Tra segnale e rumore. Weizman, Fuller e le estetiche investigative
di Matthew Fuller e Eyal Weizman

Krisis Publishing ha portato in Italia Estetiche investigative. Conflitti e commons nella politica della verità, il nuovo, importante libro di Matthew Fuller e Eyal Weizman, che s’inserisce all’interno di Forensic Architecture, il collettivo di ricerca fondato da Weizman alla Goldsmiths University di Londra: «una squadra interdisciplinare di architetti, cineasti, artisti, scienziati e avvocati». Come scrive Maurizio Guerri nella prefazione all’edizione italiana: «l’esigenza da cui gli autori prendono le mosse è quella di riuscire a rapportarci alle immagini secondo “giustizia” e ristabilendo quella dimensione di comunità che nella sfera sensibile – che si articola in sempre più fitte tecnologie mediali – si è perduta».
Ospito qui un estratto dall’introduzione.
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La violenza atterra. Centinaia di soldati irrompono in una città. In quell’istante, la città comincia a registrare il proprio dolore. I corpi vengono dilaniati e perforati. Gli abitanti memorizzano l’assalto in balbettii e frammenti rifratti dal trauma. Prima che Internet venga disattivato, le fotocamere di migliaia di telefoni si accendono e le persone rischiano la vita per documentare l’inferno che le circonda. Mentre si chiamano e si scrivono freneticamente, la loro comunicazione si dirama a stella, in centinaia di reti. Altri lanciano segnali nel vuoto dei social media e della messaggistica criptata, sperando che qualcuno li intercetti. Nel frattempo, l’ambiente cattura le tracce. Il terreno non asfaltato registra le impronte lasciate da lunghe colonne di veicoli corazzati; le foglie della vegetazione raccolgono la fuliggine dei loro gas di scarico, mentre il suolo assorbe e trattiene le sostanze chimiche riconoscibili rilasciate da munizioni proibite. Il cemento sbriciolato delle case distrutte porta i segni dei proiettili che lo hanno infranto. Colonne di fumo e detriti vengono risucchiate nell’atmosfera e si innalzano finché non si mescolano alle nubi, cristallizzandosi nei punti in cui le bombe sono esplose. In questo incidente ogni persona, sostanza, pianta, struttura, tecnologia e codice registra, a modo suo. Alcune tracce si accumulano così rapidamente e in modo così disordinato da cancellare quelle precedenti.
Questi documenti, tracce di distruzione e sofferenza, costituiscono contemporaneamente modalità di registrazione estetica e di rimozione. Dal momento in cui persistono, tali tracce possono, disponendo delle tecniche adeguate, essere interpretate per scopi diversi: alcune per alimentare ulteriore violenza, altre per opporvisi o persino solo per cercare di sopravvivere. Quelle che vengono occultate o represse risultano più difficili da rintracciare. Coloro che perpetrano la violenza hanno accesso a sensori ad alta risoluzione: telecamere su droni, aerei e satelliti, in grado di registrare gli scontri da molteplici prospettive. Il loro enorme potere si fonda sulle armi, ma anche sull’accesso alle informazioni – raccolte in flussi di immagini e segnali – e sui mezzi per analizzare questi flussi di dati, impiegando l’intelligenza artificiale per interpretarli e formulare previsioni. Mentre ha luogo questa raccolta massiccia di dati, la violenza consiste anche nel tentativo simultaneo di imporre, a coloro che subiscono l’attacco, un blocco di informazione uniforme e impenetrabile, che si presenta come informazione da un lato e come rumore dall’altro. Questa differenza tra segnale e rumore sarà anche impiegata per consentire alle autorità di ogni sorta di mentire su ciò che è accaduto, diffondere disinformazione, manipolare o alterare i dati, e negare i fatti più elementari. Più tardi, coloro che hanno subìto o resistito alla violenza testimonieranno. Forse un soldato avrà il fegato di rivelare ciò che lui o i suoi commilitoni hanno fatto – pubblicamente o tramite la rivelazione di file scaricati segretamente. Un altro potrebbe farlo accidentalmente, magari vantandosene sui social network. Tuttavia, esiste anche una contro-lettura, una contronarrazione che può raccogliere