Quattro angoli e un caffè
di Esther Bondi

Non si esce, non si esce, quattro angoli di troppo, non si esce, non si esce, non si vede che uno sgorbio.
Un due tre, i colori degli smalti, due tre quattro, dietro l’altro: davanti forse, non ricordo.
Comunque inutili gli smalti, non di moda, solo porno se le fanno; solo porno hanno colori, unghie lunghe fresche curve, di gioie meno pensano, di gioie non feriscono.
Quattro angoli di troppo, mentre spazzola la spazzola il mascara non si svaluta, non si perde nella moda, solo pensa nuova è meglio di quella vecchia marca.
Un due tre, un davanti l’altro: due tre quattro, sono tette, anche un pene, un due tre, quattro gli angoli di troppo.
A colazione rimane, il problema, il caffè: è troppo presto o troppo tardi? Ancora sedici gli anni, un cappuccino, ogni tanto, decaffeinato la sera il problema non si pone, per aperol e prosecco sicuramente da aspettare. Le parole del divieto come stringhe sulla pelle, mi legano alla vita ancora meno che le sberle. Un corpo che si muove dove sento – le mie cose – sento sangue, ancora vita, parole no e ferita:
ho detto no, non sono andata, e madre no, non mi ha creduta;
ho detto no, non ho bevuto, e madre no, non mi ha creduta;
ho detto no, non ho scopato, e padre no, non mi ha creduta;
ho detto no, non ho rubato, e padre no, non mi ha creduta.
Poche le parole, quattro gli angoli di troppo, se io è io e loro è no e dominare.
Tutto quello che mi vedo rimane nello specchio, quando faccio un altro passo anche me forse scompare. Vedo sera, sera e notte, senza no nel cellulare, altri angoli di troppo, un altro specchio da scappare.
Occhi occhi e bocche bocche, solo un pene e tette troppe, una dietro, l’altra avanti, tante risa e poche fusa.
Smalto rosso peccatore, smalto blu fabulatore, smalto verde mi ricorda che è una cosa da non fare.
Quattro angoli contengono i colori disperati, madre solo “hai potuto”, padre nemmeno mi ha guardato.
Ragazza mora e dopo scura, vedo me, e cambiata tanto: non mi sembra di potere io urlare così tanto. Non ricordo, non mi piace, poi mi piace e poi ricordo.
Non so dire, ai genitori, come è bello congelare: ricercarsi in qualche cosa che non esiste o esisterà, loro guardano e percorrono una me che mai sarà.
Ma lo specchio mi riporta, lo specchio mi sussurra: sono tette, sono tonde, sono labbra, sono forte. Sono un’altra, sono dentro, sono un salto senza terra.
Quattro angoli e mi vedo, brillo spurgo e mi spavento: mi contiene, per lo meno, con le mani tocco lete.
Non mi scordo perché ho visto, non rimpiango perché scordo, con la madre non capisce, con il padre non ci provo.
Penso solo, chi ha guardato, se ha provato lo sperato. Io non sento, è tutto asciutto, i quattro angoli sono tutto.
Il problema che rimane è guardare il mio caffè. Madre dice è presto, io mi chiedo lei chi è. Non l’ho vista nello schermo, non ha scopato come me.
Non si mette, padre e madre, in quattro angoli di sé.
