolo, e invece ecco le poesie: un libro intero ne saltava fuori, un libro durato una vita. La passione per Goliarda avrebbe avvolto Anna Toscano per oltre un decennio, materializzandosi in saggi, studi, letture pubbliche e in un libro prezioso, Il calendario non mi segue, uscito da Electa, collana Oilà, dove nei panni di Modesta, la protagonista de L’arte della gioia, l’autrice racconta Goliarda, capovolgendo il canone della scrittrice che genera il personaggio: adesso, il personaggio poteva dire chi l’aveva ideata.
Come Anna Toscano ha scritto, l’apertura di questa “cassapanca della memoria” da cui saltava fuori un’intera vita di versi – sicché è certo che Goliarda fu poeta prima che romanziera (il destino della doppia scrittura di alcune, per esempio della biscrittora Maria Attanasio) – si coniugava con la consapevolezza e il dispiacere che, ormai, da quella cassapanca non sarebbe potuto uscire più nulla: quando si ama un’autrice, o un autore, si spera sempre che nuovi inediti ci raggiungano, e invece quella era davvero l’ultima Thule.
Il destino di Ancestrale e lo stigma del disimpegno
Come mai questi versi erano rimasti nell’ombra?
Avevano subito il destino politico de Il Gattopardo (ricordiamo che nella sua prima vita di attrice Goliarda Sapienza era stata fra le interpreti di uno dei gioielli di Visconti, Senso): uno stigma di disimpegno politico. Come poteva la figlia di una grande sindacalista e femminista scrivere una poesia così borghese? A dirlo era stato Mario Alicata, deus ex machina della politica culturale, al regista Citto Maselli, che gli aveva dato da leggere i versi. La grande sindacalista madre di Goliarda era Maria Giudice (Maria Rosa Cutrufelli le ha dedicato un libro notevole edito da Neri Pozza): ma questo in che modo giustificava il marchio del disimpegno? L’arte non è sempre anche un gesto politico, forse il più libero e radicale dei gesti politici, come la vita libera e rischiosa di Goliarda dimostrava?
Anche Cesare Garboli aveva rimandato o rinunciato ad esporsi. (Chi non si espone per noi nel mondo letterario, pur conoscendo il valore che sminuisce, a quale girone dell’inferno è destinato? Ignavi, canto terzo?). Pare che le poesie piacessero, sempre tramite Maselli, anche ad Anna Banti e Roberto Longhi.
Insomma, dalla prefazione, quasi identica, delle due edizioni di Ancestrale firmata da Angelo Pellegrino, è chiaro che dopo aver bussato invano a varie porte, vittima di incomprensione o sottovalutazione, Goliarda rimise i versi nella cassapanca. Scrive Pellegrino che esisteva una “Bloomsbury stalinista fra Piazza del Popolo e via Veneto”, un luogo d’esclusione, come ancor oggi ne esistono (nuovi, diversi, con altre geografie e nuovi protagonisti), luoghi in cui sono affondati altri destini (fra le donne non emerse e non salvate penso a Marosia Castaldi, di cui adesso finalmente si riparla in Lezioni dalle rovine di Davide Bregola, edito da Avagliano).
La voce poetica di Goliarda: radici, famiglia e Sicilia
Fatto sta che, come fa notare Anna Toscano, mettendo nella postfazione all’edizione del 2013 per prima le mani con strumenti critici e sensibilità poetica nell’opera nascosta da mezzo secolo, in Ancestrale c’è intera la ragione poetica, l’idea di letteratura di Goliarda e ci sono le sue radici: proprio Maria Giudice, sua madre, proprio la Sicilia dov’era stata bambina, proprio suo padre, Peppino Sapienza, proprio il senso e il ritmo della parola che l’avrebbe definita anche nella narrazione. Un romanzo in versi prima del romanzo in prosa, il contrario dell’Ariosto di cui negli anni Novanta sarebbero saltate fuori le pagine in prosa precedenti l’Orlando Furioso. Un destino simile ad altre grandi escluse, come la neozelandese Janet Frame.
“Un manuale di scrittura condensato in undici versi, otto infiniti e dieci sostantivi”, scrive ancora Anna Toscano, citando una delle poesie:
Separare congiungere
spargere all’aria
racchiudere nel pugno
trattenere
fra le labbra il sapore
dividere
i secondi dai minuti
discernere nel cadere
della sera
questa sera da ieri
da domani.
Un canone parallelo: affinità con Cavalli, Bertolucci e Ortese
Dunque, Ancestrale pone sin dall’uscita il problema della collocazione di Sapienza nella tradizione poetica italiana: all’apparenza fuori dal canone, perché cresciuta in isolamento, parallela e indipendente a causa del mancato riconoscimento, la sua opera ha molte cifre in comune con Attilio Bertolucci, Patrizia Cavalli, Anna Maria Carpi e anche con la già citata Ortese, di cui i versi uscirono in ritardo e quasi invisibili per Empiria (Il mio paese è la notte, due volumi, 1996). “Consideriamo Ancestrale il romanzo personale, nell’accezione debenedittiana, di questa scrittrice, la testimonianza di come la poesia e la scrittura fossero sì un’arte e un bisogno di bellezza a cui rispondere, ma anche un dono ereditato dagli antenati da non smarrire nonostante l’assedio della vita”, scrive Anna Toscano.
La nuova edizione Einaudi e la lettura di Calandrone
Nella nuova edizione Einaudi, la postfazione è firmata da Maria Grazia Calandrone che su questa scia nota come i versi dedicati a Catania bombardata siano la premessa alle pagine de Il filo di mezzogiorno (1969, ora per i tipi de La Nave di Teseo): “La vita stessa pare un combattimento interminato fra memoria e realtà, dove la memoria ha potenza suprema, superiore a quella delle cose reali, trasfigura le cose del mondo, si sovrappone a esse coi suoi colori e le immagini infuocate”.
La tradizione (la traduzione, il tramandarsi) dell’opera di un’autrice, o di un autore, è un complesso mandala che spesso si perde nel vento. A volte è inevitabile. Questa trama però si tiene insieme anche grazie alla voce di chi riscopre e guida la riscoperta: la nostra memoria e gratitudine di lettrici, e lettori, va anche a chi si fa carico dell’eco delle grandi voci.