tutte queste diverse tracce e si sintonizza sulla loro cancellazione. Rielaborare quelli che talvolta sono solo segnali deboli – aggregando tutte queste registrazioni – può mostrare che cosa è accaduto e quali condizioni politiche lo hanno reso possibile. Interpretare segnali deboli e tracce impercettibili è complesso come solo una lettura ravvicinata può essere. Intessere questi segnali in una relazione reciproca non è soltanto uno sforzo di natura scientifica o tecnica, ma anche culturale, etica e politica. Implica modalità ampie e diversificate di prestare attenzione ai racconti delle persone, della materia e del codice. Per chi fa esperienza della violenza in prima persona e conduce la lotta per qualcosa che assomigli alla giustizia, la domanda è sempre la stessa: come può la ricerca della verità sugli eventi in corso rivelare, al contempo, l’ombra di processi storici di lungo periodo? E ancora: come può il racconto della storia, a partire dall’esperienza diretta della violenza, contribuire alle rivendicazioni politiche di chi la subisce? Per essere davvero efficace, la critica delle narrazioni ufficiali va inquadrata come una questione di investigazione, di storia e di solidarietà, e un simile racconto è valido solo in quanto parte di un processo politico.
Una bomba viene sganciata da un aereo da guerra saudita ed esplode in un ospedale nello Yemen. La bomba è un oggetto composito, i cui molteplici componenti provengono da dozzine di fabbriche sparse tra Europa e Stati Uniti. Questi prodotti sono assemblati con altri elementi provenienti da centinaia di subappaltatori, a loro volta procacciati da fornitori di materie prime estratte in miniere in tutto il mondo. La struttura assemblata della bomba coincide con l’economia globale. Quando colpisce il bersaglio, frammenti si spargono in ogni direzione, lacerando corpi e proprietà, distruggendo mondi di vita vissuta. Queste schegge non corrispondono direttamente ai componenti assemblati o ai prodotti iniziali, ma li approssimano in modo disordinato in uno stato trasformato. I sopravvissuti a tali bombardamenti spesso si preoccupano di fotografare questi frammenti e di caricare le immagini in rete. Altre persone guardano quelle fotografie, cercano di confrontare e identificare i pezzi, risalendo alle aziende che li hanno prodotti. Gli attivisti legali utilizzano questo materiale per invocare una moratoria sulle future esportazioni. Il processo investigativo somiglia a una riproduzione in slow motion, al contrario, del bombardamento, come la scena in cui Kurt Vonnegut, nel suo romanzo Mattatoio n. 5, descrive il devastante bombardamento di Dresda a ritroso. Dalle macerie e dalle schegge si riassembla la bomba; poi questa viene risucchiata verso l’alto nell’ala di un aereo che vola al contrario e la riporta a terra in un aeroporto, dove può essere smontata e poi disassemblata, spedita altrove, separata nei suoi componenti, ciascuno rinviato nel luogo d’origine; infine i metalli grezzi vengono ricollocati nelle profondità delle miniere, ricoperti di terra che viene riforestata, così che non possano mai più fare del male a nessuno. In questo libro sosteniamo che un’indagine antiegemonica, che vada a estrarre e poi a unire singole registrazioni fino a farle diventare collettive – un bene comune – sia una pratica intrinsecamente estetica. Comprendendo questa capacità di percezione collettiva e di costruzione di senso, possiamo elaborare una concezione rinnovata, accurata e politicamente incisiva delle pratiche di verità del presente. Nelle pagine che seguono vorremmo proporre alcune riflessioni sulle poste in gioco politiche di una tale formazione. Questo volume, a cui siamo giunti ciascuno da prospettive differenti, non è una rassegna storica dell’incrocio tra estetica e investigazione; piuttosto, è il nostro tentativo di ragionare teoreticamente sulle nostre pratiche e su quelle di alcuni colleghi, analizzandone i termini, i componenti e le premesse che costituiscono il codice sorgente di ciò che facciamo, e riflettendo al contempo sul perimetro delle nostre ambizioni, a proposito di quanto non abbiamo ancora realizzato ma che resta da fare.
